sabato 7 gennaio 2017

Capitolo Quattordici

Ieri sera mi sono addormentata serena, senza nessuna angoscia o pentimento. Nella testa, prima di chiudere gli occhi e abbandonarmi al torpore del sonno, avevo la sequenza dei nostri baci, di Edward che mi sorrideva, che gemeva, si abbandonava a me.
E’ stato meraviglioso.
Stamattina il traffico non mi ha indisposta, non mi ha fatta arrabbiare, il ritardo con cui sono arrivata in ufficio non mi ha preoccupata, angosciata o resa antipatica. Ho salutato Alice di sfuggita e sono andata a rintanarmi nel mio ufficio. Immagino che ogni persona che mi incontra potrà notare, direttamente dal mio sorriso, che stamattina c’è qualcosa di strano. Spero solo che non facciano troppe domande. Angela sta giusto appoggiando la sua tazza di caffè, voltata verso di me, pronta per una raffica di domande quando il mio cellulare suona. Boss. Ridacchio tra me e me, senza destare troppi sospetti e mi scuso con Angela prima di uscire dall’ufficio.
“Pronto?”
“Buongiorno Bella!” Sorrido come una quattordicenne alla sua prima cotta mentre percorro il corridoio verso la terrazza in fondo agli uffici.
“Buongiorno anche a te. Come stai?”
“Bene, meravigliosamente bene. Tu? Ripensamenti?” Sussurra dopo un attimo.
“Nessuno. Sto benissimo.” Esco nel terrazzino coperto, nonostante sia freddo e non abbia con me la giacca; cerco di ripararmi addossandomi alla parete e stringendomi le braccia al corpo.
“Sei già in ufficio?” Lo sento sbadigliare e capisco che, nonostante tutto, non ha riposato abbastanza.
“Sono appena arrivata, e prima che mi rimproveri, sono in ritardo perché c’era una marea di traffico e mi sono svegliata tardi perché stanotte qualcuno è entrato nel mio appartamento, adducendo la scusa che ho delle labbra fottutamente perfette!” Ride dall’altra parte del telefono. E’ così maledettamente sexy e naturale ridere con lui.
“Devo essere geloso?”
“No, non credo. C’è Poppy a difendermi!” Sbadiglia ancora una volta e mi mordo la lingua per non chiedere se ha riposato stanotte.
“La tua cagnolina è particolarmente affettuosa e protettiva con te, ne sono felice. Posso stare tranquillo!”
“Ti preoccupi per me?”
“Sì.”
“Questa è nuova. Non molti si sono preoccupati per me negli ultimi anni…”
“Non dirlo a me. Tutte le attenzioni di Jasper sono così… irritanti.” Siccome lui non si è tirato indietro nel discorso… tento di fare la mia domanda.
“Hai dormito stanotte?”
“Un paio d’ore. Quando sono tornato a casa ero troppo… eccitato per dormire. E quando mi sono addormentato era l’alba. Jasper mi ha svegliato per le medicine prima di andare al lavoro e non mi sono più riaddormentato.”
“Niente incubi?” Sussurro.
“Niente incubi.” Sorrido felice che non siano stati quelli la causa della sua insonnia.
“Bene. Allora vedrò di stancarti abbastanza anche stasera, renderti molto eccitato per dormire, così non sognerai cose brutte e dormirai in pace e tranquillo per qualche ora.”
“Questa idea… suona molto allettante. Sapevo di doverti riprendere in squadra, Swan!”
Ci prendiamo un attimo per ridere insieme e poi si schiarisce la voce. Una punta di freddo mi fa rabbrividire e credo di battere i denti talmente forte che potrebbe sentirmi, ma non importa.
“Domani è sabato…”
“Lo so bene. E credo anche di non aver così tanto lavoro da portarmi a casa. Sono felice di aver fatto ore e ore di straordinari!”
“Hai impegni?”
“In realtà… no. Vorrei finire il bucato, stirare qualche camicia, pulire casa e prendermi del tempo per me. Non so quando mi ricapita di avere un sabato completamente libero!”
“Posso aiutarti?” Scoppio a ridere e una punta di calore mi scalda.
“Ti immagino proprio a stirare camice nella mia lavanderia! Non ci entri neanche, probabilmente! No, grazie Edward. È gentile da parte tua, ma fare la donna di casa, ogni tanto, mi rilassa.”
“Rimanda a domenica, passa la giornata con me.”
L’immagine di noi due stesi sul suo divano mi fa boccheggiare. Non posso passare tutta la giornata con Edward, non posso restare chiusa in casa con lui tutto il tempo.
“Edward…”
“Ci stai ripensando?” Una risatina mi scappa senza volerlo.
“No. Senti i miei timori non derivano dal fatto di ripensarci o di pentirmi. Okay? È solo che vorrei aspettare tu fossi in forze, guarito e senza impedimenti fisici. Ti affatichi ancora molto, le ferite ti fanno male. Questi sono gli unici motivi per cui ti dico di no per passare tutta la giornata con te. Però ho un’idea. Possiamo organizzare una cena a casa tua domani sera, arriverei qualche ora prima per cucinare qualcosa. Invitiamo gli altri e passiamo una serata tutti insieme. Che ne dici?”
“Non puoi venire a cena da me senza la truppa?”
“No, rischio di saltarti addosso e mandare in malora il tuo mese di riposo.” Dichiaro sincera e schietta.
“Sto bene. Davvero.” Dice con la voce arrochita.
“Certo, come no! Cena con la truppa o niente.”
“Va bene. Ora parliamo di lavoro. Novità per la produzione Newton?”
Parliamo per altri dieci minuti, lo aggiorno sugli appuntamenti di oggi, sulla produzione degli spot e mi elenca ciò che devo fare per lui. Poi ci salutiamo e ritorno alla mia scrivania. Il lavoro non mi è mai sembrato più gradevole di oggi, la fantasia galoppa, le idee arrivano a fiumi sorprendendomi. Nessuno riesce a deconcentrarmi, neanche le telefonate più lunghe e pallose. Sono una macchinetta. A pranzo io e Angela raduniamo i tirocinanti e raccogliamo le loro dispense, incaricandoli di nuovi progetti. Il pomeriggio invece è un po’ altalenante.
I messaggini che arrivano sul telefono mi tolgono la concentrazione e anche l’impegno, la voglia di attaccarmi allo smartphone e messaggiare come una quindicenne è invitante, ma devo resistere. Così rispondo di tanto in tanto, Edward mi chiede come va il lavoro, se ho mangiato, qual è il mio colore preferito e cose così. Nel momento in cui arriva a chiedermi se preferisco le mattonelle al parquet scoppio a ridere chiedendogli il motivo per cui vuole sapere tutto ciò.

“Perché così mi porto avanti. Mi sto annoiando, ho voglia di conoscerti ma sono sicuro che quando arriverai avrò solo voglia di baciarti e non parleremo molto. Portami la tua tesi!”

Mi deconcentra, dannazione. E’ talmente tenero che mi spiazza e, piuttosto che lavorare, sto qui a mandare messaggi e aspettare che mi risponda. Non posso permettermi il lusso di girarmi i pollici al lavoro, finché starà a casa l’ufficio lo mandiamo avanti in tre, e nessuno di noi è capo di questa azienda. Mancano poche ore, poi sarò libera di andare. Il pensiero di tornare in quella casa, da sola con lui, mi elettrizza da una parte, mentre dall’altra sono preoccupata. Non devono venirmi i dubbi adesso, no. Però… sì, sono preoccupata. E’ potenzialmente un disastro fin dall’inizio, perché continuare su questa strada se so già che non seguirà la retta via? Non sopportavo Edward durante le ore di lavoro, come posso pensare di costruirci una relazione?
E poi, lui la vuole una relazione o preferisce divertirsi un po’ al momento e poi piantarmi su due piedi?
No, non è il momento di farsi prendere da tutte queste paranoie. Avrò tutto il tempo del mondo quando sarò sotto le coperte. Ho deciso di provarci, giusto? Proviamoci.

“Ti porterò la tesi, ma ora per favore, ti prego, lasciami lavorare. Non riesco a pensare se continui a scrivermi!”
Mi risponde solo con uno smile che mi fa l’occhiolino e, anche se distratta il più delle volte dai miei pensieri, riesco a concludere la giornata finendo l’archiviazione di alcuni clienti. Non ho fatto poi molto, ma la colpa non è solo mia.
Salgo in macchina, imposto il navigatore con l’indirizzo di Edward, perché non ricordo la strada, e dopo essermi controllata il trucco in velocità mi immetto nel traffico dell’ora di punta. Ovviamente arrivo tre quarti d’ora più tardi e trovare parcheggio è un’agonia. Rimpiango mille volte il mio parcheggio sotterraneo e il portiere che tiene sempre un posto libero davanti al palazzo per le emergenze. Alla fine ho dovuto parcheggiare nella via laterale, dovendo farmi un bel pezzettino a piedi. Citofono e, ci scommetto grazie alla telecamera, mi apre senza neanche rispondermi. Salgo in ascensore con il cuore a mille. Cosa mi aspetto da questa serata? Già, cosa? Non ne ho idea. Ci ho pensato abbastanza, a lungo e profondamente, ma non sono ancora arrivata a fare dei progetti nella mia testa. Di sicuro non ho il tempo di farli in ascensore. Di una cosa sono sicura, però, non ci andrò a letto per numerosi motivi.
Quando arrivo sul pianerottolo la porta di casa è aperta e appoggiato con una spalla allo stipite c’è il padrone di casa. Bellissimo e sorridente. Indossa una maglietta a maniche corte nera, un paio di pantaloni della tuta grigio ed è scalzo, ricordo che nel suo appartamento fa molto caldo.
«Ehi, bellezza. Ci hai messo una vita ad arrivare!» Sghignazzo come una ragazzina.
«E’ l’ora di punta, che ti aspettavi? Per trovare parcheggio ho girato quattro volte tutto l’isolato. Penso di odiare questo quartiere!» Con la mano sana mi afferra il polso e mi tira a sé. Appoggia la fronte alla mia e sorride dolcemente.
«Pensavo che per la smania di vedermi saresti uscita prima, evitando il traffico cittadino.»
«Sono dovuta restare in ufficio fino all’orario solito per combinare qualcosa di buono. Sono stata distratta tutto il giorno e ho fatto poco niente. Spero che il capo non si arrabbi.» Il braccio sano scivola attorno al mio fianco e il pollice inizia a carezzarmi circolarmente la schiena.
«Hai un capo molto cattivo?» Mormora sorridendo.
«Dipende dai giorni. Alle volte è così stronzo che può licenziarti per un solo misero ritardo!» Scoppia a ridere allontanandosi dalla mia faccia e scuotendo la testa. E’ così bello.
«Sono certo che ci stia lavorando e che non si arrabbierà con te per oggi.»
«Lo spero. Perché ho anche messo in disordine tutto il suo prezioso archivio!» Dico mordendomi il labbro. Vedo orrore nei suoi occhi, anche se cerca di mascherarlo addolcendo un po’ l’espressione del viso e quando non riesce proprio a chiudere la bocca scoppio a ridere io. «Sto scherzando. Puoi richiudere la bocca, capo.» Un sospiro di sollievo esce dalle sue labbra e si avvicina ancora di più a me, fino a far scontrare le nostre labbra. Animata dalla lunga attesa di una giornata intera senza i suoi baci, rispondo con foga. Le mie mani si stringono tra i suoi capelli, tirandoli appena e portandolo ancora più vicino. Le nostre labbra si modellano, le lingue si intrecciano, si assaggiano, si accarezzano e i denti si scontrano per la fretta di questo bacio. Mi sento trascinare dentro casa e nonostante gli occhi chiusi riconosco il muro dell’ingresso quando mi ci appoggia e si piega su di me, senza mai staccare le labbra dalle mie.
«Sei perfida!» Mi dice dopo avermi morso il labbro inferiore dolcemente.
Sorrido e ricambio il favore facendolo gemere. La sua mano sale dal fianco fino al profilo del seno, con il pollice mi accarezza la curva numerose volte mandandomi al manicomio. E’ frustrante anche se è meraviglioso. L’elettricità che si avverte tra i nostri corpi mi farebbe esplodere in poco tempo, ne sono sicura; eppure lui si limita a quelle carezze così indecise, così faticosamente tollerabili. Vorrei che stringesse tra le sue mani il mio seno, che pizzicasse i miei capezzoli, che li tirasse, li mordesse… Mi stacco violentemente dal bacio spalmandomi sulla parete più di quanto lo sia già. Mi guarda con il fiatone, confuso e spaesato.
«Fermiamoci.» La via che avevano intrapreso i miei pensieri mi fa paura. Che mi ero detta prima? Non ci sarei andata a letto. Anche se sono certa che se avessimo continuato, lì saremmo finiti.
«Perché?» Mi chiede con sguardo languido.
«Perché mi hai promesso cena e chiacchiere ed è quello che faremo stasera. In più… non ho intenzione di venire a letto con te.»
«No?» Mi guarda stupito.
«Non oggi. No.» Un’espressione birichina si disegna sul volto e si avvicina ancora a me, appoggiando il suo corpo eccitato sul mio e riprendendo a baciarmi come prima. Questa volta, più deciso, porta la sua mano a stringere il mio seno, proprio come avevo immaginato prima di fermarlo. Il reggiseno mi infastidisce, odio non sentire il suo palmo caldo, la sua pelle a contatto con la mia. Mi accorgo di avere le gambe spalancate e la gonna salita di molto solo quando sento Edward spingere il bacino sul mio. Grazie ai tacchi la sua erezione preme appena sotto l’ombelico. Sono così piccola in confronto a lui.
Anche le mie mani viaggiano, non se ne stanno certo ferme. Hanno già saggiato e palpato ogni centimetro delle sue spalle, scendendo sulla schiena ed ora si stanno affacciando al lato B perfetto. Adoravo guardarlo camminare fuori dalla sala riunioni, per i corridoi della società o mentre guardava fuori dalla finestra del palazzo; il suo sedere dovrebbe essere inserito all’interno dei siti patrimonio dell’Unesco.
Quando le mie dita stringono il suo sedere, spingendolo verso di me la sua bocca si stacca dalla mia, un gemito roco abbandona le sue labbra e, con gli occhi ancora chiusi, ansima rumorosamente. Non avrei mai pensato che i gemiti di un uomo potessero essere così eccitanti, i ragazzi con cui sono stata erano piuttosto imbarazzanti. Edward invece mi incendia. Sento le sue dita abbandonare il mio seno per scendere lungo il mio ventre e poi ancora più giù, sulle cosce ormai libere dal tessuto della gonna. Quando le sue dita accarezzano la parte nuda della mia gamba spalanca gli occhi nei miei, deglutisce con difficoltà e richiude gli occhi gettando in avanti la testa, appoggiandosi alla mia spalla. La mano sale, fino ad arrivare al mio sedere, coperto solo in parte da uno slippino rosa antico di seta. Il tessuto sotto le sue dita lo stuzzica ancora di più, con un dito ne percorre la cucitura morbida, avanti e indietro, senza mai esagerare. Il suo membro si ingrossa e dopo una pulsazione che sento benissimo anche attraverso i vestiti, Edward si decide. Passa un dito al di sotto della cucitura, scende per tutto il bordo fino ad arrivare alla mia intimità. Dopo avermi accarezzata lentamente le labbra esterne, accorgendosi di quanto sia bagnata torna indietro con un grugnito. Si allontana con il bacino dal mio corpo e lentamente mi sistema la gonna sui fianchi, inducendomi a chiudere le gambe e a spezzare l’incantesimo.
Porca miseria! Ero un incendio che divampava furiosamente, ed ora ha gettato una secchiata di acqua gelida su di me. Perché si è fermato? Lo guardo confusa, ma lui ha ancora gli occhi chiusi e cerca di riprendere fiato, ad un passo da me e con i pantaloni della tuta che poco coprono la sua erezione.
Il suo petto si alza e si abbassa velocemente, il braccio ingessato è sempre stato appoggiato lungo il suo fianco, i capelli sono un caos ingovernabile, la fronte madida di sudore e le guance rosse si adattano perfettamente al rossore e al gonfiore delle sue labbra dopo i nostri focosi baci.
«Hai ripreso il controllo?» Chiedo dopo altri tre lunghissimi minuti di silenzio, quando noto che il suo petto ha ripreso un ritmo regolare.
«Non del tutto.» Apre gli occhi e mi sorride dolcemente. Wow, cambio di scena. «Andiamo a mangiare. Ho fatto preparare qualcosa dalla mia governante, spero ti piaccia.» Mi tende la mano libera e io la accetto volentieri. Il suo pollice accarezza il mio dolcemente e questo tocco, irrimediabilmente, mi porta a quello che è successo pochi minuti fa, attaccati a quel muro dietro alle mie spalle. Mi incendio di nuovo e il respiro si velocizza. Senza neanche guardarmi sale gli scalini che lo portano in cucina e appoggiandosi al bancone, separando la sua mano dalla mia, sbuffa.
«Ti prego, calmati. Non mi aiuti in questo modo.»
«Non ho fatto nulla.»
«Sì invece. Non credere che io non ci stia pensando.»
«A cosa?» Completamente frastornata mi avvicino di un passo, vorrei mettermi tra le sue gambe e riprendere a dove abbiamo lasciato pochi minuti fa ma lui, con la mano libera, ferma la mia avanzata.
«Ti prego no.»
«Che succede?»
«Dobbiamo darci una calmata.» Sgrano gli occhi ancora più confusa di prima.
«Eri tu quello che mi ha spalmata al muro pochi minuti fa, mi ha palpeggiata a eccitata fino all’inverosimile. Ne sono sicura, non c’è nessun altro in questa casa, quindi eri tu.»
«Lo so bene.»
«E quindi ora dici che ci dobbiamo calmare?»
«Sì, è meglio così.»
«Perché?»
«Perché tu non vuoi fare sesso stasera e anche se ti sembro uno stronzo patentato all’accademia degli stronzi bastardi, ti assicuro che rispetto questa decisione e la condivido.» La sua ammissione mi blocca il respiro e quando noto la sua espressione corrucciata sorrido appena.
«Accademia degli stronzi bastardi, eh?»
«Non dirmi che non ci hai mai pensato!» Sorride anche lui e la sua postura si ammorbidisce un po’.
«In effetti mi chiedevo in quale università ti eri laureato per essere un capo così stronzo. Sì!» Mi sorride alzando di poco l’angolo destro delle labbra, un sorriso così speciale che mi scalda. Mi avvicino e il suo volto si fa preoccupato, incurante del rischio mi avvicino ancora, fino a posizionarmi esattamente dove volevo. Porto le mani tra i suoi capelli, mi alzo sulle punte dei tacchi e avvicino la sua bocca alla mia.
«Bella…»
«Shhh. Ho detto che non verrò a letto con te. Nessuno però ci obbliga a tenere le mani a posto, no?» Neanche avessi pigiato il bottone per l’espulsione dalla navicella, Edward mi bacia, mi morde le labbra, succhia la mia lingua e ingoia i miei gemiti. Ricordandomi solo in quel momento che ancora non è guarito del tutto mi stacco appena, gli prendo la mano sana come ha fatto lui poco prima e lo guido, nuovamente, giù dalle scale della cucina fino al divano. Si siede e mi trascina su di lui, cerco di spostarmi ma scuote la testa. «Ti farò male.»
«Non me ne farai. Smettila di preoccuparti per me e baciami.» Cerco di non appoggiarmi troppo al suo corpo e di pesare solamente sulle mie ginocchia, ma quando la sua mano torna ad esplorare il mio sedere le gambe traballano e devo appoggiarmi alle sue spalle con le mani. La gonna è diventata ormai una cintura, le mie mutandine sono esposte alla sua vista e le mie cosce, per niente perfette o muscolose, sono libere alla sua visuale. Ho sempre cercato di nascondermi, ora non mi interessa poi molto.
Edward sposta la mano lungo la cucitura del mio intimo, passando lentamente sul davanti e, come poco fa attaccati al muro, infila un dito al di sotto della cucitura, arrivando con movimenti frustranti e lenti come una lumaca fino al mio centro caldo e bagnato.
«Dio mio!» Geme nella mia bocca aumentando la focosità del bacio. Come se fosse possibile bruciare ancora di più. I suoi fianchi si alzano per incontrare il mio centro attraverso i vestiti, animata dal suo lato selvaggio e impaziente le mie dita lo accarezzano attraverso il pantalone della tuta. E’ duro, grande e sprigiona un calore pazzesco. Con l’unghia premo mentre faccio scorrere il dito su e giù, fino a stringere nella mano i suoi testicoli. Lo sento gemere più forte, un verso roco sulle mie labbra così eccitante da spingermi a volerlo sentire ancora. Mi sposto appena, staccando così le nostre labbra. Aggancio i pantaloni della tuta e i boxer al di sotto con le mie mani e, neanche a dirglielo, alza il bacino con uno sforzo che gli disegna un’espressione di dolore sul volto, permettendomi di tirargli i calzoni fino alla caviglia. Li toglie muovendo appena le gambe, mentre con la mano libera aggancia i miei slip. Un bagliore oscuro e selvaggio gli passa nelle iridi verdi e vorrei tanto sapere a cosa sta pensando, ma non ne ho il tempo. Sento le sue dita spingermi giù l’intimo e impaziente mi alzo in piedi. Sono ancora sul divano, ai lati delle sue gambe, con il bacino alzato di fronte a lui. Gli offro la vista completa. Le autoreggenti sulle cosce, la camicetta sbottonata, i capelli arruffati, la gonna tirata su e, dopo aver sfilato le mutandine, anche la mia vulva liscia e libera. Mi guarda come se volesse mangiarmi. Sono in piedi, ai lati delle sue gambe, le mie cosce lievemente separate di fronte ai suoi occhi e la sua mano sulla mia coscia.
«Dio, credo di essere in paradiso!» Abbandona la testa sulla spalliera del divano e mi osserva. Sto per scendere nella posizione di prima ma lui mi ferma stringendo le dita sulla mia coscia. «Ti prego, resta così ancora un attimo. Credo sia la cosa più eccitante della mia vita.» Scoppio a ridere e scuoto la testa. «Non ridere piccola, rischio di venire senza che mi tocchi. Non è mai successo neanche quando ero un ragazzino.» Cerca di fermarmi dal ridere, ma le sue parole rendono la mia risata più forte. «Dio, cosa sei.» Il suo braccio sano si spinge fino al mio sedere, stringendolo mi invita ad abbassarmi su di lui. La sua bocca si schianta sulla mia, il bacio è ingestibile, passionale. E’ fuoco che brucia. Un’esplosione di eccitazione e di ormoni che in tutta la mia vita non ho mai provato. Il calore dei nostri corpi è pazzesco, sudiamo senza neanche muoverci. Temo che gli abiti possano prendere fuoco, ma sono certa che in questo appartamento ci sia un estintore da qualche parte.
I versi che mi escono dalla bocca non li riconosco neppure io, sono così eccitata che se dovesse toccarmi esploderei immediatamente. Invece, prima di prendersi cura di me, prende la mia mano e la porta sul suo pene.
«Accarezzalo così e basta, fammi riprendere un attimo. Credo che se ti toccassi potrei venire immediatamente.» Rido tra un bacio e l’altro e per punizione mi morde il labbro più forte delle altre volte. Pensa di punirmi, ma il suo gesto aggiunge benzina al fuoco che mi sta investendo. Me ne frego di ciò che mi ha detto e chiudo la sua durezza nel mio pugno, mentre con l’altra mano stringo i testicoli nel palmo. «Cazzo! Cazzo! Cazzo!» Getta la testa indietro ad occhi chiusi mentre la mia mano inizia a muoversi con ritmo dolce e lento. So che lo fa impazzire. Lo capisco da come è rigido, teso, impaziente. La sua mano atterra veloce sul mio clitoride, senza nessuna remora, spinge il dito più in basso e si bagna dei miei umori, ansima più forte perdendo tempo ad ammirare la mia eccitazione, poi risale e spinge con il medio sul mio bottoncino ormai gonfio e duro.
Non so se sono io ad ansimare così violentemente quando inizia a torturarmi o se è lui a farlo, so solo che ad un certo punto lui ha la testa gettata all’indietro, teso e rigido come una corda di violino ed io ho appoggiato la testa sulla sua spalla, cercando di non appoggiarmi al suo corpo con tutto il peso e tentando di restare ferma e non muovere il bacino più di così. So che vorrebbe tenermi ferma, ma con il braccio ingessato è un casino, provo a non muovermi, a non cercare più contatto di quello che le sue dita fanno alla mia vagina. Dio, vorrei che andasse più veloce, che premesse di più, che mi facesse esplodere per poi leccarmi e bere dal mio corpo.
Mi tengo con una mano alla spalliera del divano, vicino alla sua testa e con l’altra aumento il ritmo sul suo pene. Su e giù, su e giù, su e giù.
Lo sento pulsare nel mio palmo e i suoi fianchi si inarcano, cercando di più. Il movimento delle sue dita diventa frenetico e scostante, non riesce a tenere la concentrazione sul mio centro pulsante e sulle mie mani su di lui. E’ pazzesco. Ha gli occhi chiusi, la fronte imperlata di sudore, le labbra aperte e un’espressione di puro piacere che mi fa bagnare di più.
«Cazzo. Mi stai facendo impazzire. Vorrei resistere, davvero. Voglio farti venire, odio essere il primo. Mi stai uccidendo!» Gli mordicchio il collo, sotto l’orecchio e il movimento dei suoi fianchi si fa più frenetico, ancora con il pensiero che si possa fare male mi siedo sulle sue gambe a peso morto, in modo da limitare i suoi movimenti. Poi, presa da un’insana follia momentanea mi stacco da lui e raddrizzo le spalle. Scendo con la mia mano e intreccio le dita alle sue che si stanno prendendo cura di me. Spalanca gli occhi e mi osserva negli occhi per poi scendere con lo sguardo tra le mie gambe. Muovo le dita insieme alle sue, dettando un ritmo costante e perfetto per farmi esplodere. La mia iniziativa deve piacergli parecchio perché non stacca gli occhi dal mio centro e nella mia mano il suo cazzo diventa ancora più grosso, pulsa e si bagna dei primi fiotti pre-orgasmo. Inorgoglita stringo la presa, passando il pollice sulla vena principale e sulla punta ansimando forte.
I miei fianchi si muovono governati dalla voglia di avere di più, dal bisogno di venire e trovare appagamento, i suoi occhi sono incollati alle nostre dita intrecciate su di me e i suoi gemiti a bocca aperta mi dicono che sto facendo la cosa giusta. Poco dopo si abbandona sul divano, gli occhi chiusi e l’espressione più tesa che mai.
«Sto per venire. Cazzo!» Ansimo forte. Cerco di respirare, ma non entra più aria nei polmoni, sono completamente concentrata sul piacere che sto provando. Le gambe mi si irrigidiscono, le nostre dita intrecciate compiono magie su di me, mentre con la mano su di lui continuo un movimento deciso.
Ma nel momento in cui il piacere diventa immenso, le gambe mi tremano e la sensazione di un’esplosione nel ventre si avvicina, la mano sul suo cazzo perde colpi e cerco di aggiustare il tiro ma Edward geme più forte, un ringhio roco e profondo che mi fa spalancare gli occhi su di lui. Sembra che stia impazzendo dal piacere. Non ho mai visto un uomo godere così per delle carezze.
«Sì, sì, sì! Cazzo! Così!» La furia gli fa alzare il bacino dal divano nonostante ci sia io seduta sopra. Il piacere è così forte e indescrivibile che il mio orgasmo scoppia furioso, mentre la mia mano si riempie del suo seme. «Sì, Cazzo. Sì!» Il suo ringhio è animalesco, profondo, roco e spezzato dal respiro agitato. Io ero senza fiato e mi sono limitata ad ansimare e ansimare e ansimare. Mi appoggio con la fronte sulla sua spalla e separo le mie dita dalle sue facendo ricadere il braccio sul mio fianco. Sono sfinita. Eppure appena sento le sue dita accarezzarmi le labbra esterne della mia vagina, spalmare i miei umori e giocare con lei come se fosse di sua proprietà, mi eccito di nuovo. Respiro affannosamente cercando di riprendermi e so che devo allontanarmi per riuscirci, ma non ne ho il tempo. Due dita entrano dentro di me facilitate dal mio orgasmo, lentamente arrivano in profondità e stimolano le mie pareti facendomi gemere ancora.
«Tirati su, voglio vederti.» Lo accontento, sedendomi dritta sulle sue gambe. Il suo membro appoggiato stancamente sulla sua pancia, ancora coperta dalla maglietta, ormai da lavare. Gli occhi lucidi per il piacere e l’espressione completamente soddisfatta sul volto. Le dita dentro di me si muovono più decise su e giù e poco dopo riesco a percepire di nuovo quella sensazione alla bocca dello stomaco, che scende inesorabilmente lungo il ventre e scarica la sua potenza su tutto il corpo. Pazzesco.
«Vieni, voglio sentirti venire. Voglio guardarti mentre vieni. Cazzo sei perfetta. Mi stringi così bene. Ti sento così bagnata. Ho una voglia matta di assaggiarti e poi spingermi dentro di te con forza fino a sentirti gridare il mio nome. Vieni.»
Le sue parole aumentano la scarica elettrica che percorre il mio corpo e i brividi mi coprono la pelle di puntini, esplodo nel secondo orgasmo gettando la testa all’indietro e stringendo le sue dita dentro di me. Grido, senza sapere cosa esattamente, ma lui pare soddisfatto perché mi trascina addosso a lui, un attimo dopo, e si impossessa della mia bocca.
«Meravigliosa. Sei meravigliosa.» Chiude gli occhi e mi tiene stretta a se mentre appoggia la sua mano, sporca di me, sulla mia coscia nuda. Restiamo fermi a calmarci per qualche minuto, poi decidiamo di darci una ripulita e di rivestirci. Mezzora dopo siamo seduti in cucina a mangiare pollo fritto e verdure in pastella, con sorrisi mozzafiato sul volto.
Chiacchieriamo della giornata, della sua governante e del cibo che preferiamo; parliamo dei nostri ristoranti preferiti, dei fast food che abbiamo provato, delle schifezze che ci è capitato di mangiare. Argomenti soft e tranquilli, soprattutto dopo quello che è capitato in salotto, che in quanto a intensità ci ha lasciati entrambi perplessi e senza fiato. Io dalla mia ho che è parecchio tempo che non facevo nulla, lui immagino sia l’astinenza forzata a cui è stato sottoposto da quando ha avuto l’incidente. Non ne parliamo, né affrontiamo argomenti più seri come il nostro rapporto. Vuole essere aggiornato su qualche caso al lavoro, sui tirocinanti e su Irina, ma non si comporta da capo, più da amico o da fidanzato, ascoltando e partecipando alla discussione sempre senza smettere di sorridere. E’ magnifico stare con lui quando ha la giornata buona come oggi e pensare di avergliela migliorata con l’orgasmo di prima mi ha reso davvero felice. Quando guardo l’orologio mi accorgo che è quasi mezzanotte e che è ora di tornare a casa per me. Sistemo la tavola e la cucina, preferendo lasciarlo riposare sulla sedia, non senza insistere. Sarebbe un perfetto padrone di casa se non dovesse stare a riposo. Quando mi accompagna alla porta mi tende una mano con il palmo aperto e mi tocca guardarlo in confusione.
«La tesi, signorina, non credere che me ne sia dimenticato!» Sbuffo alzando gli occhi al cielo per fare un po’ di scena poi, borbottando qualcosa nel frattempo, tiro fuori un plico di fogli dalla valigetta e glielo passo. Lo appoggia al mobiletto in entrata e mi attira a sé prima che possa anche solo fiatare.
«Ci vediamo domani?» Mormora dopo avermi dato un bacio a stampo.
«Non lo so, ho bisogno di fare qualcosa a casa, tipo stirare, lavare, cambiare le lenzuola…»
«Non puoi farlo in un altro momento?»
«Fidati, il week-end passa in un lampo e quando mi sveglierò sarà di nuovo lunedì. Come ti ho detto possiamo fare qualcosa domani sera con gli altri, se ti va.»
«Ti prego… mi annoio!» Scoppio a ridere, senza offendermi.
«Quindi sono solo uno svago finché sei rintanato qui dentro?» Arriccia le labbra e con la mano sana mi pizzica il sedere.
«Cattiva ragazza!» Sorrido e lo bacio dolcemente.
«Cercherò di liberarmi domani sera. Ho bisogno anche di riempire il frigo e fare alcune commissioni. Ma per domani sera dovrei riuscire a passare.»
«Togli il condizionale, tesoro. Ci vediamo domani sera e niente scuse!» Lo bacio ancora. E’ strano non riuscire a staccarsi dalle sue labbra, dal suo corpo o dal suo profumo.
«Tu cerca di riposare, ti sei affaticato molto oggi.» Scoppia a ridere e mi stringe di più.
«E di chi è la colpa?»
«Tua. Sei tu ad aver iniziato. Mi hai spalmata addosso a quel muro e mi hai irrimediabilmente corrotta!» La sua risata non mi stancherò mai di ascoltarla. E’ meravigliosa.
«E’ perché tu sei così irrimediabilmente eccitante!» I suoi commenti mi eccitano, mi emozionano, mi fanno svolazzare libera e leggera.
«Devo andare.» Dico senza decidermi a smettere di baciarlo.
«L’hai già detto un po’ di volte, sì. Ho una camera per gli ospiti se volessi restare!»
«Non affrettiamo le cose.»
«E chi corre? Sei tu che continui a baciarmi.»
«Ti dispiace?»
«Assolutamente no!» Mi stringe e mi avvicina più a lui approfondendo il bacio. Quando la sua mano scende a palpeggiarmi il sedere è il momento di allontanarmi. Mi separo da lui con uno scatto, due passi di distanza dovrebbero bastare. Mi sorride birichino e china la testa di lato.
«Ora devo davvero andare, prima di fare qualcosa di sconsiderato come stenderti sul pavimento e abusare di te!» Scoppia a ridere, gettando la testa all’indietro e stupendomi. Se continua così mi innamorerò della sua risata.
«Ci vediamo domani. Avvisami quando sei a casa, è tardi e mi preoccupo!»
«Sì capo! Tu cerca di dormire, che ne so leggi la mia tesi, sono sicuro che sarà un tranquillante perfetto!» Scuote la testa ridacchiando e mi segue vicino alla porta, la apre per me poi si piega a lasciarmi un bacio sulla testa.
«Fai attenzione.»
«A domani.» Mormoro baciandogli la guancia e scappando come un razzo dentro l’ascensore. Sono certa che se avessi toccato di nuovo quelle labbra, non me ne sarei più andata. Mi sorride scuotendo la testa, appoggiato allo stipite della porta. Lo osservo fino a che le porte non si chiudono tra noi.
Wow, che seratina impegnativa! Sghignazzando percorro il marciapiede di fretta e una volta al sicuro nella mia auto blocco le portiere e parto verso il mio appartamento. Avviso Edward quando sono al caldo nel mio lettino e ovviamente, ottengo la risposta immediata. Mi addormento in fretta, nonostante i bellissimi ricordi di cui è piena la mia testa e che mi accompagneranno per un po’.

Capitolo Tredici

Arrivo in ufficio trafelata e in ritardo, ho una presentazione con un gruppo di tirocinanti dopo la pausa pranzo e ieri avevo fatto stampare le dispense che Jim, al terzo piano, si è dimenticato di mettere sulla mia scrivania, motivo per cui sono dovuta passare assolutamente a prenderle. Non tanto perché mi andasse, c’è Irina per queste cose, ma Edward, con una mail di stanotte, si è raccomandato di apportare delle modifiche personalizzate ad ogni dispensa. In sostanza vuole che faccia come i compiti in classe del liceo, un giudizio personale per ogni tirocinante che sarà presente alla riunione. Mi ha lasciato degli spunti nella lunghissima mail di stanotte e io devo trovare il tempo di aggiungere a penna un discorso sensato sulla base delle sue parole guida. Si può fare. Lo posso fare durante la pausa pranzo, che anche oggi passerò in ufficio con un tramezzino e un caffè che diventerà freddo. Fantastico.
Alice all’entrata mi ha squadrata dalla testa ai piedi e, se non fosse stato per alcune persone al bancone, avrebbe di sicuro iniziato una raffica di domande su ieri sera. Ringrazio i clienti del primo mattino!
Ho trovato anche Emmett alla macchinetta del caffè, mentre se ne serviva una tazza mi ha sorriso, uno di quei sorrisi di chi sa o immagina i dettagli più piccanti della faccenda. Maledizione. Ma la cosa peggiore è stata trovare Angela seduta sulla mia sedia nel suo ufficio, le braccia incrociate e un’espressione curiosa.

«Che diavolo è successo ieri sera?»
«Buongiorno anche a te Angy, scusa per il ritardo! Ci sono state telefonate per me?» Ignoro volutamente la sua domanda, appoggio le mie cose e tolgo il cappotto. Il telefono nella borsa emette un bip, chiaro segno che le mail di lavoro cominciano ad arrivare.
«Non mi sposto da qui finché non mi spieghi cosa è successo con Edward. Quando te ne sei andata era una furia, si è seduto sul divano e non ha parlato con nessuno, era anche abbastanza sofferente. Jasper ha dovuto dargli gli antidolorifici, che ovviamente Edward ha rifiutato finché Rosalie gli ha gridato contro che era un bambino capriccioso. Insomma, mi vuoi spiegare?»
«No, ovviamente. Se avessi voluto farlo sarei rimasta in quella casa a dare spiegazioni invece che andarmene e, se avessi voluto farlo, avrei risposto alla tua prima domanda. Cosa che non ho fatto. Non ho intenzione di dire una sola parola. Ora, per cortesia, torna alla tua scrivania che ho troppo lavoro da affrontare per una sola giornata.»
Non so se il tono usato sia stato scortese, arrabbiato e intimidatorio, ma Angela si alza dalla mia sedia e prende posto dietro alla sua scrivania in silenzio e scocciata. Inizia così bene la mia giornata di lavoro! Rispondo al telefono, invio una quantità spropositata di mail, mi concentro a pieno su riunioni, meeting e nuove idee per i progetti da portare avanti. Quando finalmente esco dall’ufficio sono sfinita, sconsolata e assonnata.
Così passano uguali tutte le mie giornate di lavoro: mail su mail, telefonate, clienti, riunioni e milioni di domande da parte di Angela in ogni secondo disponibile. Edward l’ho sentito solo attraverso le mail di lavoro, ed è stata una fortuna. Durante la settimana ho sognato cose indicibili. Lui completamente nudo sul suo letto, con le luci della città a illuminare la stanza buia e io a guardarlo mentre si da piacere, ferma ai bordi del letto. Inutile dire che mi ritrovavo ansimante e boccheggiante in cerca d’aria solo per colpa della mia fantasia. Era ora di mettere qualche distanza con quell’uomo. La fortuna ha voluto girare dalla mia parte. Nessun lavoro straordinario, nessun problema interplanetario, nessun caso difficile da sottoporgli. E’ andato tutto a meraviglia.
Il week-end, di mezzo, è volato. Jasper è passato a trovarmi, è stato con me a bere un caffè e sgranocchiare biscottini acquistati in una pasticceria poco lontana da casa. Mi ha parlato di come sta Rosalie, delle sue giornate non poi tanto noiose dato che doveva occuparsi di due malati e si è lasciato scappare, qui e là, qualche commento su Edward. Così dal mio amico avevo appreso quale fosse lo stato d’animo e come stessero progredendo le ferite del mio capo. Ho rinominato il suo nome sul telefono, vedere il suo nome scritto in chiaro mi rendeva le cose più difficili ogni volta che arrivava un messaggio di lavoro. Boss adesso era il suo nome.
Nessuno aveva accennato nulla riguardo a un possibile ritrovo per la pizza, immaginavo che Angela fosse impegnata con Seth, Alice ed Emmett in qualche locale a rimorchiare e beh… il resto dei partecipanti del gruppo ignoravo bellamente cosa facessero.
Quindi quando mi svegliai, stamani, ero convinta di restare a casa, per l’ennesima sera, a crogiolarmi nella mia solitudine. Quando arrivo in ufficio i miei amici sono tutti attorno al banco della reception di Alice, chiacchierano allegri e tra le loro parole sento chiaramente alcuni nomi di pizzerie che conosco. Mi avvicino sorridendo.
«Ehilà! Allora pizza stasera? Casa mia come al solito?» Mi appoggio in un angolo del bancone e non appena recepiscono le mie parole si bloccano, tutti e quattro con occhi sgranati dallo stupore.
«Che succede? Avete delle facce strane!»
«No, Bella! Ecco… Vorremo tanto mangiare la pizza con te stasera ma…»
«Io e Angela abbiamo degli impegni. Sì, stavamo progettando di prenderci una pizza e starcene a casa da soli, non abbiamo voglia di cucinare e…»
«Sì, bella idea! Io e Emmett invece andremo in quel locale nuovo, l’hanno inaugurato due settimane fa!»
Parlavano uno sopra l’altro, si affrettavano, le voci erano agitate e si guardavano ansiosi.
«Ditemi cosa succede o giuro che non vi parlerò più per il resto della vita.»
«Niente Bella, te l’abbiamo detto, stasera abbiamo già dei progetti!»
«Non sono stupida. Vi leggo in faccia che c’è dell’altro. Avanti ditemelo!»
Angela e Alice si guardano tra loro, indecise se parlare oppure no, Seth non smuove gli occhi dalla parete dietro alle spalle di Alice e Emmett… beh lui mi guarda fissa negli occhi.
«Siccome sono tutti dei fifoni te lo dico io. Edward ci ha invitato a mangiare la pizza nel suo appartamento. Stasera.»
Il silenzio cala su tutti e cinque e lo spiazzamento che avverto è totale. E’ come se una porta mi fosse rimbalzata addosso chiudendosi. Ahia.
Volto le spalle ai miei amici e salgo in ufficio da sola. Il mio ticchettio dei tacchi sul pavimento mi tiene compagnia, fino ad arrivare alla scrivania di Irina. Mi faccio lasciare i messaggi e le dico di darmi l’elenco degli appuntamenti per la giornata. Sfoglio i messaggi che ho ricevuto dall’inizio della mattinata e mi accorgo che in fondo, prima dell’ultimo messaggio, ce ne è uno di Edward.

“Cullen ti ricorda che oggi alle sei e mezzo dovrai presenziare a una riunione in una azienda di Manhattan, ha detto che hai l’indirizzo sulla mail delle nove e un quarto di stamani. Dice anche di tenerlo aggiornato sugli sviluppi dato che è un potenziale cliente.”

Il pensiero che lui avesse chiamato la sua segretaria, avesse lasciato un messaggio del genere mi fece inviperire. La rabbia era tanta. Se voleva ricordarmelo poteva mandarmi un messaggio, una mail, poteva telefonare. Invece aveva deciso di tenersi bene alla larga. Il che era quello che desideravo… certamente, non fino a questo punto però!
Sbatto i fogli con poca grazia sulla scrivania e do un’occhiata agli appuntamenti della giornata, proprio mentre stavo accendendo il computer Angela entra nell’ufficio con la faccia abbattuta.
«Mi dispiace-» La stronco subito con una mano alzata.
«Non dire nulla. Non sono stata invitata. Me la sono cercata. Fine delle discussioni. Mettiamoci al lavoro!»
A chi volevo darla a bere? Ero incazzata proprio perché lui aveva invitato i suoi amici e non me. Alla fine mi aveva rubato l’unica cosa che mi era rimasta. Non avevo mai pensato che per colpa di un bacio potessi perdere tutto, eppure era successo.
Lavoro intensamente tutto il giorno, avevo imparato a lasciare i problemi fuori dalla vita professionale molto tempo prima. Quando ero all’università e non riuscivo a concentrarmi sui libri chiudevo gli occhi e mi ripetevo milioni di volte che dovevo concentrarmi, che dovevo lasciare fuori tutto quanto. Poi migliorai con gli anni. Imparai ad essere più fredda, a mettere una maschera, a lasciarmi andare solamente al caldo di una coperta, nel buio della notte, chiusa in camera mia. Mi imposi che le distrazioni dovevano interferire con la mia vita solo e unicamente prima di addormentarmi. E così ero andata avanti. I ricordi arrivavano, spingevano nella mia mente, ma li chiudevo fuori.
Ero sempre stata brava a lasciare fuori le emozioni, negli ultimi anni. Da quando mio fratello mi aveva ferita più di ogni altra cosa al mondo, mi ero fatta forza, una forza inaudita e avevo voltato le spalle a chiunque, a qualunque cosa.
Mi affretto ad uscire dall’ufficio, senza salutare nessuno, salgo in macchina e inserisco nel navigatore l’indirizzo della società che mi attendeva a Manhattan.
Il cellulare prende a squillare sul sedile al mio fianco, Boss lampeggia sul display e io lo ignoro volutamente; quando smette quella suoneria irritante, che avevo cambiato proprio quella mattina in un raptus di rabbia, il tempo per riprendermi è breve perché suona una seconda volta e poi una terza. Guidando mi imponevo di non rispondere, di ignorare quel suono stridulo e fastidioso. Tolgo la suoneria una volta parcheggiata l’auto all’interno del garage sotterraneo. Salgo grazie ad una guardia addetta al parcheggio, vengo accompagnata da una segretaria in una sala riunioni e attendo che il capo arrivi.
L’incontro si svolge secondo i canoni: parliamo di obiettivi, costi, target, prodotti e punti di forza del marchio. Ero interessata alla sfida e questa sembrava proprio pane per i miei denti.
L’amministratore delegato, durante tutta la riunione, mi aveva elogiato, mi fece mille complimenti e, una volta finita la riunione, tenta di invitarmi a cena ma rifiuto, adducendo la scusa di essere già piacevolmente impegnata. Scusa che funzionava sempre e che teneva alla larga le persone insistenti al primo colpo.
Quando ci salutiamo mi stringe la mano e la tiene più vicina del previsto.
“Il signor Cullen mi ha parlato molto bene di lei. Quando l’ho chiamato e mi ha comunicato che ci sarebbe stata lei a questo incontro, subito mi sono mostrato preoccupato ma il suo capo ha un’altissima considerazione della sua assistente. Deve essere magnifico lavorare in un team come il vostro. Immagino che sarà a dir poco stimolante e piacevole.”
Calca il tono roco sull’ultima parola, ammicca e mi lascia la mano, per fortuna. Non osavo rispondere, anche perché ogni parola sensata era finita dritta nel cesso dopo le sue allusioni. Entro in ascensore con un sorriso cristallizzato sul volto. Aveva insinuato che eravamo un ottima coppia anche nella vita privata oltre che sul lavoro… o aveva capito male?
Mi accompagna in garage lo stesso team di quando sono arrivata, la mia macchina mi da subito un senso di sicurezza mai provato prima ed ero felice di allontanarmi da quello stabile. Fuggire da quelle insinuazioni che non portavano altro che rimpianti nella mia mente. Erano ormai le otto, troppo tardi per fermarmi in ufficio e lasciare un po’ di lavoro che non sarei riuscita a terminare a casa; questo voleva dire che dovevo assolutamente ricordarmi, il mattino dopo, tutto il materiale o sarebbero stati guai.
Con il traffico cittadino ci impiego quasi tre quarti d’ora ad arrivare nel parcheggio. Salgo le scale e mi fiondo nell’appartamento. La casa vuota, buia e fredda mi ricorda cosa stanno facendo i miei amici in quel momento e dove si trovano in quel preciso istante. Un nodo mi si forma in gola e le lacrime si precipitano nei miei occhi, pronte a sgorgare. Ma no, non avrei pianto per questo. Desideravo davvero passare una serata insieme a loro, come una volta: una pizza, un dolce e litri di birra che innaffiavano le nostre chiacchiere.
Presa da quel buio pensiero, solo mentre stavo infilando i vestiti in lavatrice mi ricordo che il telefono era ancora muto da prima, corro a mettere la suoneria nel caso qualcuno avesse bisogno di me e mi accorgo di altre tre chiamate e due messaggi. Uno era di Edward, l’altro di Angela.

“Edward si sta chiedendo com’è andato l’incontro con il cliente, ha detto di chiamarlo appena sei in macchina. Noi ci vediamo domani, pizza da te?”

“Puoi far sapere al tuo capo cosa è successo alla riunione, PER FAVORE?”

La prepotenza con cui era stato scritto il messaggio non mi è certo sfuggita. Lascio perdere momentaneamente il messaggio di Angela e rispondo a Edward.

“Tutto bene. Abbiamo un nuovo cliente. Domattina ti manderò una mail dettagliata con gli appunti e gli accordi presi.”


Le parole dell’amministratore delegato sentite poche ore prima risuonano nelle mie orecchie. Di certo non può parlare male di me come assistente, faccio tutto quello che vuole, mi comporto bene e sono sempre professionale. Non ho fatto ancora un errore, sono sempre puntuale e, anzi, faccio un sacco di straordinari.
Non risponde al messaggio, come sospettavo, e finalmente posso rilassarmi sul divano con un sacchetto di nachos e del formaggio, una birra e un film demenziale alla tv. E vaffanculo anche al lavoro per stasera.

Sono al lavoro da due ore quando Angela mi raggiunge in ufficio con un grande sorriso sulle labbra.
«Chiedimi se sono felice?»
«Sei felice?»
«Tanto! Siamo finiti per il secondo trimestre consecutivo sulla rivista @Marketing con cinque stelle. Le fluttuazioni della borsa ci danno al rialzo e se tutto va bene apriremo le porte al nuovo anno con una dozzina di clienti nuovi e milioni e milioni di dollari incassati. Non sei felice anche tu?» Parlava proprio come se fosse lei il capo.
«Sono felice, certo! Come mai sei arrivata così tardi?»
«Oh, stamattina sono passata presto per prendere dei resoconti bimestrali, dovevo portarli a Edward dato che non ha molto da fare e voleva tenersi occupato. Mi ha detto di passargli il file della tua tesi, così lo legge e ti manda alcuni aggiustamenti se necessitano. Dice anche che dovresti mandargli in pdf le slide che hai aggiornato dei nuovi clienti e le nuove idee sviluppate per i due progetti che stai seguendo ora.»
«Mi ha mandato una mail stamattina, rispondendo “Ho preso visione degli accordi di ieri. Buon lavoro.” Non poteva aggiungere tutte queste cose in coda? No. Certo. Adesso mi snobba! Ma vaffanculo!» Sono proprio incazzata. Angela mi guarda confusa e si siede alla scrivania.
«Bella, non ti ho mai vista così arrabbiata. Calmati. Mi fai paura.»
«Non hai ancora visto nulla. Questo è niente in confronto a come diventerò se quel deficiente continuerà a comportarsi così.»
«Ero lì e ha preferito dirlo a me a voce, così… Insomma non lo so. Però non è una cosa per cui incazzarsi.»
«No, certo. Figurati.» Sbatto il pugno sul legno della scrivania e chiudo gli occhi. «Ci siamo baciati. E’ stato molto più di un semplice bacio e mi sono solo voluta nascondere fino adesso. C’è sempre stata un po’ di attrazione tra me e Edward. Durante le riunioni più volte è capitato che i nostri occhi si fermassero per brevi secondi e… insomma sentivo caldo, tanto caldo. Ogni volta che mi faceva entrare nel suo ufficio… Lasciamo stare!» Sciolgo i capelli raccolti in una coda di cavallo e ci passo le dita in mezzo. «Mercoledì scorso dopo tanto flirtare in ospedale e per telefono ci siamo baciati. Mi sono resa conto di aver fatto una cazzata e me ne sono andata. E adesso lui si comporta così.» Le spiego allargando le braccia, come se fosse evidente per tutti lo stress di cui mi stava caricando.
Angela resta in silenzio, pietrificata dietro alla scrivania e mi rendo conto della sua faccia stupita solo nel momento in cui apro gli occhi e li punto su di lei, infiniti minuti dopo.
Sconsolata scuote la testa e non sa cosa dire.
«Puoi dire ciò che vuoi. So di essere stata una grandissima cretina. Che avrei dovuto parlare invece che scappare. Ma è Edward Cullen, il mio capo. Non volevo arrivare a questo… e invece ci sono arrivata ugualmente.»
«Chiamalo, chiedigli scusa. Vai da lui.»
«Si certo. Come no! Bella idea!» Dico sarcastica, mentre preparo un file pdf con tutti i documenti nuovi e lo allego a una mail.
«Quindi ora come farai?»
«Gli mando ciò che vuole, corredato da una mail abbastanza esplicativa su ciò che deve finire immediatamente e spero solo di non fare altri danni.»
Annuisce e si mette al lavoro, mentre penso a cosa scrivergli.

Boss, ti mando i file richiesti attraverso Angela. Ho aggregato tutto in unico file perché fosse più semplice scorrere le novità. Ogni argomento però ha un segnalibro diverso, c’è un indice se vuoi trovare il topic più interessante.
A proposito di interessante, è notevole il fatto che non riesci a scrivermi via mail ciò che devo fare e ti affidi a Irina o Angela, evidentemente è molto facile trattenersi e limitarsi a scrivere due righe sintetiche e fredde.
Una settimana fa me ne sono andata credendo che queste sarebbero state le conseguenze di qualcosa che si incrinava tra noi, sperando di poter prevenire. Mi accorgo invece che è capitato proprio ciò che volevo evitare. Spero che d’ora in avanti non succeda più, se devi notificarmi qualcosa, ti prego, parla direttamente con me.



Sintetica, chiara, precisa e determinata: in poche parole inappuntabile. O per lo meno così credevo. Al rientro dalla pausa pranzo il computer segnalava due mail, entrambe da Edward. Con un sospiro mi accinsi ad aprire la prima, erano le modifiche ai file che gli avevo mandato. In un paio d’ore aveva già svolto un lavoro di mezza giornata. Non vedeva l’ora di tornare operativo ed io mi ero ben guardata dal tenerlo fuori da ogni aggiornamento, ero stata proprio una scema.
La seconda mail invece conteneva del testo, semplice e chiaro testo.

Immagino di dover leggere Boss con una nota di simpatia, o non l’avresti mai scritto, giusto? Non credo tu voglia ritrovarti a servire caffè ancora una volta. Ho detto ad Angela di chiederti di mandarmi anche la tua tesi, cosa che non è stata ancora recapitata come allegato nella mia casella di posta elettronica, provvedi quanto prima. Ho tempo da dedicare a molte cose dato che sono bloccato a casa. Detto ciò ti ricordo che sei stata tu ad andartene, sei fuggita senza voler discutere di quello che era successo… dimostrandomi quanto sei incline ad affrontare i problemi. Sembrava non avessi molta voglia di interagire con me ed io, semplicemente, ti sto accontentando.

Mi sta solo accontentando? Sono incline ad affrontare i problemi? Decisamente, non ha capito un cazzo di me!
Sbatto la testa sulla scrivania e dopo un attimo di esitazione riprendo a lavorare, ignorando nella mente il richiamo di quella mail e tornando all’efficienza professionale che mi caratterizza.
«Bella, stasera a che ora veniamo da te?» Quella domanda, nel bel mezzo della mia creazione, mi distrae. Mi sono scordata di rispondere al messaggio di Angela ieri. Non alzo neppure la testa e sospiro.
«Non se ne fa niente per stasera, Angy. Sono impegnata.» Non ricevo risposta, solo silenzio nella stanza interrotto, di tanto in tanto, dal respiro agitato della mia amica. Sì, sono arrabbiata anche con loro. Dal momento che sono MIEI amici e ieri sera hanno preferito andare a casa di Edward a mangiare la pizza anche se io non ero stata invitata. Sì, sono molto arrabbiata. Quando finisco quello che mi sembra essere l’ultimo dettaglio della slide spengo il computer, raccolgo le mie cose e saluto Angela. A casa mi aspetta Poppy, e il lavoro arretrato che mi sono portata a casa per non dover condividere l’ufficio con Angy.

Sento da lontano uno strano rumore, come se qualcuno bussasse alla porta. Apro gli occhi di scatto e mi rendo conto di essere stesa sul divano, con una coperta malamente messa sulle gambe, Poppy accovacciato ai piedi del sofà e i fogli sparsi ovunque. Merda. Il rumore si ripete e all’inizio credo che sia la televisione, ma è a volume bassissimo, e stanno trasmettendo un quiz quindi non può esserci il rumore di qualcuno che bussa. Afferro il telefono e controllo l’orario. Mezzanotte e dieci. Convinta che il rumore sia qualcosa che non mi interessa mi preoccupo di raccogliere i fogli e appoggiarli sul tavolino, proprio quando sento di nuovo bussare. Cammino a piedi scalzi fino alla porta, nessuno viene mai a quest’ora, porca miseria. Chi diavolo è? Magari è il portiere che si è dimenticato di darmi la posta. O Nicole del terzo piano che ha finito il caffè e deve andare a lavorare in quella discoteca… No, non può essere. Quatta quatta mi avvicino alla porta, alzo lo spioncino e guardo dall’altra parte. Le scale buie mi impediscono di vedere chi c’è dall’altra parte. Mi allontano dalla porta spaventata, ho visto solo due ombre sul pianerottolo e sono spaventata. Poppy alza la testa verso di me, curiosa di vedermi osservare la porta con circospezione. Poi si avvicina lentamente mettendosi davanti ai miei piedi a osservare la porta anch’essa. La mia bravissima cagnolina. Il bussare arriva ancora una volta e ora sono certa che dietro quella dannata porta non ci sono due fantasmi. Prendo lo spray al peperoncino dalla tasca del mobiletto d’entrata e nell’altra mano la mazza da baseball. Sono pronta ad aprire quando sento due voci che riconosco, parlare sottovoce.

«Se non apre le cose sono due: o non sente perché sta dormendo o non è in casa.»
«Potrebbe esserle successo qualcosa. Te l’ho detto che non risponde al telefono dalle sei  e mezzo. E poi perché non hai suonato al campanello?»
«Immagina lo scalpore che faremmo in mezzo alle scale, di notte, mentre suoniamo al campanello di una donna. Amico ho una reputazione da difendere!»
«Come vuoi. Ora vedi di chiamare qualcuno che ci possa aiutare!» Sospiro e giro la chiave nella toppa, tirando via il chiavistello e anche il fermaporta in ferro che mi sono fatta installare da un paio d’anni. Accendo la luce in entrata e apro la porta.
«Buonasera!» Poppy si frappone tra me e i miei ospiti e li guarda in malo modo. Jasper si accuccia e porge la mano al cane che lo riconosce, facendogli le feste. «Si può sapere che diavolo ci fate voi due qui, di notte, a bussare come degli psicopatici?»
«Facci entrare! Siamo stati qua fuori un’infinità di tempo e questa divisa attira troppi sguardi curiosi. Credo che la tua vicina di casa abbia già aperto l’uscio cinque volte per ficcanasare!» Mi sposto di lato e li faccio passare. Poppy si intestardisce con Edward e si pone davanti ai suoi piedi, impedendogli di fare un secondo passo dentro casa. Mi accovaccio e la prendo in braccio, nonostante il suo peso.
«Shhh, non ringhiare. Sono ospiti buoni. Vuoi due crocchette?» La metto a terra dopo che Edward è entrato e per farla stare buona le porgo due croccantini, che lei snobba. Fissa Edward in malo modo, mostra i denti e si pone di fronte a me come per proteggermi.
«Cavoli, il tuo cane già non sopporta Edward. Andiamo bene! Amico cos’è che volevi fare?»
«Sta’ zitto.» Brontola Cullen restando fermo a guardarci. Poppy si muove verso di lui, gli annusa i piedi e poi torna verso di me, tra le mie gambe e ringhia di nuovo.
«Ho capito, Edward non ti piace.» Sbuffo e alzo lo sguardo su di lui. «Mi dispiace, Poppy è davvero protettiva nei miei confronti. Non ha mai morso nessuno però.» Edward annuisce e si avvicina al tavolo per sedersi ma Poppy ringhia più forte e si mette in mezzo, tra me e lui mostrando i suoi piccoli canini.
«Merda. Non gli piaccio proprio. Hai due croccantini?» Jasper mi guarda confuso e poi riguarda l’amico.
«Tu hai sempre odiato i cani.»
«E a quanto pare loro odiano me. Ma se voglio sedermi e riposarmi qui dentro devo superare lo scoglio, la padrona di casa non è Bella in questo momento!» Stupita dalla comprensione che ha avuto e dall’audacia di superare le sue paure gli passo la scatola di croccantini. Ne prende una manciata e poi lentamente, molto lentamente, si inginocchia a terra. Tiene lo sguardo fisso sempre su Poppy e lei ringhia di nuovo.
Poi lui gli lancia un croccantino a metà strada fra sé e il cane. Poppy annusa l’aria, si avvicina e mangia l’esca. Continua così finché il cane non è davanti alle sue gambe. Tiene un solo croccantino sul palmo di una mano aperta e la mostra alla mia cagnolina.
«Ora sta a te la scelta. Vuoi accettarmi e farti coccolare o stabiliamo una guerra eterna tra me e te? Perché vorrei davvero sedermi, sono stanco e ho bisogno di parlare con la tua padrona o i guai diventeranno più grossi del previsto.» Poppy si volta verso di me, si assicura che sia sicuro e poi si avvicina a prendere l’ultimo croccantino, lecca la mano di Edward e appoggia la zampa destra sulla sua gamba.
«Ottima scelta Poppy!» Edward accarezza il pelo morbido della mia cagnolina e lei, finalmente, cede e gli da il via libera. Edward non è più un problema per lei.
«Bene, sembra che finalmente non rischierò più di mettere piede in questa casa e vedermi attaccare da una cagnolina pelosa e morbidissima. Poppy è un piacere coccolarti. Sei quasi meglio di un antidolorifico, ma al momento credo che se non mi siedo sverrò sul pavimento!» Jasper si alza di scatto e lo sorregge, lo aiuta a prendere posto su una sedia attorno al tavolo e controlla le garze sotto la maglietta.
«Posso portarvi qualcosa da bere?»
«Un caffè per me.»
«Un bicchiere d’acqua.» Mi sciacquo le mani e poi porto a tutti e tre qualcosa da bere sul tavolo.
«Allora, cosa ci fate qui?»
«Edward voleva parlarti!» Sputa fuori Jasper di getto tra un sorso di caffè e l’altro. L’altro grugnisce e si passa la mano sana tra i capelli.
«Sei sempre un caro amico!»
«Prego. Grazie del caffè Bella. Vado in macchina ad aspettare, quando avete finito fammi un fischio!»
Esce da casa mia lasciando Edward a passarsi la mano tra i capelli, sembra molto confuso.
«E’ tardi, vorrei davvero sapere perché siete qui!»
«Non rispondevi al telefono, hai detto ad Angela di avere un impegno per stasera ma non eri rintracciabile. Hai ignorato tutte le mie chiamate e i miei messaggi. Mi sono preoccupato.»
«Perché?»
«Pensavo ti fosse successo qualcosa. Così ho chiamato Jasper.»
«Perché ti sei preoccupato?»
«Te l’ho già spiegato.»
«Edward te lo ripeto. E’ tardi, sono stanca e molto confusa. Non capisco cosa diavolo ci fai a casa mia nel bel mezzo della notte e vorrei davvero sapere perché sei qui. La verità.»
Distoglie lo sguardo da me e si guarda attorno. Scruta la mia casa millimetro per millimetro, osserva la mobilia, le mie foto, il disordine che ci circonda. Poi si ferma sul tavolino del salotto.
«Stavi lavorando?»
«Sì e mi sono addormentata. Sono molto stanca, puoi per favore rispondermi?»
«Non rispondevi, mi sono preoccupato che fosse successo qualcosa e avevo questo maledetto tarlo in testa che mi diceva di venire a vedere se stavi bene… e chiederti scusa.»
«Perché?»
«Perché ho capito le tue remore, ho capito i tuoi dubbi e credo di capire perché te ne sei andata. Capisco ma non approvo. Non sono uno che scappa di fronte ai problemi e avrei preferito che ne avessimo parlato. Forse tutti questi malintesi non ci sarebbero stati. Non credi?» Mi riempio un bicchiere d’acqua dalla caraffa e con il piede accarezzo Poppy che è arrivata a porsi di fronte alla mia sedia. È venuto a chiedere scusa, quando quella che dovrebbe scusarsi sono io.
«Credo che tu abbia ragione, sarei dovuta restare e parlare, di certo non scappare in quel modo o almeno provare a parlarti da sola il giorno dopo. Non l’ho fatto. Solitamente non scappo neanche io di fronte a una difficoltà, ma con te… beh è tutto diverso. Questo lavoro per me è troppo importante e non voglio rovinare di nuovo le cose!»
Mi guarda come se nella sua mente passassero milioni di immagini, come se volesse dire una miriade di cose tutte nello stesso momento, ma preferisce il silenzio. Mi osserva, scruta il mio volto, fissa i suoi occhi nei miei e sorride alzando solo l’angolo della bocca.
«Quindi… abbiamo fatto pace?»
Scoppio a ridere per l’ingenuità di quella domanda e la tranquillità con la quale me l’ha posta.
«Sì, abbiamo fatto pace.»
«Bene, perché c’è altro di cui vorrei discutere.»
«Cioè?»
Con il piede sposta dolcemente Poppy sotto il tavolo e poi trascina la sedia verso di lui con la mano libera. Si avvicina con il volto al mio, i suoi occhi verdi e profondi incatenati ai miei, la sua mano sale piano fino al mio collo, mi accarezza con il pollice dietro l’orecchio e socchiudo gli occhi, inclinando la testa e lasciandogli il campo libero. Sono completamente nelle sue mani, il suo tocco è micidiale.
«Non ho intenzione di smettere di baciarti!» Sorpresa mi raddrizzo di scatto e lo guardo. Mi sorride, continua con la sua carezza magica e mi sorride, semplicemente. E’ ancora più bello di sempre. Con quella maglietta sportiva, i pantaloni della tuta calati sui fianchi, i capelli spettinati e un velo di barba a coprirgli il volto. La mandibola definita, le labbra che so essere morbide e quegli occhi così profondi.
«Edward…»
«Shh! Non dire nulla. Non cambierà nulla al lavoro, diamoci una possibilità. Vediamo come va e se dovesse andare male ti prometto che il lavoro non ne risentirà!» La mia espressione si fa sospettosa e mi avvicina a lui ancora di più, fino a far scontrare lievemente le nostre fronti. Devo sorreggermi alle sue spalle per non perdere l’equilibrio precario sulla sedia.
«Non ti fidi di me. Lo leggo nei tuoi occhi e nella rigidezza del tuo corpo. Non ti fidi. Perché?»
«Edward la società è tua. Ovvio che non ne risentirai al lavoro. Dimmi solo come farai ad affrontarmi ogni giorno se qualcosa va male? Già entri in ufficio incazzato come una bestia sei giorni su cinque, mi hai licenziata per un maledetto ritardo… se dovesse succedere qualcosa tra noi, io sarei quella che ce ne rimette. Non potrei più lavorare per te, con te, e sarebbe un luogo di lavoro ostile.»
Mi bacia il naso una, due, tre volte e poi mi bacia la fronte, sospirando. Prende numerosi e profondi respiri prima di tornare ad appoggiare la fronte sulla mia e chiudere gli occhi.
«Sarai responsabilità di Rosalie, il tuo supervisore sarà Angela e prometto, te lo prometto Bella, sarò professionale. Diamoci una possibilità.»
«Perché?» Ridacchia con la bocca quasi sulla mia. Ha già capito che sto cedendo.
«Perché hai delle labbra fottutamente perfette!» Rido anche io, ma vengo interrotta dalla sua bocca. Le sue labbra aggrediscono le mie con impeto, la sua lingua invade la mia bocca, mi spinge contro di lui e i suoi denti mordono il mio labbro inferiore facendomi gemere. Poppy abbaia sotto la tavola e devo staccarmi un secondo per intimarle il silenzio. Poi mi catapulto di nuovo su quella bocca. Afferrando la mano sana nella mia lo aiuto ad alzarsi e continuando a restare intrecciati con le nostre bocche lo guido fino al divano.
«Qui staremo più comodi!» Lo invito a sedersi e lui prende posto, lasciandomi lo spazio libero di fianco a lui. Mi inginocchio al suo fianco per essere sicura di non cadergli addosso e riprendo da dove ci eravamo interrotti.
«Odio queste cazzo di ferite! Siediti sulle mie gambe!» Scuoto la testa portando le mie labbra sul suo collo, dietro l’orecchio e poi giù fino al pomo d’Adamo che lecco e bacio. Traccio tutto un percorso mordendolo lievemente sul collo, fino alla clavicola. L’odore della sua pelle mi inebria e le mie mani non riescono a stare ferme. Mi stringo sulle sue spalle, gli graffio il retro del collo, gli tiro i capelli e lui geme, mormora il mio nome e ha gli occhi chiusi, in estasi.
Wow. Credo di non aver mai visto un uomo tanto perso come lui con solo dei baci.
«Siediti su di me.»
«Ti faccio male. Restiamo così. Puoi sentirmi lo stesso.» Mormoro. Succhio la sua pelle, il punto vicino alla clavicola, lì dove è più dolce, dove la sua pelle è così morbida e mentre mi accorgo di non riuscire a staccarmi e di volerlo marchiare, geme e getta indietro la testa frustrato. Prendo la sua mano sana e la appoggio sul mio fianco, muovendola circolarmente, stringendogli le dita sulla mia pelle. Si riscuote e finalmente riprende il controllo, per quanto è possibile. La sua bocca cerca la mia mentre le sua mano sale sul mio seno, mi palpa, mi tocca, lo stringe attraverso la maglia. Lo chiamo, lo sprono a fare di più ma lui si limita a giocare con il mio seno, con i miei capezzoli ormai duri. Mi fa gemere, mi fa rabbrividire e mi avvicino di più passandogli le mani dietro il collo e spingendo la sua bocca ancora più vicina alla mia. Quando ci stacchiamo per riprendere fiato appoggiamo le fronti una all’altra.
«Wow. Penso di non aver pomiciato così neanche a quattordici anni.»
«A chi lo dici.»
Restiamo fermi, in silenzio, a goderci quei meravigliosi istanti, il fiatone e le guance arrossate.
«Devo andare.» Mormora accarezzandomi dietro l’orecchio.
«Sì, Jasper starà dormendo in macchina. È il caso che andiate.» Ma nessuno dei due si muove. Dopo un altro tot di minuti imprecisati mi alzo e lo aiuto a fare altrettanto. Lo accompagno alla porta. Si piega su di me, mi bacia la fronte e poi il naso e di nuovo la bocca, dolcemente, teneramente.
«Non pensare stanotte. Non riflettere. Non angosciarti. E’ stato bellissimo, concentrati su questo. Vieni da me finito il lavoro?»
«Edward…» Sono tentata di dire sì ma i rischi di affrettare le cose sono tanti.
«Cazzo, stai già facendo marcia indietro!» Il suo sguardo perso mi stupisce. «E’ solo una cena. Promesso.»
«D’accordo.» Accetto dopo un attimo di esitazione. Mi bacia, sorridente, ancora una volta le sue labbra giocano con le mie.
«A domani. Buonanotte Bella. Ciao Poppy!» La mia cagnolina, ferma ancora sotto il tavolo, abbaia in risposta e io chiamo l’ascensore per Edward.
«Buonanotte.» Mormoro quando le porte a vetri si chiudono tra me e lui. Avverto Jasper con un sms e gli chiedo di avvisarmi quando sono a casa.

Capitolo Dodici

I giorni che seguono quella telefonata sono frenetici. Appuntamenti su appuntamenti, nuovi potenziali clienti, telefonate, preventivi e, sopra ogni cosa, casini di Irina da sistemare. Il telefono è diventato il mio migliore amico, il block-notes il fidato compagno di ogni mia giornata. Il computer è sempre fisso nella scrivania dell’ufficio di Angela, posto che mi ha vista ben poco.
Angela si è spinta a farsi carico di ogni progetto e appuntamento di Rosalie, lasciandomi la patata bollente di Cullen. Edward mi ha tormentata di e-mail aggiungendo nuove mansioni, nuovi incarichi, nuove telefonate da compiere. Lunedì sera sono tornata a casa alle dieci e mezzo, ho riscaldato una tazza di caffè della mattina nel microonde, una scatola di biscotti ed ho continuato a lavorare seduta sul divano. Martedì sono uscita dall’ufficio insieme ad Angela alle undici. Inutile dire che Irina era già a casa dalle cinque del pomeriggio e che Alice aveva ricevuto l’ordine da Edward di restare in ufficio fino alle sette e mezzo, almeno. Stamattina, conscia che non sarei riuscita a tornare a casa per cambiarmi, ho preso una borsa con qualcosa di comodo per stasera. Jasper mi ha scritto verso mezzogiorno dandomi l’indirizzo della casa di Edward e l’orario in cui farci trovare lì. Ho inoltrato il messaggio ai miei compagni di serata e per finire a un orario decente ho ripreso a lavorare immediatamente, saltando la pausa pranzo per il terzo giorno consecutivo.
Sono ancora impegnata in una telefonata che sembra non finire più quando Emmett entra nel nostro ufficio già con il cappotto addosso e la valigetta tra le mani. Metto in attesa il cliente un minuto ad un cenno del mio amico.

«Vado a prendere le pizze e poi ci incontriamo da Cullen, accompagno anche Alice e Seth, Angela ce la fa a venire con te?»
Guardo la sua scrivania vuota, è ad un appuntamento con un cliente iniziato più di due ore fa, dovrebbe terminare, ma ancora non se ne vede traccia.
«Non so se viene. Domenica ha detto che ha un impegno.»
«Domenica l’ha detto perché Seth è stato stupido a parlare della sua ragazza. Ora ex, a quanto pare.»
«Si sono lasciati?»
«Hai una telefonata in sospeso, Bella. I dettagli stasera a cena. Porta Angela, passo a prendere le pizze!» Mentre sta uscendo lo blocco chiamando il suo nome.
«Per Edward prendi una pizza al salame piccante e olive!» Emmett mi guarda con un sorrisetto ironico e, per ignorare le sue probabili domande, torno alla telefonata cacciandolo con un gesto della mano.

Finalmente dopo altri venti minuti riesco a liberarmi. Spengo il computer, il telefono è in modalità notturna e posso tirare un sospiro di sollievo. Anche questa giornata di duro e infinito lavoro è terminata. Prendo la borsa da sotto la scrivania e mi fiondo in bagno per cambiarmi. Indosso i miei jeans a vita bassa, il mio maglioncino leggero e le mie converse. Tolgo le lenti a contatto e metto gli occhiali da sfigata, solo perché mi bruciano gli occhi e stasera voglio essere rilassata. Quando esco dal bagno incontro Angela che sta uscendo dalla sala riunioni con il cliente, mi sorride e confusa mi indica con la testa. Eh, so che non è propriamente l’abbigliamento da ufficio. Mi dileguo nel nostro ufficio, prendo il cappotto e la borsa e la aspetto.
«Dove stai andando?» Mi chiede dopo aver accompagnato il cliente.
«Da Edward, ti ricordi della pizzata?»
«Oh, già!»
«Dai, prendi la borsa e vieni anche tu!»
«No, ho da fare!»
«Angy… per favore!» Lei sospira e si lascia cadere sulla sedia, a peso morto. «Che succede?»
«Lunedì Seth mi ha detto che domenica ha chiuso con quella ragazza, che mentre l’accompagnava si è reso conto che non è lei che vuole e non la voleva illudere.»
«E non è quello che volevi?»
«Mi ha accompagnata a donare il midollo. Mi ha portata a casa. Mi ha coccolata, mi ha viziata e prima di andare via mi ha baciata.»
Istintivamente sorrido, sono felice per lei.
«E’ un ottimo inizio.»
«No, è un’ottima complicazione!»
«Angela!»
«Senti… io non sono brava con queste cose!»
«Neanche io! Però lui ci sta provando spudoratamente, ti ha invitata fuori, ti ha supportata in un momento difficile, ha lasciato quella tizia e ti ha baciata. Datevi un’opportunità. Inizia a venire alla pizzata stasera!» Sospira e chiude gli occhi, il capo appoggiato alla sedia e le mani appoggiate stancamente alla scrivania.
«Mi piace tanto, non voglio rovinare le cose con lui…» Sussurra stanca. Come la capisco.
«Andiamo Angy, non farti abbattere così. Non rovini nulla, andrà come deve andare e vedrai che tra qualche mese ti darai della stupida per aver perso così tanto tempo. Seth è un bravo ragazzo, siamo un gruppo unito e qualunque cosa succeda vi staremo vicini. Non rovinerai nulla!» Sospirando si alza e afferra le sue cose alla rinfusa. Mi raggiunge in silenzio e, sempre in silenzio, scendiamo verso il parcheggio e la mia macchina.
«Passiamo a prendere un dolce, prima!» Sapendo che Rosalie non può cucinare e che Alice è con Emmett, sicuramente non avremo nulla di ipercalorico da sbocconcellare o in cui affogare la nostra stanchezza. In pasticceria optiamo per dei cupcake e, conoscendo Emmett, ne prendiamo due scatole con più gusti.
Guido fino all’indirizzo dell’appartamento di Edward e quando è il momento di suonare il campanello lascio, con una scusa, che sia Angela a farlo. L’ansia è alle stelle. Jasper risponde e ci apre il portone, invitandoci a salire e a pigiare l’ultimo numero dell’ascensore. Quando finiamo la corsa verso l’alto e usciamo sul pianerottolo troviamo diverse porte chiuse attorno e solo una, in fondo a destra, socchiusa. Ci dirigiamo lì e, con i palmi sudati, spingo la massiccia porta blindata. I pavimenti di parquet chiaro e lucido risaltano le luci a neon delle stanze. L’entrata è ampia e si intravede il salotto e le immense vetrate. Angela chiede permesso, io resto in assoluto silenzio, sbigottita dall’ansia che provo a trovarmi dentro questo appartamento.
«Vorrei tanto andarmene a casa.» Mormoro in modo che solo lei possa sentirmi.
«Cos’è che mi hai detto prima? Datevi una possibilità. Ecco, forse dovresti ascoltare il tuo stesso consiglio!» La guardo stupita mentre si toglie le scarpe e le lascia in entrata, chiude la porta e si sfila il cappotto appendendolo dove si trovano tutti gli altri alla nostra sinistra.
«Angela è ben diverso!»
«Hai ragione, ma non sarebbe una cosa tanto tragica se cedessi a qualche impulso… ogni tanto!» Scuoto la testa e cerco di togliermi il cappotto nonostante tenga le scatole di cupcake in mano.
«Sei fuori strada!»
«Oh, non credo proprio!» Mi strizza l’occhio e prende le scatole dalle mie mani, facendomi cenno con la testa alle scarpe. Sì, anche io lo so di doverle toglierle! Questo pavimento sembra immacolato. Jasper ci raggiunge mentre sto appoggiando le scarpe vicino a quelle di Angela e a quelle degli altri ospiti.
«Finalmente! Ci avete messo un sacco di tempo! Stiamo aspettando solo voi, siamo in cucina!» Ci fa strada lungo l’entrata e quando svoltiamo l’angolo a destra un meraviglioso open space mi ferma il respiro. I toni chiari di tutto l’arredamento rendono l’appartamento luminosissimo, le grandi vetrate tutto attorno permettono una visuale della città meravigliosa. Le luci da qui sono suggestive, emozionanti, verrebbe voglia di stare alla finestra ore ed ore solo per ammirare il paesaggio circostante.
«Edward, non sapevo avessi una casa così bella!» Sento Angela che parla dietro di me, ma non riesco a muovermi. Il divano bianco di pelle è al centro del salone, nell’angolo in fondo alla sala un pianoforte nero si staglia in tutta la sua magnificenza, sulla parete sinistra che abbiamo alle spalle un grande televisore è appeso in mezzo a due casse audio pazzesche. Volto lo sguardo alla mia destra e due gradini aprono la strada per la cucina. E’ rialzata, moderna e al centro un grande tavolo bianco è già occupato da tutti i miei conoscenti. Due pareti alte dieci centimetri più di me dividono il salotto dalla cucina, la parte a destra alta la divide dall’ingresso e quella dietro, probabilmente, la divide dal reparto notte.
Sono talmente appagata da quello che vedo, piacevolmente sorpresa, che non riesco a muovere un solo passo e tutti se ne rendono conto.
Alice si schiarisce la voce e mi fa cenno di raggiungerli, mentre Angela mi spinge con una mano sulla schiena. So che devo dire qualcosa ma… sono senza parole.
«Buonasera a tutti!» Mormoro salendo i due scalini che mi fanno entrare in quel paradiso. La cucina è immensa. Il piano è in legno chiaro, gli elettrodomestici in acciaio, le sedie bianche e tutto è così armonioso e luminoso. Angela prende posto accanto a Seth e Emmett, io mi devo accontentare della sedia che mi porge Jasper, di fianco a Edward.
«Ci avete messo un sacco di tempo ad arrivare!» Brontola Rose.
«Sì, Bella ha voluto fermarsi a prendere il dolce!» Jasper mi da una piccola gomitata sul fianco per schiodarmi dai miei pensieri e mi fa cenno con gli occhi verso Edward. Con un sospiro che avrebbe potuto spegnere un incendio in una foresta mi volto.
Edward fissa il tavolo davanti a sé, un cuscino dietro la schiena gli permette di stare in una posizione più comoda; solo in quel momento mi rendo conto di dove sono, con chi e tutto il resto. Indossa una maglietta bianca a maniche corte, un paio di pantaloni della tuta neri larghi, il volto corrucciato e i capelli disordinati. E’ bellissimo. E io sono nei guai.
«Ciao, come ti senti?» Mormoro sporgendomi verso di lui mentre gli altri chiacchierano tra loro. Si volta con un’espressione indecifrabile sul volto.
«Sto bene. Ho solo un po’ di fame.» Annuisco proprio mentre Emmett apre i cartoni delle pizze e le dispone, ad una ad una, di fronte a noi. Edward la osserva stupito, poi alza gli occhi su Emmett che lo sta scrutando.
«Ehi, se non ti piace devi prendertela con Bella! E’ lei che mi ha detto di prendertela così!» Alza le mani sulla difensiva mentre si siede. Edward si volta verso di me con gli occhi lucidi. Stasera è parecchio strano.
«E’ solo una pizza.» Borbotto mentre taglio la mia a spicchi.
«No, non è solo una pizza. Grazie.» Comincio a mangiare, nonostante si sia raffreddata per colpa del nostro ritardo, la pizza è davvero buona. Sono già alla terza fetta quando mi accorgo che Edward non ha toccato la sua. Gli lancio un’occhiata per vedere se sta bene e mi accorgo dell’imbarazzo sul suo volto. Fissa la pizza senza alzare lo sguardo su nessuno. Jasper è impegnato a parlare con Emmett, Rosalie parla di vestiti con Alice e Angela e Seth sono chiusi nella loro bolla privata. Nessuno ha pensato di tagliare la pizza al padrone di casa con un braccio ingessato. Maledizione! Afferro coltello e forchetta e suddivido la pizza a spicchi, poi mi alzo e frugo nei mobiletti alla ricerca di un piatto con cui scaldargliela. Quando gli rimetto la pizza calda davanti le guance sono ancora più rosse ed evita il mio sguardo.
«Grazie» Mormora solamente prendendo con la mano libera una fetta e portandosela alle labbra. Io continuo a mangiare la mia fredda, con la mozzarella diventata ormai gommosa. Non ho neanche più fame, dentro ho un mare di emozioni particolari e confuse che si agitano dentro.
Vedendo che tutti interagiscono gli uni con gli altri e che io e Edward siamo gli unici messi in disparte mi sento in imbarazzo, è come se fossimo noi all’interno di una bolla particolarmente isolata. Mi giro verso Edward e gli sorrido complice.
«Allora, com’è stato tornare a casa?» Finisce l’ultimo boccone di pizza che gli resta e si pulisce la mano e la bocca con il tovagliolo, come faccio a trovarlo sexy anche in queste piccole cose non me lo spiego.
«E’ stato strano, soprattutto perché Jasper in sostanza vive qui da tre giorni. E’ come avere una balia!» Storce il naso e io sorrido.
«Si impegna per non farti sentire solo…» Sussurro e lui annuisce, sorridendo appena. E’ un sorriso consapevole, dolce, tenero e mi mostra un lato di Edward che ancora non conoscevo. La gratitudine profonda. Ci sono voluti anni ma alla fine ce l’ha fatta a capirlo.
«Hai un appartamento meraviglioso. La vista è mozzafiato e la luce dell’arredamento è spettacolare. Sono rimasta stupita quando sono entrata.» Do un’occhiata in giro e lui sorride, alzandosi lentamente dalla sedia.
«Vieni…» Mi dice tendendomi la mano. Mi alzo e, senza capire perché, intreccio le mie dita alle sue. «Ti mostro il resto dell’appartamento.» Cammina piano, scende gli scalini con grande difficoltà e poi gira a destra, costeggiando tutto il muro della cucina. Avevo ragione, dietro c’è un altro corridoio dove sono presenti diverse porte.
La prima porta è un piccolo ufficio, all’interno due pareti sono piene zeppe di libri ben ordinati in una libreria in legno scuro, un tappeto enorme copre il parquet chiaro e la scrivania è direzionata verso la finestra.
«Quando non lavoro in ufficio, questo è il posto dove creo.»
«E’ pazzesco.» Ero certa che su  quei ripiani libri su cui avevo studiato all’università noleggiandoli stavano a prendere polvere.
«Aspetta di vedere il resto!» Mi dice sorridendo. Chiude la porta e mi dirige verso quella successiva, stringendomi le dita tra le sue. La circolazione del sangue ha subito un’impennata. «Questa te la mostrerò dopo.» Supera la porta e apre quella successiva, una graziosa camera degli ospiti con una scrivania, una grande vetrata su mezza parete, un grande letto matrimoniale e due poltroncine ai lati. Tutto bianco. Chiude la porta e apre quella immediatamente attaccata. Il bagno. Ha una doccia gigantesca, un lavabo squadrato e dei mobiletti lucidi. I tappeti sono chiari su mattonelle chiare. E’ luminoso nonostante ci sia solo una piccola finestra a quattro vetri.
«Credo di essermi innamorata del tuo appartamento. E questo mi ricorda che tu non metterai mai piede in casa mia e che tutte le prossime serate in cui è protagonista la pizza si svolgeranno in questo magnifico appartamento!» Ridacchia e mi trascina fuori dal bagno.
«Ora ti mostro un’altra parte del mio appartamento, spero tu non soffra di vertigini!» Apre una porticina e mi precede su per le scalette. Dopo una ventina di scalini apre un’altra porta e subito l’aria fredda mi gela la pelle. Siamo in terrazza, sopra un grattacielo, attorno a questo piccolo pezzo di paradiso c’è una muratura che mi arriva al seno, ma la magia di questo posto è pazzesca. Un piccolo patio è stato costruito sopra una piscina, dell’edera ricopre le travi di legno rendendo tutto molto ricercato e romantico. Un tavolino di marmo con delle panche attorno è posto poco più in là e delle colonne con una strana struttura sono poste a diversa distanza tra loro.
«Wow! Cos’è questa struttura?»
«Serve per quando nevica. Ho un telecomando che permette di chiudere quasi tutta l’area con delle serrande. E’ la cosa che amo di più di questo appartamento!»
«E’ magico. E’ bellissimo. Credo che potrei rubarti l’appartamento, facciamo scambio per un po’? Giuro che poi faccio tutto quello che vuoi!» Mi rendo conto di come interpreta la mia frase solo dall’occhiata maliziosa che mi lancia e alzo gli occhi al cielo.
Rabbrividisco per l’aria gelida e lui mi tira verso le scalette.
«Scendiamo. C’è l’ultima stanza che voglio mostrarti!» So che si tratta della sua camera da letto, manca solo quella. Il suo passo è rallentato e mi chiedo dove abbia trovato la forza di stare in piedi per così tanto tempo. Quando torniamo nel corridoio, il tepore dell’appartamento mi scalda ma mai quanto il suo sguardo malizioso quando arriviamo davanti alla porta che abbiamo saltato prima. La apre e mi trascina dentro. Resto sbigottita di fronte a quello che vedo. Sulla parete alla mia sinistra c’è una cabina armadio con porte scorrevoli, al centro un letto king-size è posto di fronte alla grande e immensa vetrata, rialzato e coperto di lenzuola scure. Dall’altra parte della stanza altre porte scorrevoli chiare dividono la stanza da un bagno che intravedo e basta. Un divano di pelle è posto in un angolo, di fronte alla vetrata direzionato verso il letto. Un comò è proprio sulla parete alle nostre spalle. Mi tira verso il bagno, un enorme doccia da un lato e una vasca dall’altro, i sanitari e il lavabo in ceramica bianca. Sul mobile tutta l’oggettistica da bagno di Edward.
«Allora, che ne dici?»
«Ti pago, posso dormirci una notte?»
«Mi paghi?» Mormora con voce roca. E ancora una volta mi rendo conto di cosa ho detto e dell’allusione sessuale che ha colto. Merda.
Eppure il suo sguardo caldo non mi mette in soggezione, anzi, scalda il mio.
«Sì, ti pago…» Sussurro a mia volta. Il parquet chiaro, rende la stanza luminosa, le luci della città la rendono magica. Le fantasie che nascono immaginandolo mentre mi guarda stesa sul letto, mentre lui è seduto sul divano di pelle nera… rende difficile concentrarmi su altro.
«Non è la prima volta che alludi a qualcosa del genere, Bella…»
«Me ne rendo conto.» Come mi rendo conto che ci stiamo avvicinando, che le mie mani si appoggiano ai suoi fianchi mentre la sua mano scivola sulla mia schiena. Siamo a contatto, le nostre cosce si toccano, il suo bacino preme sul mio stomaco e il mio seno contro il suo stomaco.
«Dopo il soggiorno, questa è la camera che preferisco…» Mi lascio scappare con voce roca.
Si abbassa verso le mie labbra, mentre i nostri sguardi non si lasciano neppure un attimo.
«Credo che presto lo diventerà anche per me.» Dimentico tutto, dimentico chi c’è di là in cucina, le voci chiassose dei miei amici, i cupcake e la nostra posizione lavorativa. Mi lascio andare. Le sue labbra toccano le mie dolcemente, le mie rispondono schiudendosi appena e giocando con le sue; si cercano, si assaggiano, si modellano perfettamente le une con le altre. E poi l’istinto mi dice di assaggiare il suo sapore. La mia lingua saetta sulle sue labbra, le lecco, le assaporo e mentre mi godo il momento mi rendo conto di come lui si sia irrigidito per un attimo. Mi sto per staccare, decisa a lasciar cadere questo momento ma lui si stringe di più a me, le dita della sua mano si stringono attorno al mio maglione tirandolo appena, la sua lingua incontra la mia sulle sue labbra. E intorno sembra scoppiare il delirio. Le sue labbra si muovono sulle mie mentre le nostre lingue approfondiscono la loro conoscenza, mi stringe con un braccio e gemo. Le emozioni sono troppo forti, mi devo aggrappare a lui per non cadere ed è lì che succede. Geme, ma non di piacere, di dolore. Ho stretto il fianco ferito e si è staccato di slancio, accasciandosi.
«Scusa…» Balbetto mentre lo accompagno a sedersi sul divano. «Mi dispiace Edward, mi dispiace! Ti ho fatto tanto male?» Respira a fondo con gli occhi chiusi, la mano stretta a pugno e la faccia sconvolta dal dolore. Sono una stupida. «Posso fare qualcosa? Prendo del ghiaccio? Vuoi un antidolorifico?» Non riesco a stare zitta, il senso di colpa è fortissimo. Mentre continuo ad osservargli il volto sento le sue dita scivolare sulla mia mano e stringerla.
«Non preoccuparti. Ora passa. Mi sono affaticato troppo.»
«No, è colpa mia.»
«Smettila.» Sofferente cerca di abbandonarsi allo schienale del divano, lo aiuto posando un cuscino dietro la sua schiena. Sto qualche secondo in silenzio, fino a che i suoi occhi si aprono e cercano i miei.
«Mi dispiace…» Mormoro lentamente. Scuote la testa, le dita che prima stringevano la mia mano salgono sul braccio, fino alla spalla e al collo, in una carezza sensuale. «Mi dispiace davvero.»
«Shh. Non è niente. Vieni qui.» Scuoto la testa e resto ferma nella mia posizione. Il senso di colpa è forte anche per il bacio. L’imbarazzo adesso scende su di me a ondate, sento le guance scaldarsi e le immagino diventare due belle ciliegie mature.
«Edward…» Scuoto la testa in ansia. Come è stato possibile cedere così? Come è possibile aver combinato un tale casino? Lavoriamo insieme, non ci piacciamo neanche… o meglio io non piaccio a lui, perché mi ha baciata? Magari è solo in astinenza e ha bisogno di sfogare qualche istinto sessuale… ma perché proprio me?
«Isabella vedo del fumo uscire dalle tue orecchie. Smettila di angosciarti, non è successo niente.»
«Oh. Invece sì. Ci siamo baciati e questo è un bel problema! Un disastro.»
«Davvero?» Mi guarda sconvolto e annuisco solamente. «Strano, perché pensavo di aver sentito un gemito da parte tua, un sussurro roco con il mio nome mentre eri appoggiata a me e mi stringevi. Pensavo di averti dato un bel bacio, mai nessuna si è lamentata dei miei baci… non pensavo fosse stato un disastro!» Sbuffo.
«Non è stato un bacio disastroso ma… il bacio in sé è stato sbagliato!» Ormai non calcolo neanche più la situazione delle mie guance bollenti.
«Dici?»
«Sì…» La sua mano sulla nuca mi avvicina al suo viso, la sua fronte si appoggia sulla mia e il suo alito caldo si infrange sulle mie labbra. Gli occhi chiusi e un sorriso malizioso sul volto.
«Strano, perché a me è sembrato giustissimo. Tanto giusto che non vedo l’ora di rifarlo.» La voce roca termina con le labbra appoggiate alle mie e come prima la mia lingua temeraria va incontro alla sua. Il sapore della sua bocca, la morbidezza delle sue labbra e le dita che mi tengono appoggiata a lui in questo bacio senza respiro è tutto un miscuglio di sensazioni che mi fanno gemere più volte. Per evitare di fargli male anche stavolta mi inginocchio al suo fianco, avvicinandomi ancora di più e con le mani gli incornicio il volto per non perdere neppure un secondo il contatto con le sue labbra.
«Bella…» Mormora tra un bacio e l’altro. «Se continuiamo… non so… non mi fermo. Dio! Mordimi di nuovo!» Passo i denti sul suo labbro e succhio appena per poi rilasciarlo più gonfio e rosso di prima. Mi bacia con più passione e sento il suo corpo reagire, l’energia che sprigiona, la voglia di tirarmi ancora più vicina. Invece mi stacco da lui. Appoggio la fronte sulla sua e sospiro. Mi imita con gli occhi chiusi.
Solo in quel momento, mentre mi fermo a pensare per un attimo, mi rendo conto che siamo nella sua camera da letto mentre gli altri sono ancora in cucina, il dolce non è ancora stato scartato e noi ce ne stiamo qui a baciarci. Sento le voci che arrivano dall’altra parte della casa, mi domando come è stato possibile non ricordarsene fino ad ora.
Poi apro gli occhi, guardo il volto sotto al mio, un uomo meraviglioso, bello e sensuale, indebolito dalla vulnerabilità delle sue ferite, da quello che ormai so sul suo conto. Ma anche l’uomo che è il mio capo, il mio mentore e colui che mi ha licenziata e mi ha offesa più volte. Ho baciato Edward Cullen ed ora sono nella merda. Come affronterò ogni giorno di lavoro, da qui in avanti, con questa consapevolezza? Cosa succederà da domani? Quanto mi ferirà uno come lui? Quanto sono disposta a concedere a un uomo che so già mi farà provare un dolore impensabile? Non sono una donna facile, non mi accontento delle briciole, non sono neanche una che si fa calpestare. E sicuramente non sono la classica donna a cui è abituato lui, quelle da una notte e via. Devo allontanarmi, il più in fretta possibile, scappare a gambe levate dal nemico, dalla tentazione; devo nascondermi e incatenarmi piuttosto che cedere di nuovo.
E così faccio. Mi stacco, gelata dalle considerazioni appena fatte. Apre gli occhi e mi guarda confuso, mentre mi alzo dal divano e arretro fino alla porta della camera, scappando un secondo dopo, dando le spalle a quello che è appena successo.
Passo davanti alla cucina e saluto tutti frettolosamente, Alice mi insegue e cerca di farmi mille domande mentre infilo le scarpe di fretta. Sto indossando il cappotto quando Edward ci raggiunge con uno sguardo confuso e arrabbiato.
«Dove stai andando?»
«A casa.» Sbotto secca. Termino di vestirmi e lancio un’occhiata al padrone di casa che è decisamente fuori di sé.
«No, dobbiamo parlare.»
«Assolutamente no. Non stasera. Non con altre persone nel tuo appartamento e sicuramente non di quello che è successo!» Chiudo l’ultimo bottone del cappotto e mi volto verso Alice. «Portate a casa voi Angy?» Lei annuisce e si dilegua in cucina mentre apro la porta.
«Vuoi aspettare un secondo?» Mi ferma appoggiando una mano sulla spalla, rabbrividisco nonostante io abbia il cappotto. So che non è il freddo, è il suo tocco.
«Edward devo andare a casa.»
«No, dobbiamo parlare. Resti qui e affronti il problema.»
«Stiamo facendo una figura di merda davanti a tutti, amici e colleghi. Sono tuoi dipendenti.»
«Beh, grazie per avermelo ricordato. Nel caso te lo fossi chiesta era uno dei motivi per cui avevo il terrore di affrontare questa maledettissima cena!» Frustrato toglie la mano dalla mia spalla e la passa tra i capelli, poi guarda il muro alla sua sinistra e respira a fondo. Come faccia a mantenere la calma è un mistero. Non l’ho mai visto così controllato. Furioso sì, controllato mai.
«Devo andare Edward, è meglio così.» Apro la porta e me la chiudo alle spalle, senza voltarmi, senza ripensamenti, senza rimpianti. Stasera abbiamo fatto una cazzata.

Torno a casa con la mente piena delle immagini che si susseguono, nella mia mente, senza sosta. La sua testa che si inclina, la fronte appoggiata alla mia, il respiro caldo sulle mie labbra, il profumo della sua pelle, i capelli morbidi che mi cadono sulla fronte e poi quelle labbra. Quella bocca spettacolare appoggiata alla mia, il sapore della sua lingua, i denti che mi mordevano il labbro, i suoi gemiti sommessi, il respiro affannoso, la mano che mi spingeva di più verso di lui. Non so come faccio a ritrovarmi a letto intatta, ho guidato distrattamente per tutto il percorso. Mi spoglio e mi infilo a letto, non ho intenzione di farmi la doccia fino a domani mattina, voglio essere coccolata dal suo profumo e dalla sensazione, irreale, di lui addosso a me.
E’ solo un bacio. Solo un bacio. Non significa nulla. Solo un bacio.

Capitolo Undici

Domenica alle otto il campanello di casa suona impazzito. So già chi c’è dall’altra parte.
“Avanti Emmett porta il tuo culone dentro casa!” Scherzo lasciandogli libero il passaggio. Mi prende in braccio e mi fa girare, poi mi lascia un bacio sulla guancia e lascia entrare nel mio piccolo appartamento tutti gli altri. Quando noto la faccia delusa di Angela so già cosa aspettarmi dopo. Mi abbraccia forte e mi sussurra solo un debole “Non ce la faccio”. Dopo di lei entra una ragazza rossa, con i capelli lunghi, tutta vestita di nero e un anello al naso.
“Ehm… ciao!” Sussurra con la vocina debole.
“Bella ti presento Leila. Leila lei è l’ultima della combriccola che devi conoscere, Bella.”
“Piacere.” Ancora sbalordita dopo averle stretto la mano, chiudo la porta e mi avvio al tavolo. Alice sta distribuendo le pizze, Emmett apre un paio di birre, Angela osserva la lunga lista infinita dei miei libri. Indossa un paio di pantaloni a vita alta eleganti, una camicetta portata dentro e un paio di ballerine bianche trapuntate. E’ un mix favoloso. Ha raccolto i capelli in una coda alta, ha messo un filo di trucco, giusto per coprire le occhiaie e le lentiggini che odia tanto. E’ bellissima e si è davvero impegnata per apparire più bella di quello che è già, solo per combattere contro la nuova ragazza di Seth.
“Isabella hai ancora quel libro sulla comparazione illegale, negativa… doveva essere un libro di testo universitario se non sbaglio!” Ma che diavolo si è messa in testa? Parlare di lavoro ora è fuori discussione.
“Sì, dovrei averlo, lo cerco e domani te lo porto al lavoro.”
“Domani non ci sono, puoi portarmelo a casa quando finisci? Abbiamo un problema con un cliente!” Si siede di fianco ad Emmett lasciando un posto libero tra lei e Seth, posto che viene prontamente occupato da Alice quando torna in sala da pranzo.
“Hai preso un giorno di ferie?” Chiede Emmett sconvolto. “Allora c’è da brindare!” Alice alza la bottiglia e così danno il via al primo brindisi della serata.
“Ho fatto cin cin anche se non ho preso ferie.” Sorride e sistema il tovagliolo sopra il pantalone per non sporcarsi. Il must delle nostre serate pizza è che si deve mangiare con le mani. “Devo fare una cosa, una visita.”
“Angy non mi hai detto nulla. Di cosa si tratta?”
“Niente di che…”
“Non è niente di che! Sei sempre stata bene, godi di ottima salute, di cosa si tratta?” Immaginavo che Seth non se ne sarebbe stato zitto. Lei continua a masticare evitando di guardarlo e evitando di rispondere. “Allora?”
“Seth se non vuole dirtelo avrà i suoi motivi!” Interviene la ragazza al suo fianco. Quella non è una coppia che funzionerà. Lei è adorabile, molto tranquilla e pacata, forse un po’ troppo dark per i nostri gusti, ma sembra anche molto giovane. Lui è completamente disinteressato, non ha smesso un attimo di guardare Angela.
“Okay, ora che ci siamo tutti devo chiedervi una cosa. Jasper e io abbiamo fatto pace ieri sera. Si è presentato con del cibo messicano… Alice non guardarmi così!”
“Dovevi cacciarlo!”
“L’ho fatto, ha minacciato di mangiare davanti alla mia porta, da solo, e di bersi il mio rosso preferito, da solo. Era un sacrilegio!”
“Quindi ti ha corrotta con del cibo messicano e una bottiglia di vino? Come sei facile!” Borbotta mentre si pulisce le labbra.
“Posso…capire anche io di cosa parlate?”
“Jasper è un agente di polizia che ha quasi arrestato Bella il giorno che è stata licenziata. Sono diventati amici, poi lui è entrato a fare parte del gruppo. Ha chiesto a Alice per settimane di uscire e quando lei finalmente si è decisa ha urlato contro Alice al telefono per non so quale motivo. Lo stesso giorno ha litigato con Bella, perché le ha detto di farsi gli affari suoi.”
“Che riassunto spiccio Emmett! Mi sorprendo di come facciano a capire i clienti quando gli racconti le cose!”
“Quando lavoro sono molto più prolasso!”
“Sì, immagino!”
“E quindi facciamo questo spot con un tizio vestito in questo modo che dice così e voi avrete la vostra pubblicità. Ah il costo è di quarantamila dollari!” Alice gli fa il verso mentre io e Angela scoppiamo a ridere.
“Lavorate tutti insieme?”
“Stessa azienda, piani diversi!” Risponde Angela concisa.
“Wow, deve essere grandioso.”
“Tu di cosa ti occupi, Leila?”
“Gestisco una discoteca. Il Daloon, lo conoscete?”
“Non siamo molto… festaioli!” Risponde Alice, lanciandomi un’occhiata torva.
“Non incolparmi!”
“Da quando ci conosciamo saremo andate in giro per locali fino a mattina solo quattro volte.”
“Beh non è colpa mia!”
“Sei una lagna!”
“E tu sei una cretina. Dovresti chiamare Jasper e chiedergli di uscire!”
“Fossi matta! Non voglio neanche più vederlo!”
“Beh mi spiace avvisarti che-” Il campanello suona e le lancio un’occhiata maliziosa.
“Bella!” Sputa fuori Angela come se l’oltraggio l’avessi fatto a lei.
“Oh che grandissima stronza che sei!” Se ne esce Alice. Ridacchio e apro la porta dopo essermi assicurata che sia Jasper.
“Entra pure. Jasper lei è Leila, la ragazza di Seth!”
“Oh, ciao, piacere!” Prende una sedia e si accomoda tra me e Leila, poi ruba una fetta di pizza e un sorso di birra dalla mia bottiglia.
“Uomo delle caverne affamato, che ne è stato della buona educazione?”
“Oh sì, buon appetito ragazzi!” Emmett scoppia a ridere mentre io gli tiro un pugno scherzoso sul braccio.
“Questa è la mia pizza. Dovevi portartela se volevi mangiare.”
“Sto poco. Devo andare a casa di Edward a dare una ripulita e a controllare che sia un posto vivibile per un allettato. La donna delle pulizie è in vacanza!”
“Che stai poco non mi interessa, è la mia pizza! E la mia birra!” Esclamo quando prende un altro sorso dalla mia bottiglia. Il gruppo ride, prendendo dentro anche Alice che si copre la bocca per non mostrare a tutti la sua ilarità.
“Okay, Bella hai parlato loro di mercoledì?” Un coro di domande si leva attorno al tavolo e sono costretta ad alzare le mani per fermarli.
“Mamma mia ragazzi! Mi sembra di essere con dei bambini dell’asilo. Un po’ di calma!” Respiro a fondo e pizzico il braccio di Jasper ammonendolo con lo sguardo. “Jasper ci ha chiesto se possiamo, gentilmente, proporre un’altra serata pizza questa settimana.”
“Certo!”
“Per me va bene…” Mormora Alice guadagnandosi uno sguardo da Jasper.
“Infatti, mercoledì siamo liberi.”
“Ottimo, sono felice che abbiate accettato, perché ora non potrete tirarvi indietro!”
“E non ne abbiamo intenzione!” Dice Emmett battendo il cinque a Seth. Angela invece mi guarda con circospezione e quando sposto lo sguardo su Alice pare sia la fotocopia.
“Che ci nascondi?” Con un sorriso birichino continuo a spiegare.
“La pizzata sarà a casa di Edward. Il nostro capo!” Le facce dei quattro si fanno pallide mentre io e Jasper scoppiamo a ridere.
Leila è fuori da ogni questione, non interviene e non è presa in causa da nessuno. Un po’ mi dispiace per lei, deve sentirsi esclusa.
“Okay, va bene… Io ci sono solo se c’è Alice!” Dice Emmett.
“E io ci sono solo se viene anche Seth!” Ci voltiamo tutti a guardare Seth il quale fissa il suo sguardo su Angela, addolcendolo.
“Io ci sono solo se Angela ci dice perché domani deve andare a fare una visita!”
“Ma porca miseria!” Dice passandosi una mano sulla fronte.
“Avanti Angela! Siamo tuoi amici!”
“Okay, non devo fare una visita, mi hanno chiamata perché devo donare il midollo. Sono una donatrice di midollo. Sto a casa solo domani, poi martedì torno al lavoro!” Io sorrido e le stringo la mano attraverso il tavolo.
“E’ meraviglioso tesoro!”
“Già, ti accompagna tuo padre?” Chiede Alice.
“No, papà lavora e la mamma ha una conferenza medica a Santa Monica, è partita questa mattina. A volte vorrei avere un fratello.”
“Vuoi che ti accompagni?”
“No, sei pazza? Chi manda avanti l’ufficio? Edward conta su di te!”
“Ti accompagno io. Ho un sacco di ferie arretrate e Cullen mi obbliga sempre a prendermene qualcuna durante l’anno. Ti accompagno io.” Seth la guarda deciso e quando Angela alza lo sguardo su di lui mi sento di troppo. Credo che l’espressione schifata di Leila al fianco di Seth significhi che non sarà mai più dei nostri. Dentro di me esulto, era ora!
“Però adesso spiegateci la cosa di Cullen!”
“Ha nominato Isabella come sua assistente!”
Jasper scoppia a ridere e scuote la testa borbottando qualcosa di incomprensibile.
“Come sarebbe a dire? Ti ha appena riassunta!” Jasper ride ancora più forte.
“Già e non solo, l’ha fatto dopo averla offesa credendo che non avesse fatto firmare il contratto a Newton!” Sputa fuori Angela. Jasper si tiene la pancia mentre ride e tutti lo guardiamo sorpresi e curiosi.
“Non guardatemi così!” Dice tra le risate. “Se voi conosceste Edward… questi sono segnali chiarissimi di quanto tiene a Bella!” Restano tutti sbalorditi mentre lui ride e io divento rossa. Maledizione!
“Quindi…tu e lui…”
“Io e lui niente! Jasper dice un mare di frottole!”
“Ma…”
“Ma niente! Alice non guardarmi così!”
“Io dico che anche per chi non conosce Edward è un grandissimo segnale! Gli piaci!”
“Oh signore del cielo!” Jasper ride dopo la mia uscita e si alza in piedi pronto ad andare via. “Te ne vai dopo aver combinato una catastrofe!”
“Ma non ho fatto nulla!”
“Ti indico i tuoi capi d’accusa, signor agente. Primo, ti sei infiltrato in casa mia, hai rubato la mia pizza e la mia birra. Secondo, hai sparlato dei fatti nostri. Terzo, hai riso dei fatti nostri. Quarto, te ne vai come se niente fosse!”
“Ci vediamo mercoledì, portate le pizze e non dimenticatevi la mia. Io penso alle birre. Portate un dolce, bisogna addolcire il padrone di casa!” Scappa dalla porta d’ingresso ridacchiando e lasciandomi da sola a gestire i miei amici.
Maledizione a lui!
Mi volto verso i miei amici ed hanno tutti uno sguardo curioso, la prima a parlare ovviamente è Alice.
“Quindi, hai intenzione di deliziarci con i dettagli o no?”
“Scelgo di no!”
“Beh, a questo punto credo proprio che siamo costretti a lasciarti andare alla pizza di mercoledì da sola… magari poi sarai volenterosa di raccontarci i dettagli!” Si impiccia Emmett.
“Dai ragazzi!”
“No, dai tu! E’ uno scoop! Ti ha baciata!”
“Alice sei impossibile!”
“Io? Tu allora! Non condividi i dettagli con noi. Quell’uomo ha un culo da fare invidia alle sculture greche e tu non condividi i dettagli. Cattiva!” Scuoto la testa ridendo.
“Non è successo niente, ve lo giuro. C’è solo questa… sintonia. A me lui piace molto, ma sappiamo quale grandissimo stronzo lui sia. Si trova bene con me, ha ammesso di non avere mai avuto un’amica donna, di essere sereno quando passa del tempo con me. E’ solo una notizia come un’altra. Non c’è stato nessun bacio, nessuna provocazione… insomma lui è difficile. Non sa come ci si comporta con un’amica, fa fatica anche a parlare normalmente con una donna, figuriamoci! Non sa come destreggiarsi in questa cosa e io non voglio ridurmi a uno straccio per lui, se diventiamo amici e poi mi licenzia sto male due volte di più. Abbiamo deciso di evitare per un po’ ogni contatto fuori dal lavoro ma…”
“Ma ti ha nominata sua assistente e Jasper ti ha chiesto per la pizza!” Annuisco e distolgo lo sguardo, fissandolo sulla bottiglia di birra finita davanti a me.
“Quindi tu non vuoi dargli una possibilità?” Chiede Angela mormorando. Io scoppio a ridere guardandola e alzando un sopracciglio.
“Tesoro, stiamo parlando di aria fritta! A parte il fatto che l’attrazione c’è solo da parte mia ma lui non sa neppure se la vuole quella possibilità. Sa che sta bene con me, che non ha mai avuto un’amica ma è tutto così intangibile. Hai presente quando fai la caccia al tesoro e ti danno gli indizi? Ecco noi siamo al livello “temporale”!” Scoppiano a ridere e io li seguo. Ringrazio Emmett che riporta l’argomento di discussione lontano da me come protagonista.
Mentre sto sistemando i cartoni della pizza nella spazzatura e i ragazzi mi aiutano a pulire il tavolo e a riporre le sedie il mio telefono squilla.
“Alice, puoi prendermi il telefono? E’ sul tavolino del divano.”
“Uh, ma guarda un po’… si parla del diavolo!” Mi mostra il telefono agitandolo e sullo schermo noto il nome di Edward. Maledizione.
“Lascia stare, non rispondo.”
“Scherzi? Non puoi, è il tuo capo! Potrebbe avere bisogno di qualcosa per il lavoro!”
“No, te lo dico io di cosa ha bisogno quello! Di rompermi le palle e mettermi in confusione ancora più di quello che sono!” Mi lancia un’occhiataccia e preme il pulsante verde per rispondere.
“No ciao, sono Alice. Sì sono a casa di Bella. Sì è qui con me. Sì certo, te la passo subito. Buona guarigione!” Mi sorride a trentadue denti e mi passa il telefono. Mimo con le labbra un “stronza” a cui risponde con un’alzata di spalle.
“Pronto?”
“Bella, come mai ha risposto Alice?” So che per lui è strano lasciare il telefono in custodia ad altri, attaccato com’è a quell’aggeggio.
“E’ qui con gli altri, sai per la solita pizzata.”
“Capisco. Puoi parlare?”
“Veramente stavamo cominciando una partita a carte…”
“Uh, d’accordo allora ti chiamo domani.”
“Aspetta… è… urgente?” Mi mordo la lingua per aver ceduto.
“No, posso aspettare.”
“Dammi cinque minuti.” Prendo il cappotto e le chiavi di casa e scendo fino al marciapiede. “Ci sono.” Mormoro.
“Sento i rumori del traffico, dove sei?”
“Sono scesa in strada, fa freddo quindi… spero tu abbia qualcosa di veloce da dirmi!”
“Potevo aspettare, non voglio che ti ammali, al lavoro abbiamo bisogno di te!” Sorrido e alzo gli occhi al cielo, scommetto che ha una grande faccia da culo mentre mi dice queste cose.
“Avanti, coraggio.”
“Domani torno a casa, non ho la più pallida idea di come sopporterò la presenza di Jasper per tutta la giornata, ha detto che chiamerà più volte al giorno e che mi porterà il pranzo e la cena tutti i giorni.”
“Credo che vi farà bene passare del tempo insieme…”
“E’ venuto prima di passare da te, e mi ha detto che ti ha raccontato del mio…” Dice titubante.
“Non mi ha detto cos’è successo, mi ha semplicemente raccontato la sua parte della storia…”
“Indirettamente, quindi, ti ha raccontato di uno dei peggiori momenti della mia vita e… ti ha anche detto che non sono bravo a… insomma con tutto quello che riguarda le emozioni.”
“Sì, me l’ha detto. E penso di averlo capito da sola…”
“Quindi mi devi dare un po’ di tempo.”
“Tempo per cosa?”
“Per capire come… comportarmi con un’amica.”
“Edward ascoltami… “ Respiro profondamente un paio di volte. “L’altro giorno avevamo deciso di evitare tutto questo discorso, di stare un po’ sulle nostre per capire e tu… tu mi hai nominata tua assistente. Come se non bastasse quello, stasera mi telefoni per… non capisco davvero.”
“Lo so, mi dispiace. Anche io ho una grande confusione in testa e… insomma ho capito una cosa.”
“Okay, vuoi…dirmela?”
“Ho capito che non voglio rovinare tutto, che voglio vederti ogni tanto, parlare con te, lavorare con te; è tutto così difficile per me Bella. Cerca di…”
“Ti capisco Edward, ti capisco. Ma faccio fatica a comprendere questa telefonata. Sul serio.”
“Volevo solo… sentirti.” Sussurra dolcemente. Sorrido e non posso fare a meno di emozionarmi. Okay, diamogli una possibilità di ferirmi. “Mi dispiace se ti ho disturbato questa sera, speravo che tornassi in ospedale a trovarmi, prima o poi. Ma quando non sei più tornata ci sono rimasto male. Mi sento…” Mormora alla fine della frase, il tono così basso che fatico a sentirlo. Si sente… solo. Questo voleva dire. E’ assurdo come riesca a confidarsi con me, come abbia trovato una valvola di sfogo su di me. A volte sembra un adolescente. So che non c’è attrazione per lui, per me sarà difficile mandare avanti questa amicizia, tenere separati i miei sentimenti e il lavoro. Rischio di fare un gran casino.
“Puoi chiamarmi quando vuoi. Non mi disturbi. A meno che tu non abbia da urlarmi addosso per qualcosa che ho combinato al lavoro, in quel caso… evita!” Scoppia a ridere e mi sento bene nell’essere riuscita a farlo ridere ancora una volta. E’ una bella sensazione, che mi riempie di gioia. Poi mi schiarisco la voce e piazzo la notizia del secolo. “A proposito di vedersi… Jasper ha organizzato una mezza cosa. Una pizza a casa tua mercoledì. Con tutti noi.”
Chiudo gli occhi, come se potessi proteggermi dalla sua risposta.
“Lo so, e non vedo l’ora.” Mormora. Oh, Gesù! Per fortuna che non è abituato a queste sensazioni, o potrei vedermela brutta sul serio.
“E’ una grande notizia, perché temevo la tua ira!”
“No, no… è una grande idea. Ho bisogno di vedere più gente, di farmi degli amici, di relazionarmi con qualche donna senza…”
“Senza portartela a letto?” Ipotizzo ridacchiando.
“Già. Jasper dice che devo mettere la testa a posto.”
“Jasper ha ragione.”
“Jasper dice anche che ho bisogno di una donna al mio fianco, una tosta, capace di sopportarmi nonostante tutti i miei difetti…” Scoppio a ridere.
“Buona fortuna con la ricerca!”
“Jasper dice che-” Lo fermo subito.
“E tu, tu cosa dici?”
“Voglio solo essere una persona normale, con amici normali, con un’amica con cui confidarmi, parlare e essere rilassato.”
“Bene, questo è quello che mi interessa. E sono felice di trovarmi d’accordo con te.”
“Per una volta!” Scoppio a ridere mentre lui si schiarisce la voce.
“Ora è il caso che… ehm… ti lascio continuare la tua serata.”
“Domani sarà una giornata infinita al lavoro, spero di andare a letto presto in realtà.”
“Forse dormirò bene anche io stanotte.”
“Sì?”
“Sì… per la prima volta mi sento… sereno.”
“Sono felice per te, Edward. Davvero. Buonanotte.”
“Notte, Bella.”
Salgo le scale come se camminassi sulle nuvole, apro la porta di casa in trance e quando entro in salotto i ragazzi smettono di parlare.
“Che ti doveva dire di domenica sera il nostro capo?”
“Niente che vi interessi!” Tiro fuori la lingua come una bimba giocosa, sperando che la smettano di farmi domande. Ridono e ammiccano facendo qualche battutina sconcia per poi prendere in mano le carte e iniziare la partita.
Voleva solo sentirmi.
Nessuno dei ragazzi che ho frequentato mi ha mai chiamata perché voleva solo sentirmi. I miei amici telefonavano per sapere se dovevano passare a prendermi, se stavo bene, nessuno ha mai composto il mio numero solo perché voleva sentirmi. Forse gli uomini maturi si comportano così. Scuoto la testa confusa. Sono solo io a vederci tutte queste cose. E’ solo in ospedale, le infermiere gli daranno del filo da torcere, l’unica persona con cui parla è Jasper, ha solo bisogno di essere una persona normale con degli amici. Tutto qui.
Ha detto che vuole vedermi, passare del tempo con me. Anche io sono dello stesso parere, ma non so quanto sia in linea con i suoi obiettivi. Io voglio passare del tempo con lui perché lo trovo sexy, sensuale, un uomo che starebbe bene steso sul mio letto, nudo a prendersi cura dei miei bisogni. Non sono solita infinocchiarmi la testa con paranoie inutili, ma un po’ di preoccupazione è normale che ci sia questa volta. Parliamo del mio capo. Parliamo di un uomo che voglio portarmi a letto. Di un uomo che mi vede come una sorella con cui si trova bene a chiacchierare. Come farò a lavorare con lui quando ci accorgeremo che non possiamo funzionare?
“Bella tocca a te! Ma dove hai la testa?” Emmett sghignazza dal fondo del tavolo borbottando “E te lo chiedi anche!”. Ho capito che stasera sono io quella presa di mira, quindi evito di concentrarmi troppo sulle loro battute ed osservo il comportamento di Seth e Angela, che è meglio.
Lui continua imperterrito a stare di fianco a Leila, mentre Angela è seduta di fianco a me e tiene lo sguardo basso. Non è quello che le avevo detto di fare questa sera, il mio consiglio era ricordare a Seth il motivo per cui si piacciono. Si è tirata a lucido, ha fatto un grande sforzo a restare tutta la sera anche avendo di fronte la ragazza di Seth, ma non fa nulla per farsi notare. E’ quasi invisibile.
Guardo Alice per ottenere la sua attenzione, quando la ottengo volto lo sguardo, insistentemente, verso Angela e poi Seth. Ci impiega un bel po’ a capire che deve darmi una mano e finalmente sembra accendersi la lampadina nella sua testa.
“Angela ti va se mercoledì dopo la pizza a casa del Boss ce ne andiamo a bere qualcosa in un locale?”
Se questo vuol dire aiutare la causa in corso direi proprio che siamo fuori strada. Angela tituba a dare una risposta e guarda me.
“Oh, lei sarà troppo impegnata a mettere a letto l’uomo in convalescenza per unirsi a noi!” Mi maledico per aver chiesto il suo aiuto anche se sorrido, amo questa complicità tra noi.
“Allora credo proprio che un’uscita mi farà bene. Sono sempre al lavoro, devo uscire e incontrare gente nuova.” Guardo con la coda dell’occhio dall’altra parte del tavolo e noto come Seth abbia alzato gli occhi su Angela e abbia assunto un’espressione sorpresa.
“Sai, potresti indossare quel vestito grigio perla che adoro! Ti fascia così bene…” L’aveva indossato durante una delle poche uscite del fine settimana, eravamo andati in un locale a bere qualcosa e a fare quattro salti. Lei aveva lasciato i capelli sciolti, aveva messo le lenti a contatto e solo un filo di mascara. Il vestito era corto a metà coscia, le lasciava mezza schiena scoperta e le maniche arrivavano fino ai gomiti. Come l’aveva definito lei era morbido aderente, non segnava troppo le sue curve, non era eccessivo, un taglio decisamente armonioso con la sua personalità. Seth quella sera non le aveva tolto gli occhi di dosso neppure un secondo, sbavava e Emmett era costretto a chiudergli la bocca ogni volta che Angela si muoveva sulla pista insieme a Alice. Mi sono divertita così tanto quella sera, ho anche pensato che sarebbero finiti a letto insieme rotolandosi come due conigli sotto le coperte. Invece lei si era fatta riaccompagnare da me perché Seth si era ubriacato e aveva finito per vomitare di fianco all’auto di Emmett.
“Dovrei averlo ancora in effetti, è da molto che non lo indosso. Ma non ho intenzione di mettere i tacchi alti se Alice ha intenzione di ballare!”
“Posso unirmi a voi?” Chiede Emmett. “Mi annoio e sono sicuro al cento per cento che Bella sarà distratta dal boss, ormai Seth è fuori piazza… quindi…”
“Ehi, questo non vuol dire che non possa più uscire con voi!” L’uscita di Seth fa inviperire Leila che sbatte gli occhi incredula verso il suo accompagnatore. “Leila lavora il mercoledì, possiamo andare nella sua discoteca se vi va.”
Merda, ma come può essere così stupido?
Angela cerca il telefono nella borsa e controlla l’agenda. Con la coda dell’occhio scruto il suo timore palesemente visibile. Ad un certo punto sospira forte.
“Lo sapevo. Bella mi dispiace, devo saltare la pizza a casa del boss e anche il post serata. Devo incontrare un cliente alle sette, fuori Manhattan, e il giovedì mattina ho una riunione alle sette e mezzo fuori New York. Possiamo fare venerdì sera? Sono libera.”
“La pizza non posso rimandarla Angela, sicura che non ce la fai?”
“No, guarda tu stessa l’agenda.” Nell’agenda del telefono non è segnato nulla, ma capisco il suo disagio e mi convinco a darle una mano.
“Hai ragione. Allora sai cosa facciamo? Possiamo portare il monopoli a casa di Edward, sai quanto Jasper sia negato per quel gioco, così quando hai finito la riunione puoi venire a farti una partita e torni a casa presto. Cosa ne dici?”
“Ti faccio sapere, la riunione potrebbe durare più del previsto.”
Mette via il telefono e sbuffa. “Mi dispiace tanto ragazzi, possiamo fare la nostra uscita venerdì!” Dice verso Alice. Lei mi guarda e alza le spalle annuendo.
Terminiamo la partita a carte dopo venti minuti. I miei amici si vestono e sono pronti ad andare. Ci salutiamo e sorrido a Leila, anche se immagino non la vedrò più nel nostro gruppo. Le solite frasi di circostanza, sorrisi, abbracci, bacetti e dopo dieci minuti resto da sola con Poppy.
Spengo le luci, sistemo i vestiti sulla poltroncina e mi infilo a letto.