martedì 16 aprile 2019

Capitolo Sedici


Edward Pov

Mi è capitato più volte di svegliarmi in queste condizioni, aprire gli occhi e rendermi conto che il peso di un corpo femminile mi schiaccia sul materasso. E’ già successo numerose mattine di trovarmi i capelli di una lei tra le labbra e il braccio atrofizzato perché la sua testa, le sue spalle o qualche altra parte del corpo premeva e bloccava la circolazione. Non è nulla di nuovo tutto quello che mi circonda.
Eppure, allo stesso tempo è completamente diverso.
Il cuore non ha reagito allo stesso modo. Quando il torpore del sonno mi ha abbandonato ho sentito, chiaramente, il cuore fare un balzo e poi battere veloce.
Veloce. Correva. Corre ancora, a dir la verità.
E’ una sensazione di benessere che non ho mai provato prima, come se il mio corpo si fosse rilassato, come se la mente riconoscesse che il corpo al mio fianco è quello della persona giusta. Anche se non può essere. Il suo profumo è un dolce risveglio e la sua pelle calda contro la mia mi rende elettrizzato.
E’ rara questa sensazione.
Ma allo stesso tempo fa una paura fottuta. Non sono abituato a sentirmi così, né a percepire questa sorta di legame con una donna. In tutti questi anni le donne che hanno frequentato il mio letto se ne sono andate in fretta, proprio come erano venute. Isabella, invece, ho come la sensazione che sarà difficile farla allontanare di qualche metro d’ora in poi. Non dovrei volerlo, lo so bene. La mia vita è un casino abissale da ogni parte da cui la si osserva e trascinare anche lei dentro questa spirale vorrebbe dire rovinare ogni cosa e spegnere il suo sorriso.
In fondo, possiamo continuare a stare insieme e lavorare insieme senza che questa cosa che c’è tra noi diventi qualcosa in più, qualcosa di importante e indimenticabile. Possiamo anche mantenere tutto su un piano fisico e goderci le giornate insieme come vengono, senza dare troppa importanza a quello che percepiamo a livello di emozioni. Innamorarmi è comunque escluso, non posso permettermelo e impegnarmi seriamente con una donna, portarla fuori a cena, condividere con lei gli spazi e i pensieri angoscianti della mia quotidianità vorrebbe dire coinvolgerla anche in quella parte che tutti definiscono scheletri nell’armadio, ma che per me sono ombre che ancora mi seguono e mi accompagnano lungo la strada.
No, decisamente non fa per me.
Si agita nel sonno e capisco che sta per svegliarsi. Le gambe si tendono e le braccia diventano rigide non appena si rende conto della posizione che ha assunto durante la notte. Attendo prima di farle sapere che sono sveglio, voglio vedere la reazione e l’impatto che questo momento ha su di lei. E’ sempre in grado di sorprendermi e di avvolgermi in uno strato di nebuloso torpore, ottimo per dimenticare i miei obblighi e i fantasmi che se ne stanno alle mie spalle.
Socchiudo gli occhi, in modo che se si voltasse non riuscirebbe a vedere che sono sveglio e mi perdo a osservarla. Nonostante la rigidità del corpo resta lì, appoggiata a me e poi fa una cosa pazzesca che mi lascia senza fiato. Annusa la mia pelle prendendo un profondo respiro e struscia il naso diverse volte sul mio petto. Nessuno l’ha mai fatto, né tanto meno ha mai avuto l’accortezza di godersi il mio profumo prima di allontanarsi lentamente e sgusciare via dal mio abbraccio. Lei invece, silenziosamente, cammina a piedi nudi lungo la camera fino ad arrivare alla porta e poi oltre. La sento muoversi nel salotto, raccogliendo gli abiti sparsi nel salone. La immagino mentre si riveste in tutta fretta e poi il rumore di una porta che si chiude mi conferma quella che da un paio di minuti è diventata una paura che non sapevo di provare.

E’ andata via. Mi ha lasciato da solo dopo aver passato la notte con me e aver condiviso uno dei momenti migliori della mia vita.
E’ andata via. Fuggita con i primi raggi del sole e con l’ansia della mattina dopo aleggiante nella camera da letto. Ha pensato di risolvere al meglio la situazione, senza affrontarla.
Neanche mi esprimo sul fatto che non è da lei comportarsi in questo modo.
Una rabbia cocente si impossessa del mio corpo e non solo verso di lei. Sono furioso con me stesso per aver permesso che questa sua dipartita mi deludesse nel profondo. Non avrebbe dovuto. Avevo appena deciso nella mia mente che le cose non sarebbero andate oltre il livello fisico, la sua fuga è quello che dovevo sperare. Non dovevo assolutamente sentire questo bruciore allo stomaco e il peso sul petto. No. Non è così che dovevano andare le cose, lei avrebbe dovuto restare, guardarmi e… Cosa? Cosa avevo pensato appena un attimo fa? Che non la dovevo far entrare nella parte della mia vita che tenevo debitamente blindata. Ed ora ci resto di merda perché è scappata? Dovrei solo ringraziarla.
Mi alzo di scatto dal letto e vado in bagno, apro il getto dell’acqua calda e neanche aspetto che sia arrivata a temperatura e mi ci infilo sotto. Devo lavare via l’odore della sua pelle, dei suoi baci e la sensazione delle sue mani che mi accarezzano. Mi insapono con foga, come se questo gesto potesse cacciare la confusione che c’è nella mia testa.
Andata.
In silenzio.
Senza salutarmi.
Pensavo che fossimo arrivati al punto di poter dire, quasi con totale certezza, che stessimo entrambi bene l’uno con l’altra e che il passo di stanotte era quasi dovuto, arrivati al nostro punto. Non pensavo a lei come la mia donna, la mia ragazza o qualcosa di romantico del genere, ma credevo almeno di poter affermare di avere una sorta di relazione con lei. Il suo comportamento, invece, mi ha confuso e sconcertato.
No, decisamente non c’è nessuna cazzo di relazione tra me e una donna che si comporta così.
Ricordo a me stesso che non sono questi i pensieri che dovrebbero girarmi per la testa, mi sono svegliato pensando che non potevo affezionarmi a lei in modo profondo e una mente che funziona, come pensavo fosse la mia, dovrebbe essere serena dopo la sua fuga.
Esco dal bagno con un asciugamano attorcigliato in vita, senza degnare di uno sguardo il letto sfatto, ricordo di una notte che, seppure meravigliosa, mi ha lasciato l’amaro in bocca.
Altro che risveglio e risveglio, le donne bisogna cacciarle subito dopo esserci andati a letto, punto.
Infilo la prima polo a caso e un paio di jeans e, senza neppure bere un caffè, esco da quella casa così soffocante. Ho la necessità di staccare la testa da tutte queste cazzate e di ritrovare la concentrazione giusta per andare avanti, dimenticandomi di lei.
Sì, è quello che devo fare. E’ quello che la mia testa dovrebbe ripetermi ogni secondo. E’ ciò che sarebbe capitato con ogni altra donna, come ce ne sono state in passato. Dimenticarmi di lei è facile come lo è stato per tutte le altre donne che sono passate nel mio letto prima, donne che mi hanno concesso i piaceri di una notte e che non si sono minimamente avvicinate al vero me. Giusto. Ero tranquillo. Era così che doveva andare.
E invece no, cazzo. No, dannazione! Non era affatto così che doveva andare.

La macchina percorre le vie della città in autonomia, sapendo con certezza che stamattina ho bisogno di andare proprio lì, dove non esistono tutte queste stronzate e dove il mio cuore può sentirsi libero di aprirsi ed esplodere per poi ricomporsi nuovamente, più forte di prima. Il braccio fa male, ma fanculo.

Le porte di fronte a me si aprono qualche minuto dopo aver parcheggiato, Edith mi saluta con un sorriso caloroso e un braccio alzato.
«Ci vediamo più tardi campione! Ti sta aspettando!»
Il corridoio, sempre uguale, mi inghiottisce completamente, togliendomi il sorriso dalla faccia per tutto il percorso. Quando arrivo di fronte alla porta bianca di legno sospiro e, prima che possa aprirla io, Jasper ne esce sorridente.
«Che diavolo ci fai qui?» Per quanto sia stato un ottimo amico in queste settimane di infortunio, non sopporto che venga qui. Non deve esserci lui, nessuno può sostituirmi qui dentro.
«Ciao anche a te straniero! Appoggiato il piede sbagliato questa mattina?»
«Fatti gli affaracci tuoi. Rispondi alla mia domanda.»
«Sono qui ogni settimana, passo prima di andare al lavoro o al ritorno da un turno. Non è solo il tuo posto questo, per quanto ti piaccia pensarlo. Comunque, se ti fa piacere saperlo, oggi è una giornata di sole!» Volto lo sguardo verso la finestra, accertandomi di aver visto bene le gocce di pioggia cadere sul parabrezza mentre parcheggiavo. Non si riferisce al tempo. «Quindi ti consiglio di toglierti dalla faccia quel grugno antipatico e di sorridere, perché è davvero una buona giornata!»
Forse per te, cazzone. Non di certo per me!
«Non ti voglio qui.»
«Anche se paghi profumatamente questo posto, ribadisco il concetto: non ne sei il proprietario. Come non sei il proprietario di questa stanza o cosa e chi c’è all’interno. Prima lo capisci più facile sarà accettare che vengo qui da anni, senza il tuo permesso.»
«Dovrò dare nuove disposizioni a Edith!»
«Oppure potresti fartene una ragione, ringraziarmi per tutto quello che ho fatto in questi anni come farebbe una persona normale, entrare in quella stanza e continuare la tua vita come se ti facesse addirittura piacere che io venga qui, senza lasciarla sola.» Il suo sguardo si fa più duro, parola dopo parola; nonostante sappia da me che ha ragione, mantengo il mio punto fermo.
«Non è sola.»
«No, hai ragione. Io e Rosalie passiamo una volta a settimana, probabilmente tu vieni qui ogni giorno. Non è sola. Quindi di cosa stiamo discutendo?» Allarga le braccia ghignando verso di me. E’ insopportabile quando ha ragione e purtroppo non posso dargli torto, neanche volendo. «Come ti ho detto… oggi per lei splende il sole. Ha appetito, si diverte ed ha una pazza voglia di fare partite a forza quattro per stracciare chiunque. Quando ti sarai calmato entra lì dentro e fa che continui a splendere il sole.»
Se ne va, senza aggiungere altro e facendomi sentire una merda. Dovrei essere felice che lui e Rosalie vengano a trovarla, dovrei essere felice che questa sia una giornata buona e felice… perché le giornate brutte sono sempre di più e sempre dietro l’angolo. Non sai mai quando arrivano, quando passano e quanto brutte siano.
Il mio umore varia in base al suo e la mia vita, ormai, è in funzione di queste visite. Ha ragione Jasper, vengo qui dentro ogni giorno… anche due volte al giorno, la mattina e la sera oppure a pranzo. Ci sono stati periodi in cui le mie visite erano più frequenti perché non stava bene e la preoccupazione mi impediva di allontanarmi per troppe ore. Poi ho iniziato ad allontanarmi, fino a far diventare le mie visite una al giorno. Gli impegni, la paura, l’angoscia mi succhiavano troppa energia e quando entro dentro quella stanza me ne serve fin troppa.
Tolgo di mezzo tutti i pensieri negativi e mi stampo un sorriso sulla faccia, finto e plastico ma so per certo che lei non se ne accorgerà. Non se ne accorge mai.
Abbasso la maniglia della porta e faccio un passo dentro la stanza.
«Ciao piccola!» Le pareti blu con milioni di stelle dipinte di un bianco brillante mi avvolgono. Tutto il resto è esattamente come l’ho lasciato ieri. La scrivania al solito posto, la poltrona vuota vicino al letto, il comodino con un paio di cuffiette appoggiate malamente e un blocco da disegno. La vetrata che da sul giardino interno della clinica… e poi lei.
Indossa un paio di pantaloni della tuta blu e una maglia bianca, i capelli sono ancora corti e di un colore castano dorato così simile al mio. Le palpebre sbattono più volte mentre un sorriso gioioso le si forma sul volto.
«Ciao Edward! Pensavo venissi più tardi oggi. E’ appena stato qui Jasper, vi siete incontrati?»
«Sì, l’ho trovato nel corridoio. Perché non mi hai detto che viene una volta a settimana?»
«Pensavo che lo sapessi. Mi ha detto che siete ottimi amici e che avete passato l’infanzia insieme praticamente, non è così?»
Fingi, coglione. Fingi e lei non si accorgerà che le stai mentendo.
«Ottimi amici fin da quando avevamo due anni. Entrambi molto vivaci e combina guai. Eppure non sapevo che veniva a farti visita!» Stringo i pugni lungo il mio corpo, maledetto.
«Beh, non è un problema. Mi tiene compagnia, mi racconta un sacco di cose su di voi. Mi fa sentire meno sola.» Di nuovo quella dannata parola.
«Beth, non sei sola. Non lo sei mai stata.» Mi siedo sulla poltroncina e racchiudo le sue mani tra le mie. «Se ti senti sola durante la giornata dì a Edith di chiamarmi e verrò qui quando vuoi. Sai che puoi farlo.»
«Tu lavori, hai una società da mandare avanti e Jasper dice che fai un sacco di soldi perché lavori moltissimo. Io sono una distrazione e un peso, non puoi far fruttare i tuoi affari se te ne stai al capezzale di una ragazza malandata.»
E per fortuna che era una giornata buona!
«Beth, ma che dici! Non parlare mai più così. Non ne voglio discutere. La società va avanti anche senza di me, in più qui c’è la connessione internet per cui potrei lavorare da qui senza alcun problema. Ora, raccontami cosa hai fatto stamattina!»
«Solo se tu mi racconti di più di questa Bella che frequenti.» La bocca mi si spalanca e lei si lascia andare a un risolino che non ho mai sentito. «Beccato! Allora è qualcuno di importante? E’ bella? Di che colore ha i capelli? E gli occhi? Dai raccontami!»
«Tu come fai a sapere di Bella?»
«Ho le mie fonti.» Ride, sbilanciandosi all’indietro e non ricordo di averla mai vista così felice da molto, molto tempo. «E’ finalmente quella giusta? Ti sposerai? Posso venire al matrimonio? Oh, posso essere la madrina del vostro bambino?» L’esuberanza e l’eccitazione che traspare da ogni gesto e poro della sua pelle mi rende euforico. E’ una gioia vederla così.
 «­Beh, a dir la verità no. Non è quella giusta, non mi sposerò e non avrò dei figli con lei. Però posso raccontarti qualcosa in più se ti fa piacere. Cosa vuoi sapere?» Spegnere le sue speranze mi fa star male, ma non le ho mai mentito in tutti questi anni, sulla mia vita, non ho intenzione di iniziare ora.
«Oh. Perché?»
«Ieri sera è stata da me, abbiamo passato la notte insieme, mentre io questa mattina aspettavo ansioso di svegliarmi con lei per condividere la colazione… lei è sparita quatta quatta senza neanche salutarmi!»
La sua testa si era inclinata, come a dirmi “Che c’è di strano?”
«Non è da lei questo comportamento!»
«Magari aveva un impegno che non si ricordava, aveva bisogno di correre a casa e non voleva svegliarti sapendo che hai ancora bisogno di riposare dopo l’incidente.»
«Non lei.» Nonostante tutto ciò che le era capitato nella vita, Beth ha lo straordinario dono di pensare sempre bene di tutti, di non avere mai un pensiero cattivo o un pregiudizio su qualcuno. Questo, però, era anche il punto debole che mi preoccupava più di tutto il resto. Avvicinarla era così semplice, deluderla ancora di più. Beth non ha le forze per reggere le delusioni.
«Hai provato a chiamarla?»
«Per dirle cosa?»
«Per sapere perché è scappata in quel modo.»
«La motivazione è solo una. Ha ottenuto quello che cercava, nonostante sembrasse una brava e casta ragazza. Invece è una di quelle stronze pronte a lasciarti appena ottengono quello che vogliono e ne ho piene le scatole di persone come lei.»
«Come sei acido.» Arriccia le labbra, proprio nella smorfia identica che piega le mie labbra quando sono contrariato. «Io dico che c’è sotto di più, ma se tu non vuoi ascoltarmi pazienza. Ora però raccontami qualcosa in più di lei.»
«Non so cosa dirti…»
«Descrivimela, raccontami come ti ha conquistato, quello di cui ti sei innamorato e cosa più ti manca quando non c’è.»
Sbuffo, passandomi una mano tra i capelli e appoggiandomi mollemente sulla poltrona, sfinito da questi pensieri. Ed io che volevo scappare proprio da quelli.
«Non mi sono innamorato di lei, non mi manca niente quando non c’è e non sono stato conquistato. Appurato questo posso dirti che è una ragazza molto particolare, che ha sofferto nel suo passato, anche se non so ancora il perché. So anche che è molto comprensiva, compassionevole, astuta, brava nel suo lavoro e intelligente. In più è divertente e allegra, riesco sempre a sentirmi felice quando è nel mio raggio d’azione. Insomma… una donna apparentemente perfetta, che non lo è.»
Appoggia la testa al cuscino e sorride.
«Tu dici di non esserti innamorato, io penso che ci vai davvero vicino.»
«No, ed ora raccontami la tua giornata.»
«Non ho fatto granché, Edith mi ha portato la colazione, succo di mela, latte caldo e cereali e una barretta di cioccolata. Poi è passato James a salutarmi, il vecchietto della stanza in fondo al corridoio. Mi ha letto un trafiletto del giornale di stamattina e poi è venuto Jasper. Abbiamo parlato di te, di Bella e del fatto che sei vecchio e dovresti sistemarti!»
«Oh mio Dio! Sapevo che Jasper non ti faceva bene!»
«Invece è divertente. Quando passa a trovarmi riesce sempre a non farmi pensare come un’inferma. Pensa che una volta mi ha portata fuori in giardino, si è seduto accanto a me si è fatto bendare da Edith e abbiamo giocato a chi indovinava più profumi insieme a Paul, il figlio di Marie, la donna della stanza accanto. E’ stato bello perché ho vinto e Jasper era sconsolato.»
Pensare che Jasper potesse avere un ruolo così importante in questa vita, mi lasciava senza parole.
«E adesso cosa vuoi fare?»
«Vorrei tanto ascoltare te che chiami Bella e le chiedi perché se n’è andata stamattina!» Mi dice con un sorriso furbo. Non le ho mai detto di no, qualsiasi richiesta mi facesse, ma questo è decisamente troppo.
«Beth, no. Non è possibile.»
«E perché? Ti manca forse il suo numero di telefono?» Sto per rispondere ma lei apre la mano di fronte alla mia faccia e sorride. «No, decisamente. E’ una tua assistente al lavoro per cui, se ti conosco bene, le telefoni ad orari improbabili per lavorare. Ti hanno amputato le dita delle mani?» Fa finta di pensarci e vorrei riuscire a risponderle, ma con un sorriso sghembo identico al mio mi precede un’altra volta. «No, hai aperto la porta in autonomia e mi hai stretto le mani tra le tue. Quindi, l’unico motivo per cui non vuoi chiamarla è perché ti manca il coraggio. Non è vero?»
Penso di non essermi mai infuriato con Beth da quando è nata, ma oggi sta tirando fuori il peggio di me. Ruggisco un ‘no’ convinto e tonante e lei si ritira appena, come se avesse paura di me.
«Il coraggio non mi manca, semplicemente non ho voglia di parlarle né di pensare a lei. Possiamo fare qualcosa di diverso che analizzare la mia vita sessuale, per cortesia?»
Il suo sorriso ormai è spento e cerco di trovare nella mia mente qualsiasi cosa che possa renderla allegra come prima. Il senso di colpa è enorme.
«Puoi continuare a leggere il libro sul comodino, se ti va.» Lo afferro e comincio a leggere dal segnalibro lasciato il giorno prima. Ero così felice che sorridesse e fosse euforica, così speranzoso ed eccitato che quasi non potevo crederci. Invece con la mia boccaccia avevo rovinato tutto.
Chiudo il libro di scatto dopo due paragrafi, lei neanche mi sta seguendo, troppo impegnata a cercare il blocco da disegno sul comodino.
«Okay, ora basta. Beth non ti ho mai detto di no a nessuna richiesta. Questo però non c’entra con te e c’entra moltissimo su come mi sento io, invece. Non posso chiamarla per una serie infinita di ragioni che non capiresti, e non perché sei stupida ma perché semplicemente faccio fatica a capirci qualcosa io stesso. Bella è una donna meravigliosa e sono certo che avrebbe da dare molto di più di ciò che si concede. La stessa cosa vale per me. Abbiamo un passato entrambi molto difficile alle spalle, con esperienze che ci hanno segnato in modo diverso. Può sembrare che sia il destino a volerci insieme, ma ti assicuro che è solo una questione di attrazione. Per questo non capisco il motivo per cui stamattina se n’è andata senza dire niente e soprattutto non riesco a capire perché mi sento così deluso da questo comportamento, quando prima non mi sarebbe interessato. Quindi, prima di fare quella dannata telefonata vorrei cercare di capire queste cose da solo, in modo che sia più semplice affrontarla.»
«Come vuoi.» Afferrato l’album da disegno prende il carboncino e comincia a tracciare delle linee. Non ho mai capito come faccia a rendere ogni disegno così unico e meraviglioso, ma me ne compiaccio ogni giorno.
«Odio quanto fai l’arrabbiata con me.»
«Allora vattene.»
«Beth!»
«Voglio restare sola Edward, ci vediamo domani.»
La guardo concentrata sul disegno tra le sue mani, con gli occhi fissi sul cartoncino bianco e un’espressione delusa e corrucciata sul volto. E’ tornata la solita persona triste che odio vedere ogni giorno, maledizione.
«Beth, mi dispiace.»
«Anche a me, per quel che vale. Ci vediamo domani Edward, passa una buona serata.»
Il cuore mi si stringe nel petto come se fosse all’interno di una pressa. Non mi ha mai cacciato, neppure nei momenti di crisi, in quelli peggiori; mi stringeva la mano ed evitava di parlarmi ma stava con me. Mi sentivo importante, indistruttibile anche se completamente annientato dalla paura e dalla tensione. Ora, invece, mi sento annichilito.
«Non mi cacciare, Beth.» Ma le mie parole non scalfiscono neppure la prima pietra di quel muro. Purtroppo è la fortezza che si è costruita attorno dopo tutto quello che le è capitato ed io non posso fare altro che stare a guardare, immobile e muto.
Mi avvicino per poggiarle un bacio sulla fronte ma lei si scosta.
«Beth…» Mormoro il suo nome senza fiato. Non è mai stata così fredda e lontana da me, non so come comportarmi.
«I tuoi baci e le tue moine non funzionano Edward, quando capirai perché ti sto cacciando forse mi dirai che avevo ragione, fino a quel momento evita di comportarti come se andasse tutto bene tra noi e passa solo per un saluto.»
La durezza della sua voce ricorda tanto la mia, quando parlo con i dipendenti della mia azienda o quando devo mettere le cose in chiaro con qualcuno. Ha una determinazione e una forza di volontà che mi stupiscono, nonostante abbia un viso così dolce e carino.
Le volto le spalle e procedo verso la porta, con lo sguardo basso. Niente riesce a farmi soffrire quanto lei. Nessuno mai.
«Ciao piccola, buonanotte.» Non mi risponde come al suo solito, non mi sorride neanche a mezza bocca. Lascia solo che sia il silenzio a riempire l’aria e il rumore del suo gessetto che trascina sul carboncino a salutarmi.
Quando passo a capo chino davanti a Edith non prova neppure a fermarmi, solitamente sono io a chiederle novità o qualcosa in più, non facendolo l’ho sicuramente stupita.
Me ne torno a casa in silenzio, riflettendo sulle parole di una ragazzina che vuole insegnarmi cos’è la vita; lei che vive rinchiusa ventiquattro ore al giorno.
Non ho fatto i conti con ciò che trovo a casa, però. Un salotto vuoto, una cucina troppo grande per me e una camera da letto sfatta, che mi ricorda ancora di più che giornata di merda sia stata quella di oggi. E’ solo mezzogiorno ma non ho né fame né voglia di fare molto, l’unica cosa che posso fare per distrarmi è lavorare. Agguanto il portatile sul tavolino del salotto e lo porto nello studio dove inizio a controllare le mail e a fare ordine nel gran caos di questi giorni.
Quando finisco sono ormai le dieci di sera, metà della giornata è volata senza che io me ne accorgessi e non posso essere più soddisfatto di così.
Mi scaldo una lasagna congelata e decido che per stanotte il divano sarà il mio letto. Non voglio tornare in camera mia, dove la notte prima sono stato meravigliosamente e dove ancora c’è il suo profumo tra le lenzuola. Domani, quando verrà la donna delle pulizie le ordinerò di gettarle nella pattumiera e di comprarne di nuove.

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