martedì 16 aprile 2019

Capitolo Venti



«E questa… è casa mia!» Apro la porta dell’appartamento e lo lascio passare, dimenticandomi di avere una guardiana esigente.
Poppy abbaia come una forsennata andando da una parte all’altra, arretrando e avanzando per intimorire il nuovo arrivato ed io, di fronte all’incapacità di mio fratello di trattare con gli animali, non posso fare altro che ridere.
Lo seguo all’interno dell’appartamento e mi chiudo la porta alle spalle, sperando che i vicini non si lamentino troppo del baccano, appoggio la mia borsa sulla sedia della cucina e richiamo a me Poppy che lentamente smette di abbaiare. Guarda ringhiando Brian e mi fa scudo con il suo piccolo corpicino, un po’ come quella sera con Edward; mio fratello, però, non è per niente accomodante e lascia andare, con un tonfo rumoroso, il borsone a terra, spaventando il mio cane ancora di più.
«Non fare così o non gli piacerai mai. Non ama i rumori forti ed è una cagnolina perfetta per proteggermi. Devi entrare nelle sue grazie se vuoi stare a casa mia.»
«Cazzo, era meglio se stavo da Robert. Com’è che ti sei dimenticata di dirmi che hai un cane? Sai che non li sopporto.»
Non posso fare a meno di scoppiare a ridere, tenendomi alla sedia per non cadere.
«Ridi, porca puttana. Questo mi vuole sbranare!» Poppy abbaia ancora, piegandosi sulle gambe dietro e mettendosi in posizione di attacco.
«E’ una lei. Si chiama Poppy e se ti inginocchiassi di fronte a lei con un atteggiamento più disponibile sono certa che imparerebbe ad apprezzarti. Edward ci ha messo 5 minuti, mezzo ammaccato e con un paio di croccantini. Non può essere così difficile per lei, sergente maggiore Swan!»
«Edward eh? Questo nome mi fa pensare al tuo capo, il che mi fa pensare che hai delle spiegazioni da darmi, signorina!» Mi punta il dito contro con un sorriso birichino.
«Ti dirò ciò che vuoi sapere se riuscirai a farti amare da Poppy.» Alza gli occhi al cielo e, teatralmente, si lascia cadere in ginocchio. La scena di lui che allunga la mano e si fa annusare dalla mia cagnolina, cercando di farsi accettare in qualche modo a me sconosciuto mi fa scompisciare dalle risate. Per la prima volta, dopo tanto tempo, non sento più quel senso di oppressione nel cuore. Mi riscuoto dal momento di ilarità e guardo mio fratello con gli occhi umidi. Non so in che momento si siano riempiti di lacrime, né so il motivo, ma sento il bisogno di chiudere il cerchio.
«Brian.» Lo chiamo attirando la sua attenzione. Parlo solo dopo che i suoi occhi sono nei miei, certa di essere al centro dei suoi pensieri in quel momento. «Mi sei mancato da morire.» Una lacrima scende solitaria, scorre lungo il viso fino al mento, dove la lascio cadere lungo il mio collo con la strana sensazione di prurito e umidità che mi disturba ma che mi fa sentire viva.
«Anche tu.» Si alza dal pavimento e mi raggiunge, ignoriamo entrambi l’abbaiare di Poppy nello sfondo e mi getto tra le sue braccia facendogli perdere l’equilibrio. Non me l’aspettavo e neanche lui perché sospira tra i miei capelli. «Quando capirai quanto mi sei mancata forse mi perdonerai per averti lasciata.» Sussurra con la bocca sulla mia fronte. Non so cosa voglia dire, non so neanche se il mio cane sta ancora abbaiando o se i vicini sono venuti a bussare alla porta per il troppo chiasso. Non mi importa.
Stare tra le braccia di mio fratello significa tutto in questo momento. Dimentico gli anni passati a pregare, dimenticare, sperare, pieni di angoscia e paure. Scordo anche le brutte parole che ci siamo detti alla sua partenza e le mie sempre più brutte quando telefonava.
Non so se lui riesce a dimenticare, se mi ha già perdonata per la cattiveria con cui l’ho trattato, ma è qui, ora, tra le mie braccia… vivo.
«Allora…» Si schiarisce la voce allontanandosi di un passo. «Raccontami di questo uomo che ti ha fatto completamente perdere la testa.»
«Brian!»
«Cosa?» Mi guarda con finta aria stupita.
«Non è come dici tu.» Affermo scuotendo la testa e iniziando a spostare gli oggetti lasciati in cucina dalla colazione. «E’ solo il mio capo.»
«Ci sei andata a letto?»
«Dio! Ma da quando sei diventato così impiccione?»
«Da quando sono stato in mezzo al deserto e alla polvere senza poter parlare con te. Sei qui tutta sola, lasciata in balia dei lupi cattivi. Non ti proteggo da molto tempo e vorrei, finché posso, comportarmi da fratello maggiore.»
La sua spiegazione non fa una piega ed è talmente sentita, pura e vera che accuso il colpo come un pugno in pieno stomaco.
«Se vuoi ascoltare tutta la storia conviene che prima ti faccio fare il giro della casa e ci mettiamo comodi.»
Solo in quel momento mi accorgo che Poppy ha trovato rifugio sopra il borsone di mio fratello e ci sta così comoda che non si sposta neppure al mio richiamo. Brian sorride e accarezzandole la pancia la sposta gentilmente sul pavimento, recuperando la sua borsa.
«Alla fine abbiamo fatto amicizia. Pensavo di aver perso smalto con le donne.»
«Quando mai l’hai avuto?»
Ride ma l’ilarità non raggiunge i suoi occhi, sono vuoti, freddi, distanti. Ho sempre visto mio fratello circondato da ragazze pon-pon alle superiori ed ho sentito voci di lui con decine e decine di ragazze. Non ho mai dato credito alle dicerie, ma non ho neanche mai affrontato l’argomento con mio fratello. Mi rendo conto, solo adesso, che della sua vita amorosa non so nulla.
Un po’ a disagio gli mostro casa mia, lasciandolo da solo in camera e in bagno per darsi una sistemata e mettersi comodo. Io infilo il pigiama in cucina, cercando di sistemare il divano e tutte le cartacce che ci sono sul comodino finché lo aspetto.
Esce dalla mia camera con un paio di pantaloni della tuta e una felpa blu, senza la divisa sembra il ragazzo di una volta, un po’ cresciuto, ma pur sempre il mio fratellone adorato.
«Io mi metto comodo, tu inizia pure a raccontare!»
Prendo due birre dal frigo e lo raggiungo. All’inizio è difficile iniziare il discorso, non so neanche come spiegare bene tutto quello che è successo in questo periodo. Vorrei dire che nel suo volto passano le espressioni più disparate e che è difficile tenerlo fermo in alcuni momenti, invece no. E’ immobile. Beve la sua birra a piccoli sorsi, mi ascolta senza commentare, senza dire neanche una parola. I suoi occhi sono fermi su di me, dentro di essi, però, non passa nessuna emozione. Non riesco a capirlo, non riesco a capire cosa sta pensando.
Questo è il cambiamento che ha subito in guerra?
Le emozioni non lo toccano più? E’ talmente controllato da non esternare nessun tipo di sensazione?
«Dì qualcosa.» Gli dico dopo minuti di silenzio finito il mio racconto.
«Sinceramente non so cosa dire Bella. La persona che ho di fronte, quella che mi ha raccontato questa storia, non sono sicuro che sia mia sorella.» Sbalordita lo osservo passarsi le mani sulle cosce e fare frizione, come se dovesse riscaldarle.
«Cosa vuoi dire?» Sussurro.
«Sei sempre stata una donna, ancora prima di diventare adolescente. La nostra vita non è mai stata semplice ma tu eri padrona della situazione in ogni caso.»
«Non è vero. Ho avuto bisogno d’aiuto sempre.»
«No, hai avuto bisogno di aiuto per superare la morte di papà, le circostanze in cui se n’è andato, la vista di lui…» Si blocca, so che lui continuerebbe a mostrarmi le immagini che ancora popolano i miei incubi, lui è diventato freddo ma io sono ancora la sua sorellina e cerca di proteggermi dai brutti e dai cattivi. «Il resto del tempo lo hai passato a guardare la vita a testa alta e a prendere tutto di petto. Non sei mai stata una che girava per strada con la coda tra le gambe o timorosa di prendersi ciò che vuole. Se Edward è la persona che vuoi al tuo fianco… cosa aspetti?»
«Brian, non posso. La sua vita è piena di segreti, di cose nascoste che mi fanno una paura del diavolo. Non lo conosco. Tu dici che io sono sempre stata forte, ma non è vero. Io ero forte perché c’eri tu, qui sono sola.»
L’unica espressione che gli passa negli occhi è la delusione cocente dopo le mie parole. Sul suo volto però, ancora quella maschera di freddezza e durezza che non mi fa riconoscere mio fratello. Siamo cambiati entrambi, ha ragione. Riusciremo a trovare nuovamente la nostra strada?
«Credo che tu stia facendo uno sbaglio, sorellina.»
«Da quando frequento Edward mi sono tornati gli incubi, Brian.» Mormoro. «Mi sveglio dopo qualche ora in un bagno di sudore, con il cuore che batte a mille e con la patetica voglia di piangere fino al giorno dopo ed essere abbracciata da papà che mi dice che è solo un brutto sogno. Da quella volta in ospedale… Non dormo quasi più.»
«Non credi che si arrivato il momento di buttare fuori questo passato e di andare avanti nella tua vita? Magari Edward aspetta questo. Lo sai che noi uomini siamo più freddi di voi, che non riusciamo a lasciarci andare alle confessioni, sai bene che abbiamo sempre più paura di far entrare qualcuno nel nostro cuore.»
«Cosa dovrei fare? Andare da lui domani sera e dopo la serata pizza fermarmi nel suo appartamento, non invitata, mettermi sul divano e dirgli “Ehi Edward, sai mio padre è stato ammazzato sotto i miei occhi, l’ho stretto tra le mie braccia fino all’ultimo respiro. Da quando ti frequento ho gli incubi, però ti amo. Cosa ne dici se affondiamo insieme?”» Avevo il fiatone da quanto avevo parlato veloce e a tono alto. Mio fratello era esterrefatto ed io mi sentivo di merda. «Scusa.»
«Potresti andare da Edward e dirgli che capisci bene la situazione, che è difficile da affrontare ma che tu ci sei, che lo ami, perché è ovvio che lo ami, e che vorresti stare con lui, nonostante tutto. Pregandolo di non ferirti e di non lasciarti, di non mentirti. Questo dovresti fare. Oppure…» Sospira forte. «Oppure puoi voltargli le spalle, lasciarlo da solo, guardarlo farsi una vita oltre a te e soffrire come un cane per non aver colto la tua occasione.»
«Brian.» Volevo dirgli che era cattivo da parte sua dirmi queste cose, invece aveva ragione.
«Sono stanco adesso. Tutto questo parlare…» Era cambiato qualcosa dopo la sua frase. Qualcosa dentro di lui si era spezzato. Lo sguardo vagava per la camera, senza mai soffermarsi su di me, erano lucidi e l’espressione del viso stava per cedere.
«Brian.»
«Si?»
«Raccontami. Raccontami di lei.» Le spalle così forti e muscolose, così sicure si afflosciarono su sé stesse. Il capo cadde in avanti e le mani si strinsero a pugno sulle gambe.
«Non c’è niente da dire. Non c’è nessuna lei.» Mormora.
«Un lui… allora?» Pensavo di farlo ridere con la mia battuta, ma le sue mani si strinsero di più e tremarono sulle sue gambe. Merda. «Brian…» Dissi in un sussurro poco percepibile. Volevo che mi parlasse, volevo ascoltare la sua storia, volevo che mi guardasse negli occhi e mi dicesse tutto. Invece se ne stava lì, in silenzio, in una posizione disperatamente triste con le lacrime che gli riempivano gli occhi. Volevo che si fidasse di me. L’uomo impassibile forgiato dalle battaglie e dagli orrori della guerra era lì, immobile con il fiato corto, un pianto che gridava solo di essere lasciato libero e una tristezza infinita.
«Non è una storia che vuoi ascoltare adesso, Bella. Ed io non sono pronto a raccontartela.» Si alzò dal divano e si diresse verso la camera da letto. Gli lasciai qualche minuto poi lo seguii. Non sapevo cosa dire, mi sentivo atterrita.
Mi infilai sotto le coperte insieme a lui, mi dava la schiena e la sua presenza nel letto mi ricordava che davvero non ero sola al mondo e che avevo una parte fondamentale della mia vita che, anche se lontano, pensava continuamente a me. Anche io ho fatto i miei errori, lasciarlo solo, farlo sentire lontano da casa, ignorarlo, arrabbiarmi con lui per le sue scelte… Non sono stata una brava sorella. Avrei dovuto chiedere scusa ancora infinite volte, eppure lui mi aveva perdonato subito. Chissà quanto si sarà sentito solo, laggiù, senza una mia mail, senza le mie telefonate, senza ascoltare la mia voce tutte le volte che ne aveva bisogno. Ed io ero qui, arrabbiata con lui, convinta della mia rabbia. Che stronza sono stata. Mi aveva perdonata davvero? Si sentiva ancora solo? Avevo voglia, avevo bisogno di ascoltare la sua storia, di sentire quanto gli sono mancata, di capire chi era adesso mio fratello. Non c’è una lei, ma forse c’è un lui. Anzi, sicuramente. Un lui. Non avevo mai sospettato nulla in tutti gli anni che abbiamo passato insieme. Come si chiamava? Era un militare anche lui? Dove viveva? Quanto tempo sono stati insieme? Non sapevo nulla e mi sentivo di nuovo sola. E’ così che si è sentito lui per tutto questo tempo?
«Smettila di pensare così forte, mi disturbi.» La sua voce nell’oscurità fece un po’ paura. Cercai di rilassarmi sotto le coperte ma non ci riuscivo.
«Scusa, ci sto provando ma è difficile.» Dissi debolmente.
Aveva provato tantissime volte a chiamarmi, io avevo sempre rifiutato e, negli ultimi tempi, quando chiamava gli rispondevo e lo insultavo. E se una di quelle volte avesse avuto bisogno di me? Se avesse voluto raccontarmi la sua storia al telefono? Se fosse stato male e avesse avuto bisogno della mia voce? Io non c’ero mai. Io per mio fratello cosa avevo fatto? Lo avevo lasciato solo.
«Basta pensare Bella, davvero.»
«Allora raccontami qualcosa Brian. Non so niente. Non so più niente di te e mi sto arrovellando il cervello pensando a tutte le telefonate che ti ho rifiutato e a tutte le cose che avresti potuto raccontarmi. Dimmi qualcosa.» Non volevo davvero costringerlo a raccontarmi di questo uomo, ma avevo bisogno di sapere qualcosa, qualcosa di mio fratello.
Si girò nel letto, fino a mettersi di fronte a me.
«Sei sicura di voler sapere Bella? Sei certa di saper affrontare, ora, una storia così? Perché ti ho appena ritrovata e non voglio perderti di nuovo.» Merda, stavo per piangere.
«Cosa dici? Non puoi perdermi Brian, sono tua sorella. Ti chiedo scusa perché ti ho lasciato solo, davvero. Non so come farmi perdonare. Ma non potrei mai, mai allontanarmi da te perché nella tua vita c’è un uomo.»
Sospira forte e chiude gli occhi.
«Non avrei pensato neanche che mi lasciassi solo dopo la scelta di partire con l’esercito, eppure l’hai fatto.» Colpita, stordita e affondata. Come potevo replicare?
«Posso fare qualcosa per chiederti perdono? Non posso riavere indietro gli anni persi, non possiamo tornare indietro, riavvolgere il nastro e riscrivere questi anni. Però posso impegnarmi da qui, da ora in avanti, affinché non succeda più.» Era l’unica cosa sensata che potessi dirgli in quel momento.
«Si chiama Jack. Vive a Chicago adesso, almeno credo. Ci siamo conosciuti nel periodo dell’accademia militare. Non so se ti ricordi, prima di partire per la prima missione ho fatto qualche anno nella base. Lui era lì per studiare, frequentava il college. Ci siamo conosciuti una sera, in un bar. Uno di quei classici incontri da film. Ero lì con alcuni compagni dell’accademia, stavamo giocando a biliardo e bevevamo fiumi di birra, la libera uscita del fine settimana era motivo di festeggiamenti sempre. Lui era lì con un gruppo di amici. Ho sentito la sua risata e mi sono voltato di scatto. Non so perché, aveva scatenato qualcosa dentro di me, mi aveva attirato nella sua trappola. Rideva per la battuta di una ragazza che era seduta sulle sue gambe ed io sono rimasto tramortito da quel suono. Quando si accorse che lo stavo fissando, i suoi occhi si incrociarono con i miei e capii che ero davvero spacciato. Avevo frequentato alcune donne, ma non mi ero mai interessato a loro davvero, non provavo nulla, nessuna emozione trascinante. Ma quegli occhi verdi, così profondi, mi avevano fatto cedere le ginocchia. Cercai di ignorarlo tutta la sera, anche se fu davvero difficile. Dovevo fare i conti con la consapevolezza, appena realizzata, che era un uomo e che ero stato colpito da un ragazzo.» Prese fiato, mentre con un dito disegnava qualcosa non ben comprensibile sopra le lenzuola.
«E’ stato difficile accettarlo?» Domandai.
«Molto. Tornai in accademia con i pensieri confusi e una sbronza colossale, la mattina dopo insieme ai boccali di birra, nel water ci finì anche l’uomo che credevo di essere. Mi guardai allo specchio e mi misi a piangere come un cretino. Non uscii dalla stanza fino alla mattina dopo. I miei compagni si preoccuparono ma io avevo bisogno di stare solo. Dovevo capire, realizzare, stare con me stesso per convincermi di non essere pazzo. Avrei avuto bisogno di te, in quella stanza, volevo chiamarti ma in quel periodo eri così incazzata che non volevi neanche sentir pronunciare il mio nome.»
«Mi dispiace.» Dissi. «Mi dispiace così tanto Brian.» Ignorò le mie parole e a fatica, lentamente, continuò il racconto.
«Lo rividi la settimana dopo. Nello stesso posto. I miei compagni avevano cambiato bar, io invece tornai lì a cercarlo. Volevo parlarci, sapere come si chiamava…»
«Quindi… sei riuscito a convivere serenamente con la nuova rivelazione?» Gli chiesi. Lui si mise a ridere piano.
«Per niente. Era passata solo una settimana ed ero davvero un cretino. Quando lo vidi seduto con lo stesso gruppo della settimana prima mi misi al bancone, ordinai tre bottiglie di birra e restai a fissarlo come uno stalker tutta la sera. Lui se ne accorse, decise di ignorarmi. Solo poi scoprii che lui aveva fatto coming out all’età di 16 anni e che la sua omosessualità non lo spaventava quanto la mia. Aveva capito che ero un novellino e voleva starsene in disparte per lasciarmi capire cosa mi stava succedendo. L’ho ringraziato, dopo mesi, per avermi lasciato quel tempo così prezioso.»
«Quanto ci hai messo per accettarlo davvero?»
«Due mesi. Ho sprecato due cazzo di mesi.» Sbuffò e strinse le dita a pugno. Allungai la mano sulla sua e con una carezza cercai di fargli rilassare le dita.
«Cosa è successo dopo quella sera?»
«Continuavamo a guardarci, i suoi amici gli indicavano chiaramente di venire a parlarmi ma lui se ne stava ancorato alla sedia senza provarci. Io, dal canto mio, ero ancora nel pieno della tempesta e non avevo il coraggio di andare lì, chiedergli di farsi una partita a biliardo e convincerlo a uscire con me. Impiegammo due mesi prima di andare davvero fuori. Tutti i sabati sera finivo in quel bar, mi sedevo sullo sgabello del bancone e lo osservavo, avrebbe potuto denunciarmi, invece, dopo un mese decise di alzare il culo da quella sedia e venire ad ordinare qualcosa al bancone.» Un lieve sorriso increspò le sue labbra ed io mi sentii esplodere dentro nel vedere mio fratello così preso, così sincero, così umano.
«Ti parlò?»
«Sì.» Rise forte. «Mi disse che un militare come me doveva fare attenzione a lanciare certe occhiate a studenti indifesi come lui, perché poteva tranquillamente denunciarmi e far finire la mia carriera in un battito di ciglia. Subito restai scioccato, poi le sue labbra si inclinarono e sorrise. “Oppure” mi disse avvicinandosi a me “potrei davvero decidere di prendere in parola il tuo invito e chiuderti nella mia stanza e scoparti fino a che non sarai stanco.”» Ridacchiai insieme a lui. Questo Jack mi piaceva. «Non riuscivo a parlare, la lingua si era incollata al palato e le mani sudavano come non mi era mai capitato nella mia vita. Lui rise forte e mi voltò le spalle andandosene. Probabilmente raccontò ai suoi amici quello che era successo, risero e gli diedero il cinque ma i suoi occhi non si spostarono mai dai miei. Provai a ripensare se avevo avuto segnali nel passato che potessero piacermi alcuni ragazzi, se provavo desiderio verso di loro… Ci pensai a lungo ma non ricordai nulla. Le ragazze mi sono sempre piaciute, traevo piacere nel conquistarle, farle mie, ma non mi restava nulla. Lui invece mi aveva già stravolto l’esistenza. Quella sera capii che se tutto questo mi portava a capire che non mi ero mai affezionato a nessuna donna c’era un motivo, e se veramente volevo scoprire, fare quell’esperienza… insomma volevo che fosse lui.»
«Amore a prima vista. Come nei film.»
«Il sabato seguente tornai al bar con i colleghi, mi vedevano diverso negli ultimi tempi ma non dissero nulla. Iniziarono a prendermi in giro quando quel ragazzetto alzò la mano per salutarmi e non con un gesto normale, mi soffiò un bacio. Poi rise di nascosto. Mi incazzai perché i miei colleghi non sospettavano nulla e mi presero in giro perché un uomo mi aveva mandato un bacio. Continuarono così tutta la sera ed io cercai di non fissarlo, di non concentrarmi sul suo sguardo. Altra mossa sbagliata, perché aveva deciso di rendermi le cose davvero difficili quella sera e non mi accorsi che si era avvicinato mentre giocavo a biliardo. Si era piegato su di me, mentre stavo tirando e sussurrando sull’orecchio aveva detto “Comunque, io sono Jack. Piacere di conoscerti, big boy!”.» Ridacchiamo entrambi. «Era un pazzo. Davvero. Sbagliai il colpo e i miei compagni erano senza parole nel vedere quella scena, non fiatarono finché non mi alzai e mi girai verso il ragazzetto. Ero incazzato. Tesi la mano, che lui prese, e mormorai il mio nome, stava togliendo la mano ma io ero più forte e molto più grosso di lui così lo attirai a me. Sai quando… » Sospirò e strizzò gli occhi come per farsi coraggio. «Sai quando senti i brividi sul corpo, quando la pelle entra in contatto con la persona giusta e tutto il tuo mondo prende una piega fantastica? Ecco. Mi avvicinai al suo orecchio e dissi “Che cazzo stai facendo, ragazzino?”. Sussultò e il mio corpo percepì la sua vibrazione, probabilmente i miei compagni mi guardavano come se fossi pazzo, ma non mi importava un fico secco. Si staccò da me e, quell’espressione me la ricorderò per sempre, giuro, mi guardò come se lì dentro ci fossi solo io. Mi sentivo unico, perfetto, meraviglioso. Non mi era mai capitato di sentirmi così elettrizzato, eccitato. Mi sorrise debolmente e mormorò “Ti aiuto a capire cosa vuoi Brian.” Tirò via la mano e uscì dal locale. Aspettai la settimana seguente con un’eccitazione pazzesca.»
«E i tuoi compagni?»
«Subito mi presero in giro, le solite battute da uomini di spogliatoio. Ma non era una novità nel gruppo avere qualcuno come me o con preferenze diverse. Quello che mi rassicurava era che loro avrebbero capito e avrebbero accettato, nonostante ciò che si pensa c’è una sorta di rispetto reciproco nel diventare compagni di battaglia.»
«Cosa successe la settimana dopo?»
«Andai in quel bar da solo. I miei compagni volevano venire a godersi la scena, ma gli chiesi, anzi li obbligai, a restare fuori da quel posto. Jack era da solo. Sembrava che ci fossimo messi d’accordo. Quando entrai era seduto al bancone, con una birra in mano e sorrise appena quando mi sedetti di fianco a lui.» Si fermò per lunghi minuti. Vidi nei suoi occhi passare le immagini del suo racconto e qualcosa in più, volevo tirargli fuori tutta la storia.
«Merda Brian, vai avanti. Sono curiosa!» Lo spronai.
«Ordinai da bere e restai in silenzio, fu lui a rompere il ghiaccio. Mi chiese da quanto tempo frequentavo l’accademia militare, quanti anni avevo e da dove venivo. Parlammo per circa tre ore, la birra si sgasò sopra il bancone del bar, non ne avevo toccato neanche un goccio. Mi chiese di giocare a biliardo e quella fu la mia fine. Ridemmo, ci stuzzicammo, ci sfiorammo in continuazione e capii che ormai restava solo la mia razionalità da abbattere, perché corpo e cuore avevano già scelto.»
Lo osservai, sembrava di nuovo in quel posto, con il sorriso sulle labbra e gli occhi meravigliosamente dolci. In quel momento riconobbi mio fratello e quello che era per me.
«L’hai baciato?»
«Sì.» Mormorò e poi scoppiò a ridere. «Dio, non ci credo che ti sto raccontando tutta questa storia. Dovremmo dormire. Domani devi andare a lavorare e…»
«Non devo andare a lavorare, domani passo la giornata con te. L’ho già detto a Edward. Mi aveva chiesto se raggiungevamo lui e gli altri per la solita pizza, ma con te qui non mi va.»
«Ti vergogni di me?»
«Non dire cazzate Brian, è solo che pensavo che non ti andasse di mischiarti alla confusione che fanno i miei amici. Pensavo avessi voglia di stare calmo e tranquillo a riposarti.»
«Bella, ti ringrazio. Ma stare a rilassarmi non mi farà dimenticare che devo tornare in mezzo al fuoco nemico e alla polvere delle rovine, né mi farà dimenticare gli orrori che ho visto. Preferirei uscire e vivere la mia vita di ragazzo finchè posso. Oggi ci sono, domani non lo so.»
Le lacrime che sgorgarono dai miei occhi si fermarono sul cuscino. Ci misi qualche secondo a riprendermi.
«Non dirlo più.»
«Lo so che hai paura, ne ho anch’io. Ma l’ho accettata nel momento in cui ho scelto questa vita.»
«Lo so, ma… Non dirlo più. Ti prego.»
«E io ti chiedo di fare la tua vita come se io fossi sempre qui, per favore.»
«Non voglio vedere Edward domani, non voglio tornare in quella casa.»
«Bella… fidati di me. Se potessi tornare indietro, se Jack… » Prese un profondo sospiro poi continuò. «Andiamo a mangiare la pizza con i tuoi amici, passiamo una serata in compagnia, torna da Edward e fai un passo verso di lui. Vorrei saperti accanto a qualcuno che ti ama quando ripartirò.» Chiusi gli occhi e ci pensai qualche secondo.
Potevo farlo? Potevo tornare in quell’appartamento, mangiare in quella cucina e sedermi sul divano a bere qualcosa? I ricordi mi avrebbero tolto il fiato, mi avrebbero presa alla gola. Brian però aveva ragione.
«Va bene.» Dissi. «Domani mattina gli mando un messaggio. Spero solo di fare la cosa giusta.»
«Cosa provi per lui?» Mi chiese in un sussurro.
«Non lo so, Brian. Sono spaventata da tutto quello che si muove dentro di me. Ci penso, ma… non so definirlo.»
«Lo ami.»
«Se lo amassi davvero non esiterei a buttarmi tra le sue braccia.»
«Ne sei sicura?»
Ci pensai per un po’ e poi risposi.
«Davvero Brian, non lo so. Non so se è amore quello che provo, non so se riesco davvero a fidarmi di lui fino in fondo. Non credo che amare una persona voglia dire starci semplicemente bene insieme, no? Abbiamo una infinita dose di scheletri nei nostri armadi e… per quanto sia davvero forte quello che provo, non sono fiduciosa abbastanza.»
«Gli hai mai detto tutte queste cose?»
«No…»
«Allora diglielo, faglielo capire in qualche modo, rendilo partecipe, convincilo che non è solo e che tu sei in questa storia quanto lui. Che potete parlare, che dovete fare uscire dai vostri cuori tutto il dolore che vi portate dietro, secondo me può essere bellissimo.»
«E se lui non provasse le stesse cose?» Si mise a ridere, davvero forte.
«Bella, stasera stava quasi per prendermi a pugni quando ti ho abbracciata. Voleva marcare il territorio attorno a te e farmi capire che eri sua. Conosco quello sguardo Bella, sono un uomo e amo, so cosa vuol dire quello sguardo.»
«Tu dici?»
«Ne sono sicuro.» Sospirai e chiusi di nuovo gli occhi.
«Va bene. Mi fido di te. Vediamo come va la serata e proverò a parlargli.» Passarono infiniti minuti di silenzio, sapevo che non stava dormendo, ma allo stesso tempo non continuava con il racconto. Volevo saperne di più invece lui si era fermato e non volevo costringerlo a parlare. Finsi di dormire, mentre l’immagine di mio fratello e questo ragazzo seduti al bancone a parlare vorticava nella mia mente, immaginando i discorsi, i sorrisi e il timore di entrambi.
Aprì gli occhi quando sentii tremare il letto, Brian stava piangendo.

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