martedì 16 aprile 2019

Capitolo Diciotto


Dovevo capire che qualcosa non andava dal momento in cui la porta si spalancò e il capo marciò all’interno dell’ufficio. Ero sicura di non aver dimenticato nessun impegno per la mattinata e il giro di perlustrazione era fissato per le dieci. Alle nove invece lui si trovava già lì, carico e despota più che mai, con una faccia da schiaffi più invitante del solito. Negli occhi, però, aveva uno strano dolore percepibile a chiunque lo conoscesse un po’ di più.
«Abbiamo un problema!» Esordì puntando le mani sulla mia scrivania. Avrei tanto voluto prenderlo in giro e fare la sbruffona invitandolo a sedersi e a parlarmene, ma l’ira del suo volto mi fece fermare a qualche secondo dalla mia battuta.
«Spiegami il problema e vediamo se è risolvibile.» Edward non sa neanche cosa voglia dire ‘essere pragmatici’; lui i problemi li annienta come un bulldozer. Non mi capacito di questo cambio di rotta.
«Sono spariti dei contratti preliminari dall’archivio. Li hai presi tu?» Mi alzai in piedi e cominciai a frugare sulla scrivania, in mezzo ai fascicoli, poi all’interno dei cassetti e ancora dentro l’archivio che tenevamo io e Angela in condivisione.
«Di quali preliminari parliamo?» Cercavo e cercavo, sfogliavo pagine e aprivo cartelline già chiuse nei mesi scorsi e mai più riaperte.
«Fortis Group e VitSerenity, due preliminari da molti zeri.» La durezza nella sua voce e i passi che consumavano il pavimento mi mettevano ancora più in allarme.
«No Edward, qui non ci sono.»
«Sei sicura?» Gli lanciai un’occhiata in risposta al suo sguardo tagliente.
«Mi stai forse accusando di averli sottratti per qualche secondo fine, Edward? Come per esempio vendere il preliminare e la nostra idea di base a qualche altra società concorrente?» Cercai di mantenere la voce tranquilla ma non so quanto fui capace a nascondere la mia rabbia.
Si fermò di scatto dal camminare e mi fissò allibito.
«Cazzo! Dimmi che non lo pensi sul serio!» Si sfregò con foga la faccia con le mani e poi prese posto, pesantemente, sulla sedia di fronte a me. «Non sto affatto sottintendendo che tu li abbia presi per altri scopi, ma che magari sbadatamente li hai presi e non li hai rimessi nell’archivio del mio ufficio. Tutto qui. Dio, a che punto siamo arrivati io e te?» Scosse la testa mentre mi fissava. Già, perché ho pensato subito al peggio?
«Scusa, non so che mi è preso.» Mi schiarii la voce e lo fissai a mia volta. «Hai già sentito Rose?»
«L’ho chiamata appena me ne sono accorto. Pensavo che li avesse a casa per esaminare qualcosa in particolare. Quando mi ha detto di no e che non li aveva fatti prendere neppure ad Angela ho cercato ovunque nel mio ufficio, prima di venire qui. Non ci sono. E’ come se si fossero volatilizzati e l’unica prova che abbiamo riguardo a quei preliminari è la scansione che faccio fare personalmente a te nel mio hard disk.»
Sì, è molto puntiglioso riguardo a questa procedura tutta nostra. Lo avevo spesso preso in giro per il suo metodo di lavoro preciso e ossessivo, ma ora avevo la dimostrazione che era utile per molte cose.
«Hai in mente qualcuno?» Essere scomparsi da soli, no, non è che i fogli si aprono il cassetto dell’archivio e se ne vanno a passeggio per l’ufficio. Quindi doveva essere per forza colpa di qualcuno.
«No, nessuno. Ieri non mi sono accorto della mancanza, probabilmente ero troppo distratto.» Abbassai lo sguardo sui post-it ancora attaccati alla scrivania, sapevo che era colpa mia. «Ma non ti so dire con precisione da quanto tempo mancano.»
«La tua segretaria?» Ipotizzai.
«Ci ho pensato subito, ma non so davvero se voglio smuovere delle acque senza esserne certo prima. Non si tratta di una cazzata. La persona che ha fatto sparire quei fascicoli verrà licenziata, galvanizzata e denunciata.»
Sospirai e mi accasciai sulla sedia, appoggiando la schiena e le braccia, come se non avessi più forze. Erano solo le nove e trenta del mattino.
«Una volta avresti camminato con il tuo intercedere da carrarmato e l’avresti fatta fuori, con o senza prove a tuo carico. Mi stupisce che tu sia così riflessivo oggi.»
Alzai lo sguardo, consapevole che ciò che avrei trovato non mi sarebbe piaciuto. Infatti lui era lì, mi fissava in silenzio, con quel suo cipiglio duro e scontroso, ma allo stesso tempo adorabile.
«Diciamo che l’esperienza insegna.»
Si riferiva a me. Era ovvio. Non so come avrei fatto a continuare così all’infinito, in un luogo di lavoro dove Edward era costantemente lì a ricordarmi queste settimane passate insieme e le cose che avevamo fatto e detto.
«Hai ragione, l’esperienza insegna.» Abbassai lo sguardo sulla scrivania, diedi una rapida occhiata a tutti i fogli sparsi, che per me era passione, avventura, vita. Ero davvero pronta a lasciare tutto ciò, per evitare di stare male ogni singolo secondo della mia giornata?
No, non credo. I pro e i contro li avevo già valutati quando Edward mi aveva licenziata la prima volta, lavorare in una caffetteria non era quello a cui aspiravo.
Edward si schiarisce la voce, attirando il mio sguardo su di sé.
«Dobbiamo iniziare a fare il giro per l’azienda, spero che tu non abbia detto nulla ai tuoi colleghi.» Si alza in piedi, troneggiando su di me e nell’ufficio come una statua greca meravigliosa. Dio, ero sfinita.
«Queste tue illazioni sulla mia mancata professionalità, capo, mi fanno venir voglia di tirarti un calcio nelle palle, tanto per essere sincera.» Fece un passo indietro, allontanandosi dalla scrivania e da me, nel suo sguardo passò un lampo di timore e un sbrilluccichio di desiderio.
«Signorina Swan, vedo che l’influenza di ieri le è passata egregiamente.» Disse con un ghigno avvicinandosi alla porta. Sbuffai, conscia che a lui dava enormemente fastidio. Avrei tanto voluto rispondergli e continuare quel gioco infinito di frecciatine e preliminari, ma ero stanca. Stanca di combattere, stanca di essere forte e di essere simpatica. Ero anche stanca di sentirmi così frustrata nel non avere una persona tutte le notti nel mio letto a tenermi compagnia. Odiavo stare sola per troppo tempo, ecco perché Poppy è venuta a farmi compagnia. Ma Edward… lui era tutta un’altra cosa. Le settimane che abbiamo passato insieme sono state divertenti e intense, per quanto brevi. Le ho adorate… forse troppo. Ecco di cosa sono stanca, di fuggire dalle cose che mi fanno stare bene, solo per paura di stare male.
«Andiamo.» Dissi semplicemente, evitando di dare fiato alla bocca e a tutti i pensieri contorti che avevo nella testa.
Il giro durò tre ore.
La pausa pranzo si ridusse drasticamente e riuscimmo a mangiare un tramezzino al volo con una tazza di caffè prima di mettere insieme i documenti per la riunione del pomeriggio dall’altra parte della città.
Non ci furono più frecciatine, né commenti fuori luogo. Edward, a dire la verità, aveva cambiato radicalmente comportamento dal giorno precedente. Tutto l’astio e la rabbia che aveva dimostrato andandosene via dall’ingresso dopo la telefonata con Brian, erano evaporati. Avrei tanto voluto chiedergli il motivo, ma ero certa che ci avrebbe girato intorno o che avrei dato inizio ad una nuova sequela di battutine e stoccate. Quindi, era meglio lasciare perdere.
Ero a pezzi, non riuscivo neanche a tenere gli occhi aperti gli ultimi dieci minuti della riunione. Ma sobbalzai, ad un certo punto, quando una mano forte si posò sulla mia coscia e il proprietario si sporse verso di me per sussurrarmi all’orecchio.
«Ancora dieci minuti, Bella, resisti.» Suonava così maledettamente eccitante. Mi accarezzò la coscia delicatamente e con il pollice disegnava dei cerchi sulla mia pelle ormai ipersensibile.
Non so cosa mi sconvolse di più, se il fatto che quelle carezze e quella sensazione di vicinanza mi riscaldavano e mi facevano rilassare come niente nella vita; o il fatto che avevo dimostrato una stanchezza infinita e poco interesse per la riunione, per la prima volta nella mia vita.
Per uscire dalla sala ci vollero venti minuti, ma finalmente ero fuori e potevo respirare e pieni polmoni e cercare di svegliarmi con il freddo pungente.
Edward mi camminava a fianco, mentre percorrevamo il marciapiede fino alla sua auto con cui eravamo venuti insieme. Era già buio, i lampioni illuminavano a giorno la strada, ma gli angoli bui davano l’impressione di un mistero da risolvere, proprio come la storia tra me e Edward.
«Ti va di cenare insieme?» Inciampai sui tacchi vertiginosi che portavo ai piedi da stamattina. Mi aiutò a restare in equilibrio e mi guardò incerto, per poi volgere lo sguardo da un’altra parte.
Dovevo essere davvero sconvolta.
«Non mi sembra il caso.» Punto sul vivo si rianimò e sbuffò, passandosi la mano tra i capelli.
«Un tizio qualunque può telefonarti e chiederti di dormire sul tuo divano e non puoi condividere una bistecca con me. Divertente!» Sì, lo era, infatti scoppiai a ridere.
«Dio, sei geloso?» Mi lanciò un’occhiataccia e si girò per raggiungere la macchina, lasciandomi lì a ridere così forte da farmi venire le lacrime agli occhi. Lo raggiunsi di fretta, con le gambe stanche ma rinvigorita da quella consapevolezza. «Edward fermati, ti prego! Sono troppo stanca per correrti dietro!» Borbottò qualcosa ma non afferrai dato che era girato dall’altra parte. Poi si fermò di botto ed io quasi gli finii addosso.
«Pensavo che potessimo restare comunque amici, invece tu hai tagliato tutti i ponti, non è così?» Mi allontanai di un passo per la vivacità nel tono della sua voce.
«Io?» Scossi la testa incredula. «Sei stato tu a dire quelle cose in ufficio ieri, non io.»
«Ma tu hai rifiutato il mio invito a pranzo ieri e anche stasera.»
«Perché non mi sembra il caso di… Insomma prima di parlare di questo non dovremmo parlare di cosa è successo domenica? Non mi hai neppure telefonato per assicurarti che stavo bene.»
Sbiancò di colpo ed arretrò di un passo come se fosse stato colpito da un pugno.
«Mi prendi in giro?»
Gli lanciai un’occhiataccia assassina e lui rise rocamente.
«Incredibile. Te ne sei andata tu. Non io. Hai preso le tue cose facendo meno silenzio possibile, incurante del fatto che io fossi già sveglio, e te ne sei andata come se avessi avuto un rottweiler al culo.»
Era sveglio. Era sveglio e mi aveva lasciata andare.
«Se eri sveglio perché non mi hai fermata?» Scosse nuovamente la testa, incredulo a quella domanda.
«Non pensavo che te ne potessi andare così, dopo quella notte. Credevo solo che andassi a rivestirti, preparare il caffè, raggiungermi per un secondo round. E invece ho sentito quella maledetta porta chiudersi e tu non c’eri più.»
Dio, l’avevo ferito.
Non avrei mai creduto di poterlo dire ma Edward si era sentito davvero ferito dal fatto che me ne fossi andata. Io pensavo di avergli fatto un favore, di essermene andata prima che fosse lui a cacciarmi.
«Edward, mi dispiace, io-» Mi fermai perché il suo cellulare squillò e l’espressione sul suo viso si fece preoccupata e angosciata.
«Beth?»
La risposta dall’altra parte non gli piacque perché si passò una mano tra i capelli e gli occhi si fecero lucidi, anche se cercò di mantenersi stoico di fronte a me.
«Ho capito, arrivo subito. Sì, il tempo di fare la strada.» Fece una pausa e strinse il pugno sul fianco. «Non me lo devi dire tu, amico. E’ di Beth che stiamo parlando. Arrivo subito.»
Infilò il telefono in tasca della giacca e si voltò verso di me sospirando.
«Devi andare.» Mormorai, incapace di pensare a niente altro che una bellissima ragazza bionda e formosa che lo aspettava.
«Devo andare. Vorrei finire questa conversazione ma può aspettare. Beth no.»
Annuii, consapevole che avrei potuto dire che io potevo sempre aspettare, gli altri no. Io non ero mai la prima della lista per nessuno.
«Ti accompagno alla macchina prima di andare.»
«No, chiaramente hai fretta. Prendo un taxi, non preoccuparti per me.»
«Bella! Sali in macchina, per favore.»
Scossi la testa e mi voltai dandogli le spalle.
«Beth non può aspettare, Edward. Io prendo un taxi e mi arrangio.»
«Dio, che fatica!» Esclamò prima di prendermi per un polso e tirarmi verso la sua auto di corsa. «Non ho tempo per queste stronzate.» Come se l’avesse previsto il telefono nella sua tasca prese a squillare e rispose con l’altra mano. «Dimmi!»
Quello che gli dissero dall’altra parte era ancora più spaventoso di prima perché prese a correre, incurante dei miei tacchi e del mio cuore ormai sparso sul marciapiede.
«Cinque minuti e sono lì Beth, aspettami. Beth mi senti? Arrivo.»
L’angoscia sul suo viso mi fece preoccupare e, anche se avevo appena seminato pezzi del mio cuore per la strada, mi infilai di fretta in macchina.
«Chiaramente hai fretta. Posso prendere un taxi.» Dissi mentre comunque mi infilavo la cintura di sicurezza. Uscì dal parcheggio sgommando e attraversò il traffico come un pazzo. Non osai dire nulla, ma vidi che non si dirigeva al lavoro. Non avevo nessuna voglia di conoscere questa Beth, chiunque essa fosse, né di stare con Edward un minuto di più, capivo che la situazione doveva essere grave e non sapevo se sarei stata in grado di affrontarla. Perché sapevo che mi stava portando con sé. Quando mi voltai per parlare lo trovai con il pugno sulle labbra e gli occhi lucidi. Qualsiasi cosa stesse succedendo Edward sembrava turbato come non mai. Parcheggiò di fretta davanti ad uno stabile e scese dall’auto. Lo imitai in fretta e lo seguii dentro le porte automatiche. Mi bloccai quando lessi il nome della clinica a caratteri cubitali sulla parete dietro la reception. Camminò velocemente per quei corridoi, come se li conoscesse a memoria e poi si bloccò, prima di svoltare verso un corridoio più stretto e mi prese il volto tra le mani.
«Non ho tempo per nessuna spiegazione ora. Ma, ti prego, non andartene. Ho bisogno che tu sia qui, Bella. Ti prego.» Annuii con forza e intrecciai la mano con la sua seguendolo a passo svelto fino ad una porta chiusa da cui si sentivano rumori angoscianti. Non bussò, non si presentò, si infilò semplicemente dentro la stanza tirandosi anche me.
Restai sconvolta e senza parole.
Una piccola parte di me si accasciò sul pavimento, senza respiro e senza forze. L’altra, quella abituata alle dure lezioni della vita, restò stoicamente in piedi e reggere quella più debole.
Jasper era seduto sul letto di una ragazza e tentava di tenerla ferma. Un’infermiera le teneva la testa e le parlava dolcemente ma con fermezza. Edward mi lasciò la mano e si fiondò al letto. Io restai indietro, impietrita.
Jazz si spostò di fretta per lasciare il posto al suo amico e Edward prese tra le braccia la ragazza, appoggiandosi la testa al petto e mormorando parole dolcissime all’orecchio.
«Sono qui Beth, calmati. Sono Edward, sono qui. Ti tengo io, ti stringo io. Respira, calmati. Ci sono io, apri gli occhi Beth, ti prego, apri gli occhi.» La scena era particolarmente toccante e terrificante. Le sue braccia erano ricoperte di cicatrici da ustioni, le gambe erano immobili sul letto, non ci volle un genio per capire che era paralizzata dalla schiena in giù. Le braccia si agitavano ma quando Edward riuscì a fare breccia nella sua mente si calmarono e si aggrapparono alla sua camicia. Era una ragazza bellissima, eppure sconvolta. Non vedevo il volto di Edward dalla mia posizione, ma Jazz si accasciò per terra e sospirò con il fiatone e l’infermiera preparò qualche puntura da fare alla ragazza.
«No, non voglio che si addormenti con quella roba, ci penso io Edith, grazie.» Lei scosse la testa ma se ne andò chiudendo la porta dietro di sé e borbottando qualcosa che non capii.
«Mi dispiace Edward.»
«Sta zitto.»
«Non è colpa mia, te lo giuro.»
«Sta zitto, Jazz.» Si mise più comodo accarezzando il volto di quella ragazza e stringendosela al petto. Quando lei aprì gli occhi lui vi guardò dentro e le sorrise dolcemente. «Ciao piccola.» Mi si strinse il cuore e lo stomaco per la dolcezza con cui le parlava. «Mi hai spaventato da morire, tesoro. Non farmi più scherzi del genere, non quando sei arrabbiata con me. Ho avuto paura, Beth. Tanta. Non litighiamo più, ti prego.»
«E-ed-edward.» Ci vollero tre tentativi prima che riuscisse a dire il suo nome.
«Non parlare piccola, stringimi forte e basta.» Non l’avevo mai visto così. Era di una dolcezza e di una tranquillità infinita. Sembrava un padre che stringe al petto sua figlia. Ma lei non era una bambina e l’età tra i due era chiaramente ravvicinata.
«N-non v-vol-evo spa-spavent-arti.»
«Lo so tesoro. Lo so. Ora cerca di riposare.»
«Non…voglio. E’ tutto…buio se…chiudo…gli occhi.»
Dio, che strazio. Mi cedettero le gambe e quasi caddi. Riuscii ad aggrapparmi a una scrivania che non avevo neanche notato. Tolsi le scarpe e i miei movimenti richiamarono lo sguardo di Jasper e di Edward su di me. Non volevo. Non era il mio momento. Mi appoggiai alla scrivania e incrociai le braccia, abbassando lo sguardo. Non volevo mostrarmi così toccata né prendermi il momento, ero solo caduta perché ero stanca.
«Vieni qui.» Mormorò Edward indicando con la testa il letto al suo fianco. Non ci pensavo neanche morta, scossi la testa e lui sospirò forte. Jasper si alzò e con gambe malferme si avvicinò alla porta e quindi a me.
«Vado a far preparare un infuso caldo. A dopo.»
Quando la porta si chiuse Beth si strinse al corpo di Edward.
«Ho freddo.» Lui l’avvolse con la coperta del letto e se la strinse più vicina al petto.
«Sai Beth, ti ho portato una persona da conoscere. Se te la senti te la presento.» Bastardo, mi aveva fregata.
La ragazza si rianimò un po’ e cercò di muoversi per tirarsi seduta, ma Edward la strinse più forte.
«Sì, sì. Hai portato Bella?» Lei sapeva già di me? Chi… Poi guardai Edward e il suo sguardo dolce verso la ragazza.
«Sì, ho portato Bella. Vuoi conoscerla?»
«Lei…Ha visto la mia crisi?»
Dio, si ricordava di tutto! Le crisi del genere solitamente si dimenticano quando ti risvegli, lei no. Com’era possibile?
«Beth…»
«No, mandala via. Non voglio conoscerla. No. Edward ti prego. Mandala via.»
Fu in quel momento, credo, che il mio mondo si rivoltò. Edward era ad un bivio, lo vedevo mentre se ne stava lì a pensare chi tra me e lei dovesse scegliere. Non era giusto, così lo feci io, per entrambi. Mi avvicinai al letto e presi posto al fianco di Edward, sotto il suo sguardo preoccupato e angosciato.
«Ciao Beth. Non posso andarmene perché non ho i soldi per il taxi e sono venuta con Edward. Ti dispiace così tanto?» Lei nascose la testa sul petto di Edward e si tolse dal mio sguardo, come una bambina timida. Le accarezzai la testa e le poggiai una mano sulla spalla.
«So cosa stai provando, più o meno. Non devi preoccuparti se ho visto quello che è successo prima. Quando ero più piccola mio fratello doveva stare sveglio tutta la notte con me, perché avevo paura di addormentarmi. Facevo degli incubi così brutti che sembravano reali e mi svegliavo con le convulsioni.» Sentii il corpo di Edward irrigidirsi al mio fianco mentre pronunciavo quelle parole. Mi ero lasciata andare a una confessione che difficilmente avevo liberato negli anni. Sapevo, però, che andava fatto per poter arrivare a quella ragazza, mettere nelle sue mani una parte del mio passato; l’avevano fatto con me anche quando ero piccola, quando frequentavo lo studio della psicologa le prime volte.
E funzionò anche con Beth. Alzò gli occhi verso di me e mi sentii mancare sul letto. Ero certa che da un occhio fosse completamente cieca, perché l’occhio era vitreo, spento, immobile. Dio, cos’era successo a quella ragazza?
«Ciao Beth.» Riuscii a mormorare dopo averla fissata negli occhi per un po’. Lei non sorrise, tornai ad accarezzarle i capelli sudati, per farle capire che c’ero, che non ero così sconvolta da andarmene. Ero molto sconvolta, ma la cosa che mi terrorizzava di più era sapere perché eravamo lì e cosa voleva dire esserci.
«Ciao.» Disse piano. Edward si rilassò appena, sistemando meglio la coperta sul corpo infreddolito di Beth. «Sei…molto…carina.» Risi imbarazzata e le tolsi un ciuffo di capelli dalla fronte.
«Grazie. Io penso che tu sia bellissima.» Sbuffò e scosse la testa.
«Ha ragione Bella, sei bellissima Beth.»
«N-non è… vero. Lo sai. Una come…me n-non può… esserlo.»
«E chi l’ha detto?» Abbassai la testa quasi al suo livello e inspirai il profumo di Edward, così calmante e dolce. «Devi riposare, farti una doccia, forse poi potrai discutere con noi riguardo a questa cosa. Ma non vincerai. Tu sei bellissima. Ho ragione io.» Le sorrisi e mi tirai su.
«E-edward…» Si girò verso di lui e si strinse al suo petto. Per un attimo la invidiai. Avevo bisogno di un abbraccio così anche io. Avevo la necessità di sentirmi al sicuro e protetta proprio come lo era Beth in quel momento. «La…tua…ragazza è…una bugiarda. Ma è…carina.»
Io e Edward ridemmo a quelle parole, ma entrambi ci guardammo negli occhi, imbarazzati, una volta finito. Le mie guance si colorarono di rosso e lui mi sorrise dolcemente.
Il momento venne interrotto da Jasper che entrò con un vassoio pieno di delizie. So che Beth doveva mangiare per riprendersi in quel momento, ma io faticavo a far scendere anche la mia saliva.
Appoggiò tutto sul tavolino di fianco al letto e si schiarì la voce.
«Abbiamo tea caldo per tutti e un bel ciambellone morbido fatto dalla cuoca oggi pomeriggio.»
Beth si strinse a Edward e scosse la testa.
«Piccola, devi mangiare qualcosa. Lo sai. Non voglio che ti facciano dormire con quella robaccia, ma devi metterti in forze e mangiare qualcosa. Ti facciamo compagnia anche noi.» Beth sbuffò e cercò di mettersi seduta. Edward l’aiutò mentre io prendevo posto su una sedia lì vicino. Jasper mi porse la tazza e una fetta di ciambellone.
In silenzio mangiammo, nessuno di noi ne aveva voglia ero certa, ma per il bene di Beth ci sforzammo tutti. Edward restò seduto sul letto, aiutò lei a mangiare mentre sorseggiava la bevanda calda.
Il silenzio era imbarazzante, non sapevo cosa fare, come muovermi per non fare rumore. Mi sentivo a disagio in quella situazione di stallo. Ero toccata dagli eventi di quella sera, non ero pronta ad affrontare una verità così né quella scarica di sensazioni forti come quelle vissute. In mio aiuto, per fortuna, venne Jasper che si avvicinò a me mettendomi una mano sulla spalla.
«Io devo andare. Entro in servizio tra un’ora e mezza, ho bisogno di passare da casa. Ti do un passaggio se vuoi.» Annuii in silenzio e mi alzai in piedi, facendo troppo rumore per quel silenzio assordante. Notai che Edward si era voltato a guardarmi angosciato, cercai di sorridergli, ma temo che la smorfia che fece la mia faccia fosse tutt’altro.
Mi avvicinai al letto e strinsi nella mia la mano di Beth, abbandonata sulle lenzuola.
«Devo andare Beth, mi ha fatto molto piacere conoscerti.»
«Verrai…ancora a…trovarmi?» Doveva essere molto stanca e molto provata, parlava ancora lentamente e con pause infinte spezzate da profondi sospiri.
«Sì, certo. Domani ho una giornata impegnativa, ma se ti fa piacere posso venire a trovarti giovedì.»
«Con…Edward?»
Non mi azzardai a guardarlo. Avevo il terrore di scoprirci disapprovazione e negatività.
«Se lo desidera. Se no verrò da sola, se ti fa piacere.»
«Certo. Voglio…mostrarti…i miei…d-disegni.» Le sorrisi e le strinsi più forte la mano.
«Allora passerò senza dubbio. Tu però riposati e mangia tutto quello che ti porteranno. Promesso?»
«Promesso.» Le sorrisi e mi voltai per uscire. Jasper aveva in mano le mie scarpe, Edward mi guardava come se fossi arrivata da un altro pianeta.
Mi avvicinai e stupii entrambi appoggiandogli una mano sulla guancia, gli accarezzai lo zigomo con il pollice e mi abbassai verso di lui.
«Disdico gli appuntamenti che non posso gestire io per domani. Non ti voglio vedere in ufficio prima di giovedì. Hai bisogno di riposare e di stare qui. Ci sentiamo domani.» Lui annuii e basta. Avevo notato che non mi aveva più rivolto la parola da quando eravamo entrati in quella stanza e non sapevo come prenderla. Nonostante tutta la situazione mi sarei aspettata una parola, un ‘ciao’, un ‘a domani’; invece nulla.
Seguii Jasper in corridoio ma mi fermai sentendo Edward chiamarmi. Jasper mi fece segno che mi avrebbe aspettato fuori, mentre io mi giravo e osservavo il mio capo raggiungermi a passi lenti e stanchi.
Infilò le mani in tasca dell’abito ormai sgualcito. La camicia era stropicciata e bagnata, il viso straziato da tutta quella giornata.
Passava il peso da un piede all’altro, imbarazzato.
«Io…Non so cosa dire. Grazie per-» Lo fermai alzando una mano e scuotendo la testa.
«Dio, ti prego! Non ringraziarmi.» Mi passai una mano sul volto. «E’ stata una giornata infinita e molto impegnativa. Per tutti i versi. Abbiamo bisogno di dormirci su e di capire come affrontare questa conversazione.» Forse dissi qualcosa che lo mise in allarme, forse non mi resi conto di aver parlato di qualche tabù, o forse rimase solo sorpreso che ne volessi parlare.
«Bella, io… Lei è…»
«Tua sorella.» Affermai, certa della somiglianza dei due e del rapporto che li univa. Lui annuì e mi osservò più impacciato di prima. «Vi somigliate così tanto.» Alzai le spalle e feci un mezzo sorriso per rassicurarlo.
«Grazie, per essere rimasta.»
«Ho bisogno di andare. Jasper mi sta aspettando.» Mi voltai per andarmene, ma lui mi raggiunse e mi appoggiò una mano sul fianco per trattenermi. Mi girai tra le sue braccia e lui appoggiò subito la fronte alla mia.
«Ti prego, non pensare male di noi.» Mi si strinse lo stomaco, il cuore ormai era distrutto da tutte quelle emozioni. Dio, pensare male? Io mi ero fottutamente innamorata di lui stasera.
«Edward…» Stavo per dirgli un mucchio di cose sconnesse per fargli capire che non l’avrei mai fatto ma lui mi fermò appoggiandomi un dito alle labbra.
«La storia è complicata e un giorno, ti prometto, te la racconterò. Però ti prego, noi…» Sospirò forte e scosse la testa. Gli occhi si riempirono di lacrime e lo vidi stringerli per nascondersi e riprendersi da quel momento. Appoggiai le mie mani sulle sue guance e lo strinsi forte per fargli aprire gli occhi.
«Edward non devi spiegarmi nulla. Mi hai chiesto di restare, l’ho fatto. Hai detto che avevi bisogno di me, sono rimasta. Adesso io ho bisogno di andare a casa, mettere in ordine tutto quello che… ho vissuto stasera. Non ero pronta. Era qui che volevi portarmi ieri, vero?» Annuì e il suo sguardo sembrava così spaventato. «Okay, ho davvero bisogno di riposare e organizzare l’agenda di domani. Tu non venire al lavoro, per favore. Prenditi una giornata per stare con Beth e riposarti. D’accordo?»
«Sì.» Mi allontanai di un passo, poi di un altro ancora. Ne feci un altro e poi mi voltai per uscire da quella clinica. Ero ancora a piedi nudi e me ne resi conto solo sul marciapiede. Salii in macchina di Jasper e allacciai la cintura di sicurezza. Non parlammo fino al portone di casa mia. Avevo lasciato nella macchina di Edward la valigetta del lavoro, il computer e tutti i documenti che mi sarebbero serviti per lavorare stasera. Per fortuna avevo avuto la brillante idea di prendere la borsa con le chiavi di casa e tutto il resto.
«Ho la macchina al lavoro. Me ne sono completamente dimenticata.» Scossi la testa mentre cercavo le chiavi dentro la borsa.
«Vuoi che ti accompagni a prenderla?» Scossi la testa.
«Non ce la farei a guidare.» Presi le scarpe dal sedile posteriore. «Grazie del passaggio.» Stavo per chiudere lo sportello quando il mio amico mi richiamò.
«Non lasciarlo solo Bella.» Scossi la testa ed entrai in casa. Poppy mi fece le solite feste ma quando si accorse che non le davo attenzioni si accucciò e mi guardò confusa, come se capisse che c’era qualcosa che non andava. Lanciai la borsa sul divano, presi solo il cellulare, andai in camera e mi spogliai completamente. Aprii l’acqua calda, e mi infilai sotto. Non so quanto tempo rimasi lì sotto, ma ne uscii solo quando divenne fredda. Infilai distrattamente una maglia e un pantalone della tuta e puntai la sveglia per il mattino seguente. Appoggiai la testa sul cuscino e cercai di addormentarmi senza rivivere scena dopo scena quello che avevo visto qualche ora prima.
Ero davvero pronta a parlare con Edward di quello che avevamo condiviso quel pomeriggio? Ero sicura di riuscire a vivere questa situazione senza crollare? No. Non ne ero sicura. Peggio, sapevo che non ce l’avrei fatta.
Il pensiero di affezionarmi a qualcuno e di perderlo era angosciante e deprimente, è sempre stato difficile socializzare in modo definitivo con qualcuno, in modo profondo. La mia psicologa dice che è un problema che mi porto dalla morte di mio padre e dall’abbandono di mio fratello. Io penso che abbia ragione, ma penso anche che in questi anni ho cercato di abbattere la mia paura attaccandomi ai miei colleghi di lavoro.
Colleghi che però non conoscono nulla della mia vita e del mio passato. Mentre Edward e Beth conoscevano di me molto più di quello che avevo permesso di conoscere agli altri in molti anni.
Stasera avevo capito molto di più di Edward, il motivo per cui è così freddo e distaccato, così forte e determinato. Penso di aver capito anche il motivo per cui spesso veniva al lavoro con un diavolo per capello, superare lo stress di questa situazione deve essere difficile e convivere con la consapevolezza di non poter fare più di quello che già fai per lei… deve essere straziante.
No, non ero affatto pronta ad affrontare tutto quello.
E gli incubi di quella notte, me lo confermarono.

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