lunedì 19 ottobre 2015

Capitolo Tre


**Note di Aly

Buonasera a tutte!!!
Buone notizie, l'influenza è passata, mi ha lasciato solo qualche residuo di tosse, ma niente di grave!
Volevo postarvi il capitolo perchè poi non ho più tempo fino alla prossima settimana e farvi aspettare così tanto non mi sembrava giusto.
Da domani non sarò disponibile, di conseguenza non potrò rispondere alle recensioni nè pubblicare aggiornamenti almeno fino a martedì. Motivo per cui devo assolutamente postarvi ora il capitolo tre anche se non è rivisto mille volte come avevo fatto in precedenza. Spero non ci siano troppi errori.
Leggerò comunque i vostri commenti, se e quando mi sarà possibile. Voi lasciatemene tantissimi così avrò qualcosa da fare quando viaggio o quando sarò tornata (e vi dovrò rispondere).
 

Nel frattempo vi dico cosa ho preferito io:

Dal secondo capitolo di Grido nel silenzio:

"Quando salgo nel mio appartamento Poppy mi fa le feste, mi prendo qualche minuto da dedicargli, gli chiedo scusa per non essere stata attenta questa mattina e poi mi dirigo in camera, sulla scrivania metto a posto tutte le cose portate dall’ufficio e dentro ad un cassetto infilo le dispense e gli appunti per la tesi.
Si ricomincia, dall’inizio.
Ancora una volta."


Vi lascio al capitolo.
Buona lettura, come sempre.
Buonanotte e buona settimana. Commentate, commentate, commentate.
Un abbraccio
Aly**

 




Sono passati esattamente undici giorni da quando sono stata licenziata dalla Cullenhale con effetto immediato. Undici giorni in cui ho contattato il mio tutor universitario per vagliare le numerose possibilità di tirocinio in altre compagnie; ho chiamato ogni giorno, eppure non ha saputo darmi una risposta neppure oggi che è l’undicesimo giorno. La fortuna è stata dalla mia parte, nonostante tutto, ho trovato lavoro in una caffetteria poco lontana da casa. Con i pasti del mezzogiorno per i lavoratori e la cameriera che si è infortunata un braccio avevano urgentemente bisogno di un aiuto. Mi sono proposta subito, con l’esperienza accumulata in un ristorante italiano durante il college mi hanno assunta immediatamente. Così inizio il turno alle sei e mezzo del mattino, per finirlo alle sedici. Faccio tutti gli straordinari possibili, dato che la paga è molto inferiore a quella del tirocinio svolto per la Cullenhale.
Ancora non so cosa succederà per il mio tirocinio, ho risolto solo il problema dell’affitto e della spesa. Un problema alla volta.
Sto servendo il pranzo a una coppia di ragazze quando riconosco una voce all’entrata che mi immobilizza. Mi volto sperando di essermi sbagliata e invece eccola lì. Rosalie Hale. Bruce mi chiama di fretta e mi dice di farli accomodare, così libero il primo tavolo a portata di mano e gli faccio segno di prendere posto. E’ insieme a due uomini e una ragazzina. Immagino che sia stata proprio lei a scegliere questo posto, perché se fosse stato per Rosalie l’avrebbe evitato come la peste. Porto loro i menù e sorrido cordiale, servo ad ognuno un bicchiere d’acqua e lascio la caraffa nel mezzo, poi torno agli altri clienti. Ammetto che averla nel locale mi destabilizza, in fin dei conti è il mio ex capo.
Quando uno dei due uomini mi chiama per prendere le ordinazioni al loro tavolo devo fare un grosso respiro, le mani mi tremano.
“Signori avete deciso cosa ordinare?”
“Certamente, per me un sandwich al doppio formaggio, una coca e una insalata della casa.”
“Per me invece una cesar salad con un bicchiere d’acqua frizzante e del pane di segale. La ragazza prende un hamburger con patate fritte e una coca!”
“Per me un sandwich vegetariano integrale con un bicchiere di bianco fermo e una coppa di frutta.”
“Arrivo subito!”
Adesso capisco come fa a mantenersi in linea. Sandwich vegetariano integrale e frutta a mezzogiorno. Durante la giornata lavorativa corre da un ufficio all’altro sui trampoli e probabilmente quando ha tempo si allena in palestra. Io che invece amo la carne e le patate fritte devo combattere con la pancia e le cosce in carne. Giustamente. Dovrei prendere esempio da lei.
Il cuoco dispone i piatti in un grande vassoio e li porto velocemente al tavolo.
“Isabella, mi stupisce il tuo equilibrio!” Resto stupita dalla sua costatazione, in fin dei conti non aveva dato segno di conoscermi prima di adesso.
“Anni ed anni di esperienza, Rosalie!” mormoro servendole il suo pranzo e continuando a lasciare giù gli altri piatti.
“Puoi prenderti una pausa quando abbiamo finito il pranzo? Vorrei parlarti di una cosa.”
“D’accordo!”
Il loro pranzo si protrae per un’ora e mezza e l’ora di punta degli studenti che terminano le lezioni e passano per un break veloce si fa carica di lavoro.

Rosalie aspetta in un angolo del bancone con una tazza di caffè tra le mani e non accenna ad andare via, sfreccio da una parte all’altra del locale, mi destreggio dietro al bancone e mi dimentico di mangiare. Quando finalmente la folla si esaurisce restano solo due anziani a godersi il loro frappè, un gruppo di liceali che studiano in un tavolino appartato e Rose al bancone. Afferro il primo sandwich disponibile in cucina, un pezzo di pane e mi dirigo al suo fianco.
“Allora, di cosa volevi parlarmi?”
“Mi servono delle dritte per due progetti.” La guardo come se le fossero spuntate due orecchie da asino e il naso di Pinocchio tutto nello stesso momento.
“Scusa?”
“Hai capito, non lo ripeterò!” Si volta per prendere dalla borsa delle slide e passarmele. “Volevo darle a Jasper perché te le portasse, ma ti ho trovata quindi te le consegno di persona.”
Le spulcio con una mano mentre con l’altra tengo il panino e continuo la mia pausa pranzo.
“Okay, questo è in pratica il mio lavoro.”
“Sì, come puoi vedere dopo undici giorni è fermo ancora nello stesso punto. L’altro invece è una cosa più delicata. Non riusciamo a capire quale sia l’errore che ci sfugge, o qualcosa che manca o… Sinceramente non lo so.”
“Rosalie, apprezzo questa… cosa, ma sinceramente non capisco perché vieni da me. Non lavoro più per voi, non ho intenzione di portare a termine questi progetti o aiutarvi.”
“Ti pago, ti pago di tasca mia se riuscirai a venirne fuori entro il prossimo lunedì.”
“Non se ne parla!”
“Isabella, stiamo parlando di cinquemila dollari. La parcella che ti spetterebbe per ogni progetto completo, per farne metà di uno e per venire a capo di un problema ti pago la cifra intera. Quando ti paga questo posto?” La guardo desolata. “Già. Neanche io mi aspettavo che Edward ti cacciasse, diciamocelo sei il miglior elemento acquisito grazie a questo tirocinio. Eppure ha fatto una cazzata e nonostante i giorni passano e lui è sempre più con la merda al collo riesce a non ammettere i suoi errori. Ora, per favore, sono qui umilmente a chiederti aiuto perché sono due dei clienti più promettenti che abbiamo sulla scrivania, se non dovessimo riuscire a portare a termine questi due affari possiamo benissimo dire addio a benefit, primo posto in classifica, feedback positivo e nuove entrate. So che probabilmente non te ne frega nulla, dato che Edward ti ha licenziata, ma ti prometto che nel momento in cui ci saranno i premi Natalizi determinerò anche la tua parte e ti farò avere l’assegno.”
“Siete così disperati?” Mormoro guardandola con un sopracciglio alzato.
“Edward ha sedici progetti sulla scrivania, ne porta avanti uno al giorno, poi torna indietro perché ha nuove idee, poi si ferma, poi sclera con tutti i suoi dipendenti e Irina fa del suo meglio per rendergli la vita impossibile ultimamente. In sostanza tutto ciò che dovrebbe fare lui l’ho assegnato a diverse persone. Angela, per esempio ed Emmett, sono i più validi. Alcuni progetti li ho presi in carico io, ma questi due proprio non sapevo cosa farne, lasciare fare a Edward vorrebbe dire mandarli al declino, ho bisogno di una mano.”
“Lo capisco Rosalie, davvero ma…”
“So che lavori qui solo fino alle quattro, immagino che tu sia stanca nel momento in cui torni a casa e che probabilmente avrai l’altro progetto di tirocinio da portare avanti, ma devi aiutarmi.”
Scuoto la testa, sono molto confusa e non so se accettare o meno. Guardo le dispense appoggiate sul bancone, mesi fa avrei fatto i salti di gioia, anche fino a qualche settimana fa avrei festeggiato. Ora come ora è un lavoro in più per la società che mi ha rovinato la vita, per l’ennesima volta.
Alzo lo sguardo su Rosalie e sono decisa a dire di no quando parla per prima.
“Okay, hai ragione. Alzo la posta. Ti pago sei mila dollari, sei mila Isabella, più il premio Natalizio e la mia disponibilità per la tesi!” Se è disposta a pagarmi di più è davvero messa male.
“Sei mila e cinque, dato che non ho bisogno della tua disponibilità per la tesi.”
“Perché?”
“Sono fuori dal programma del tirocinio. Nessuna azienda è disposta ad assumermi solo per otto mesi, dividere il programma con la società precedente e essere citati in una tesi che viene fatta principalmente con il lavoro in un’altra società. Sono giorni che cerco una soluzione insieme al tutor. Si dovrebbero ricominciare i due anni di tirocinio daccapo e vorrebbe dire uscire dal corso di studi di più di un anno e mezzo. No, non è possibile. Quindi sei mila e cinquecento dollari, più il premio di Natale.”
“Affare fatto! Per lunedì deve essere tutto sistemato!” Afferra la borsa, scende dallo sgabello e mi allunga un biglietto da visita. “Se hai qualche problema chiamami al cellulare, anche se sono convinta che saprai arrangiarti. Lunedì a pranzo ci vediamo qui. Buona giornata e buon lavoro Isabella!”
Non posso fare altro che salutarla con la mano e sfogliare per l’ennesima volta le dispense. Sono passati undici giorni e Edward è in mezzo alla merda. Dovrei esserne felice, dovrei ridere e saltellare dalla contentezza, perché in fondo se lo merita. E invece non mi sento per nulla realizzata. Sospiro portando le dispense nella borsa dentro l’armadietto e tornando al lavoro. Questa sera avrò il mio bel lavoro da fare.

Ed è davvero così che passo gran parte della serata e tutto il pomeriggio. Ricerche su internet, idee, lettura e rilettura delle dispense, fino a quando il brontolio del mio stomaco non mi distrae. Apro il frigo per vedere cosa c’è di commestibile e veloce da preparare, ma la bottiglia di latte, le tre birre e l’uovo solitario mi ricordano che ho dimenticato di fare la spesa questo pomeriggio. Perfetto. Sono già convinta a chiamare il ristorante cinese all’incrocio quando il citofono suona due volte. “Chi è?”
“Jasper!”
Gli apro, ormai è diventata un’abitudine, lui che citofona e che passa a trovarmi almeno due volte a settimana. Porta il gelato, una torta o la pizza e passiamo qualche ora a chiacchierare. Potrei dire che ha una missione, quella di portarmi a letto, se le chiacchiere non fossero completamente senza malizia e doppi fini.
“Ehi, non ti eri dimenticata che questa è la nostra serata, vero?”
“Jasper, sono passati undici giorni e già pretendi di avere una nostra serata?”
“Prematuro?”
“Decisamente!”
“Neanche se ho portato un gran bel sandwich al pastrami e salsa piccante con due birre gelate?”
“Penso che questa sia decisamente la tua serata fortunata, agente!”
“Bene, libera la tavola e diamo il fondo a questo ben di Dio!”
Come ogni altra serata passata in sua compagnia il tempo vola, mi chiede dei miei studi, dei miei amici, della mia giornata. Lui mi racconta qualcosa di quando erano piccoli, della testardaggine di sua sorella, delle amicizie che ancora si porta dietro dopo tutti questi anni. E’ bello parlare con lui, è rilassante quasi come parlare con Alice.
“Rose mi ha chiamato alla fine del turno, mi ha chiesto se sarei passato da te in questi giorni.”
“Immaginavo. Vuole una conferma che sto lavorando ai due progetti che mi ha lasciato oggi a pranzo!”
“Spiegami!”
Inizio a raccontargli ogni cosa, dalla loro entrata nella caffetteria fino a quando sua sorella non mi ha lasciata da sola a continuare il mio turno di lavoro.
“Sei riuscita a contrattare con lei, a farti alzare il prezzo, alle tue condizioni. Era proprio disperata.”
“Già, lo credo anche io. Se ogni lavoro che Cullen voleva portare a termine è a questo punto credo che ne abbia anche tutte le motivazioni.”
“Chissà cosa è successo a Edward…”
“Non lo so Jasper, devo ammettere che erano un paio di giorni che lo vedevo strano, alle riunioni era distratto e dovevamo ripetere le cose più volte, per non parlare dei comandi che abbaiava con rabbia anche senza motivo.”
“E non parliamo del solito Edward?”
“In realtà no. Ti giuro, quando ho iniziato a lavorare lì era professionale, determinato, uno squalo degli affari, un genio del marketing. Le sue idee salvavano progetti destinati a restare in attesa e parcheggiati nei cassetti per settimane. Talvolta ti chiamava il sabato mattina per correre in ufficio e fare un briefing d’urgenza perché aveva avuto un’idea geniale. Quelle telefonate mi mancano, devo confessarlo.”
“Sei seria?” Mi guarda con una faccia sconvolta.
“Si perché?”
“Telefonate all’alba di un giorno di riposo, dal tuo capo, per correre in ufficio, ti mancano?”
Mi stringo nelle spalle e gli mostro il tavolino di fronte al divano dove si trovano ancora i fogli, gli appunti, il computer e tutto ciò che ho lasciato per cenare con lui.
“Nonostante abbia alle spalle una giornata di lavoro, questo è ciò che mi piace fare. In più, era una grande opportunità lavorare per loro, perderla mi ha messo in grandi difficoltà.”
“Hai parlato con il tutor?”
“Sì, questa mattina mi ha dato l’ennesima risposta negativa. L’unica soluzione è ricominciare dall’inizio un nuovo tirocinio in una società diversa, cambiare tesi, cambiare progetto e rimandare il tutto di due anni. Impensabile.”
“Quindi cosa succederà?”
“Oltre a perdere la borsa di studio che mi garantiva l’affitto e le spese sanitarie, ho perso tre anni di specializzazione.”
“Cazzo.”
“Puoi ben dirlo.”
“L’hai detto ai tuoi?”
“Veramente non ancora, mia madre mi ha chiamata un paio di giorni fa esaltata perché la figlia di Phil tornerà a casa per le vacanze autunnali e lei vuole prepararle la torta di zucca di cui io vado matta. Non me la sono sentita di darle una notizia spiacevole. In più sono grande e vaccinata, la mia vita me la gestisco come mi pare.”
Sospira e si alza per sbarattare la sua tovaglietta. Toglie il bicchiere, il piatto e l’involucro del panino; si gira a guardarmi appoggiato al mio lavello.
“E tuo padre?”
“Mio padre cosa?”
“Gliel’hai detto?”
“Lo sa.”
“E come ha reagito?”
“Veramente… non l’ho capito. Penso sia deluso, ma non è stato di grandi parole.”
“Capisco.” Mi osserva preoccupato poi scuote la testa riccioluta e sorride appena. “E’ il caso che io vada, domattina ti alzi preso e io devo prendere servizio alle cinque, mi hanno cambiato il turno per una sostituzione!”
“Cavoli, vai a dormire! Ci vediamo appena è possibile!”
“Buonanotte Bella.” Lo saluto e chiudo la porta a chiave, Poppy arriva con la sua lentezza e pigrizia e si stende sul tappeto davanti al divano. La raggiungo prendendo in mano la dispensa di Newton e cercando di andare avanti con il lavoro.
Lavoro pagato sei mila e cinquecento dollari. Soldi che dovrò mettere da parte per quando sarà necessario, perché lo stipendio da cameriera non mi permette di fare grandi cose.


E’ sabato sera, mancano due giorni all’incontro con Rosalie e sono abbastanza certa di aver fatto un buon lavoro. Ogni minuto libero mi mettevo a lavorare, creare, pensare fino ad aver concluso buona parte del progetto Newton. L’altra dispensa l’ho spulciata da cima a fondo, ho trovato qualche idea alternativa, ma l’errore o ciò che manca a questa proprio no.
Sono pronta a starmene tutta la serata sul divano a lavorare, ma non ho calcolato la vena festaiola di Alice. Un suo messaggio mi da appuntamento in un locale a quattro isolati da qui fra un’ora. Devo cambiarmi, truccarmi e iniziare ad avviarmi se voglio trovare parcheggio. Il sabato sera quel posto è sempre affollatissimo ed è difficile, il più delle volte, trovare un buco per parcheggiare.
Indosso il mio abitino verde smeraldo, scarpe lucide nere e pochette coordinata. Bado bene di avere la patente, i soldi, tesserino sanitario e telefono all’interno della borsetta, prendo lo scialle e mi avvio verso il sotterraneo.
Con il traffico serale e l’ammasso di gente che c’è fuori dal locale ci metto quasi trenta minuti prima di riuscire a parcheggiare. Mi avvio all’entrata e scorgo Alice in piedi di fianco a Jasper mentre chiacchierano molto vicini. Che sta succedendo?
Mi avvicino di più alla coppia e mi schiarisco la voce.
“Ehilà!”
“Ce l’hai fatta!”
“Sì, ciao Jasper!”
“Ciao Bella!”
“Angela e gli altri?”
“Seth sta aiutando Emmett con un lavoro, Angela sta aiutando sé stessa con un lavoro. Pare che Rosalie abbia distribuito dispense super costose e importanti a quei due perché Cullen non è in grado di lavorare da qualche settimana a questa parte!” Annuisco, ben consapevole della situazione. Devo ancora aggiornarla sul fatto che Rose ha fatto la stessa cosa con me, eppure al momento non mi preme.
“Che ci fai qui?” Mi rivolgo a Jasper.
“Ho accompagnato James, aveva voglia di bersi una birra in compagnia, tradotto nella sua lingua vuol dire accompagnami in un bar ad accalappiare qualche ragazza da portarmi a letto e assicurati che non beva troppo!”
“Wow, ti aspetta una serata a dir poco interessante!” Rido insieme ad Alice mentre ci avviamo verso l’entrata.
“Non girare il dito nella piaga, ti prego. Ho finito da due ore un turno di quindici ore, dovevo sistemare l’ufficio e l’archivio, non vedevo l’ora di gettarmi sul divano e dormire fino a domattina. Sto stronzo è in riposo domani, io no!”
“E allora vai a casa e lascialo qui!”
“Naaa, io e James siamo amici da anni, non posso fare una cosa del genere!”
Entriamo nel locale e cerchiamo un tavolino in cui sederci. Solitamente nelle nostre serate tra donne Alice non tollera che ci siano interruzioni, a quanto pare Jasper non la disturba.
“Cosa bevete?”
“Io una birra”
“Io anche, devo guidare e non vorrei mai trovare qualche poliziotto sulla via del ritorno. Non ho soldi per pagare altre multe!”
“Ehi Robert ha stracciato quel verbale!”
“Lo so, ma già solo l’idea di sborsare soldi per pagare una multa mi mette paura.”
“D’accordo.”
“Vado a prendere da bere al bar, ho visto anche una tizia che conosco, così la saluto.”
Quando Alice è abbastanza lontana mi volto verso Jasper e lo inchiodo alla sedia con lo sguardo. Uno di quegli sguardi che intimoriscono chiunque.
“Che ho fatto?” Si mette subito sulla difensiva.
“Non lo so, dimmelo tu.”
“Non so a cosa ti riferisci”
“Ne sei sicuro?”
“Sì, e piantala di guardarmi in quel modo.”
“Vuol dire che ti senti colpevole di qualcosa. Hai qualcosa da dichiarare Jasper?”
“No!”
“Che succede tra te e Alice?”
Sgrana gli occhi e si volta da una parte all’altra del locale per controllare non so cosa. Poi si fissa con lo sguardo sulla mia amica che sta chiacchierando al bar con una bionda ossigenata dalle tette rifatte. Alice porta i tacchi alti e indossa un vestito rosso aderente, ma la biondona la supera di almeno trenta centimetri e la sovrasta con le sue curve. Alice sembra una bambina in confronto.
“Sto aspettando!”
“Lo vedo, ma non ho nulla da dirti!”
“Certo e io sono la fatina dei denti! Jasper non sono nata ieri.”
“D’accordo! D’accordo! Le ho chiesto di uscire.”
“Wow. Quando?”
“Tre sere fa. Ho rubato il suo numero dal tuo cellulare in un momento in cui eri in bagno e l’ho chiamata tre sere fa.”
“Jasper! Dannazione non si fa!”
“Chiederle di uscire per telefono?”
“Rubare il suo numero dal mio telefono di nascosto!” Si stringe nelle spalle e controlla che Alice sia ancora ben lontana. “E cosa ti ha risposto?”
“Ha detto di sì subito, poi ci ha ripensato ed ha detto che è meglio lasciare le cose come stanno. Ha parlato di rovinare amicizie, di tagliare rapporti, perdere casa e lavoro… Insomma non ho capito bene. Prima stavo indagando ma devo ammetterlo, tra te e lei sta diventando difficile capirci qualcosa.”
“E cosa c’è da capire su di me?”
“Vorrei sapere perché Robert non parla mai di tuo padre quando gli faccio qualche domanda, vorrei sapere il motivo per cui con tante domande non hai mai parlato di tuo fratello, e vorrei sapere come diavolo è possibile che lasci andare un futuro così importante solo perché la Cullenhale ti ha lasciata con il culo per terra. Questo vorrei sapere.”
“Okay, concentriamoci su Alice, non ti ha ancora dato una risposta certa, quindi?”
Mi guarda negli occhi per diversi secondi, forse più di un minuto. Mi aspetto che inizi il contrattacco, che ricominci con le domande, che insista. Invece sbuffa e annuisce. “Allora lascia fare a me, poi mi ringrazierai!”
Faccio appena in tempo a dargli un pugnetto amichevole sulla spalla che Alice ci raggiunge al tavolo con le nostre ordinazioni.
“Ehi chi era quella biondona?”
“Stacy. Eravamo nella stessa classe di matematica e letteratura al liceo. E’ sempre stata così, quindi se vi chiedete cosa abbia da dire una come me ad una come lei… beh tenetevi il dubbio.”
Le faccio la linguaccia e bevo il primo sorso di birra.
“Avanti non puoi tenerci all’oscuro. Diccelo!”
“E va bene, solo perché ho già avuto a che fare con lei e non intendo farmi pregare da te all’infinito. Mi scoppia la testa. Comunque settimane fa suo fratello è rimasto a piedi con l’auto in George Street, proprio sotto casa mia, sono stata magnanima e gli ho fatto usare il telefono di casa. Ha lasciato da me il tesserino del lavoro, così il giorno dopo sono andata a casa di Stacy, dato che non sapevo dove abitasse suo fratello, e l’ho lasciato a lei.”
“Okay, e tutto questo cosa c’entra con stasera?”
“Suo fratello mi sta tampinando di telefonate per invitarmi a cena, lei gli ha dato il mio numero di telefono ed io sto davvero iniziando a stufarmi di tutto ciò. Per cui le ho garbatamente detto che deve intimare a suo fratello di smetterla o le striscio la macchina e le stacco le extension e tutti i capelli. Penso che abbia capito comunque.”
“Alice!” Scuoto la testa prima di prendere un altro sorso di birra. “Perché non me l’hai detto prima?” Lei alza le spalle e fa un gesto con la mano per intimarmi di smetterla, che non è importante. Non è importante questa beata cippa.
“Jasper diglielo tu che minacciare così una donna non è per niente corretto!”
“Io mi soffermerei piuttosto all’insistenza del tizio. Se ti da fastidio anche dopo questa sera gradirei che me lo facessi sapere. Potrei fargli una visitina e vedere se risolviamo la questione una volta per tutte!”
“No grazie, so difendermi da sola Jasper!”
“Oh ma cos’hanno le donne del duemila contro l’uomo che le difende!” Beve quasi tutta la sua birra e poi sbatte la bottiglia sul tavolino. “Non lo faccio perché non credo tu sia in grado di difenderti, dannazione! Lo faccio perché sono un uomo, sono un rappresentante della legge e perché se posso difenderti lo faccio volentieri senza che ti metti in pericolo tu, idiota!”
“Idiota tu!”
“Cominciamo bene la serata, ragazzi! Senti Alice, se con il fratello della tettona biondona non vuoi uscire è perché di sicuro avrai qualcun altro con cui spassartela, no? E’ sempre stato così per te!”
“Non è un cazzo vero, stronza!” La guardo scandalizzata e apro gli occhi più volte, per fare scena.
“Scusa? Non eri tu quella che lo scorso anno è uscita con sei uomini in una settimana?”
“Che puttana che sei!”
“Perché ti offendi tanto?”
“Lo sai anche tu che non è successo niente e in quel periodo mi serviva un ragazzo adatto a presentarlo a mia madre! Ho fatto dei provini!”
“E alla fine ha vinto quel tale, Lucas. Gran bel pezzo di manzo quello! Aveva spalle solide, occhi azzurri, pelle abbronzata e muscoli da muratore. Gran bell’uomo!” No, non mi sono dimenticata che Jasper vuole uscire con Alice, ma visto il comportamento della mia amica ho capito che Jasper le interessa in qualche modo, se no non avrebbe mai nascosto una cosa del genere.
“Niente di che. Infatti è finita dopo averlo presentato a mia madre!”
“Allora, chi è il fortunato di questo periodo?”
“Mi stai facendo passare come la troia di turno, Bella e sai quanto mi girano le palle quando la gente giudica i miei atteggiamenti.”
“Io non ti giudico!”
“Lo stai facendo, per giunta davanti ad altre persone e in pubblico. Qualcuno potrebbe sentirti.”
“Ti vergogni forse?” Alzo le spalle imitandola nel movimento di prima.
“Non c’è nulla da vergognarsi perché stai descrivendo atteggiamenti completamente sbagliati.”
“Giusto. Allora chi è il tizio di adesso?”
“Dio, quanto ti odio!” Si alza dalla sedia con la sua birra in mano e cammina veloce verso ai bagni. Mi volto verso Jasper con un gran sorriso e batto un pugno leggero sulla sua spalla.
“Bene, non sta uscendo con nessuno, le rompe che qualcuno le chieda di uscire insistentemente, ha ovviamente un problema da risolvere con questo tizio, e la disturba che la metta in cattiva luce con te. Direi che è più che interessata. Fai le mosse giuste e la porterai a cena prima della fine della settimana prossima.”
“E’ stata davvero con tutti quegli uomini?”
“No Jasper. No. Alice non ha una storia seria da circa tre anni. Ha provato ad uscire con qualcuno nell’ultimo periodo ma sono tutti noiosi, tutti appiccicosi e non adatti al suo temperamento. Ha avuto tanti appuntamenti ma nessuno è mai arrivato più in là del terzo. Ho solo toccato un punto che sapevo poteva dolere davanti a te.”
“D’accordo. Hai consigli da darmi?”
“Odia il romanticismo banale, un po’ come me, niente frasi copiate dai film, niente primo bacio alla francese con tanto di lentezza, musica di sottofondo e smancerie varie. E’ decisamente più pratica, anche se ama le cose belle. Una cosa che ama sono i fiori, più colorati sono meglio è. Potresti regalarle un mazzo di margheritoni colorati, gambo rigorosamente lungo, e allegarle un bigliettino con qualcosa del tipo: “Dicono che l’attesa viene ripagata, io spero solo di non attendere a lungo perché se no ti vengo a prendere e ti ammanetto a me!”” Sghignazzo dopo aver dato enfasi alla frase e lui ride con me.
“Può funzionare?”
“Non lo so, credo sia un’opzione valida. Buttati. Ma ti prego fammi sapere come va perché sono curiosissima!” Ride e mi prende in giro fino al momento in cui Alice torna al tavolo con uno sguardo un po’ scioccato.
“Okay mi stai preoccupando, che succede?”
“Stacy, la biondona tettona rifatta… “
“Sì”
“E’ seduta sulle gambe di Cullen. Edward Cullen. Laggiù in fondo!” Tiro il collo per vedere nella direzione che mi indica ma non riesco a vedere niente.
“Okay devo andare in bagno e guardare con i miei occhi!”
“Tu non farai niente del genere. Te ne starai qui buona fino alla fine della nostra bevuta e quando sarà ora ce ne andremo insieme.”
“Perché?”
“Perché sei una combina guai e io il lavoro voglio tenermelo!” Jasper scoppia a ridere mentre io mi imbroncio. A volte è una tale stronza!

lunedì 12 ottobre 2015

Capitolo Due



**Note di Aly

Buongiorno a tutte! Anche se sono influenzata e mezza acciaccata vi regalo il capitolo anche oggi! Spero che chi legga abbia anche voglia di commentare, prima o poi!
Vi auguro buona lettura e, come sempre, buona giornata.
Un abbraccio.
Aly**



Camminare verso la sala riunioni bianca, quella in cui sono entrata per firmare il contratto di tirocinio, quella in cui abbiamo stabilito le mie mansioni, i miei progetti, quella in cui ho assistito alle riunioni interne in cui venivano aumentate le nostre page, distribuiti premi e riconoscimenti, mi lascia con l’amaro in bocca. Ci torno da perdente e non l’avrei mai creduto.
Busso e quando la voce dura e fredda di Cullen mi dice che posso entrare lascio la scatola a Jasper, uno sorriso mesto sul volto ed entro.
“Salve.” Appena lo vedo mi è chiaro che è una delle sue giornate no più dure degli ultimi tempi. Non alza la testa, con la presunzione di sapere chi ha di fronte, non mi degna neppure di uno sguardo e stringe una mano a pugno sul tavolo mentre con l’altra scorre alcuni documenti. Più lo guardo più mi verrebbe voglia di tirargli uno schiaffo.
“Prenda posto e cominci a firmare le carte che Irina le porterà, nel frattempo deve aggiornarmi sui progressi che ha fatto con il cliente Newton. Stamattina doveva essere presente alle nove in sala riunioni per un briefing con il cliente, ha mancato l’appuntamento, ha fatto ritardo con uno dei maggiori clienti che abbiamo acquisito. Per colpa sua ho dovuto spostare l’appuntamento, prendermi carico dell’intero pacchetto di lavoro e mi trovo con un’unità in meno a far mandare avanti la baracca. Spero almeno che il lavoro fatto fino ad ora valga la pena di essere portato avanti, o dovrò rimandare il termine previsto per la campagna pubblicitaria e ciò implicherà uno sconto sulla parcella del cliente.”
“Edward, datti una calmata!” Non avevo neppure notato Rosalie in piedi di fianco alla finestra, ho dato tutte le mie attenzioni a Mr Stronzo. Lei indossa una gonna stretta al ginocchio, calze trasparenti, camiciola azzurra di seta e tacchi alti. I capelli biondi sono raccolti in una coda bassa e alcuni ciuffi sapientemente portati dietro le orecchie. Trucco leggero, mai troppo abbondante, ma gli occhi sono sempre in risalto.
Mr Stronzo, invece, è ancora seduto al tavolo, fa finta di essere calmo ma i capelli sono in disordine, come se ci avesse passato le mani attraverso almeno un migliaio di volte; il nodo della cravatta maltrattato e lento, la giacca lievemente stropicciata attorno ai bottoni e sul colletto. Non capisco se sia così per il nervosismo o perché si sia dimenticato di farla stirare, propendo per la prima. Negli occhi una luce arrabbiata e disperata, le mani che non stanno ferme un secondo: scrivono velocemente cose al margine di alcuni fogli, battono messaggi alla velocità della luce sullo smartphone, afferrano la bottiglietta d’acqua per portarla alla bocca e il pugno si apre e si chiude nervosamente. Angela ha ragione, stamattina è peggio di molte altre giornate. E’ un uomo attraente, non c’è nulla da dire. E’ sempre vestito impeccabilmente, non è mai capitato, neppure durante gli straordinari del sabato pomeriggio o le urgenze della domenica, di vederlo in jeans, t-shirt e scarpe da tennis. Indossa sempre camicia, cravatta, giacca e pantaloni eleganti. Quelle scarpe che luccicano da quanto sono lucide e un’aria da boss che non si toglie mai, neppure durante la pausa pranzo. Nonostante tutti i trucchi che impiega per sembrare un boss imperturbabile, o le mosse astute di fronte a qualche cliente particolarmente attento al suo comportamento, è decisamente un pezzo di merda.
“Darmi una calmata? Non ti rendi conto in che guaio siamo, Rose!” Dire che sia incazzato è dir poco, e mi fa paura lo ammetto. Sentendo Angela non è solo colpa mia, ci sono altri casini in giro per gli uffici, lo capisco bene anche io che sono l’ultima ruota del carro qui dentro. Capisco quando è il caso di tenere la bocca chiusa e quando si deve parlare e capisco quando un uomo è infuriato per davvero o è solo un po’ adirato. Lui in questo istante supera tutti i limiti di incazzatura che ho potuto vedere negli anni. E sembra non sapere come gestire le cose. Questo mi stupisce. Ho sempre ammirato il suo saper affrontare ogni cazzata, ogni guaio, ogni cratere posizionato sul percorso.
“Certo che me ne rendo conto e, anche se non lo pensi in questo momento, sono certa che non sia solo colpa della signorina Swan. Checché tu dica ora. Ha fatto ritardo. Non si è presentata al briefing, non ha avvisato. Concordo che queste siano motivazioni più che valide per un rimprovero, straordinari non pagati e una bella lavata di capo ma non è un motivo valido per licenziarla.”
“Ti ricordo che hai licenziato quel Nicholas per molto meno, Rose!”
“Stiamo facendo una gara? E’ questo Edward?” Lo guarda dritto negli occhi e mi sembra quasi di vedere le scintille rosse attorno a quei due.
“No, stiamo parlando di lavoro. Stiamo affrontando un guaio dopo l’altro, non riusciamo più a stare dietro ai tirocinanti e questi fanno ciò che gli pare, arrivano quando vogliono e lavorano meno del previsto.”
Resto con lo sguardo fisso sulle carte di fronte a me, Irina è entrata in un momento della discussione e non me ne sono neanche accorta. Sento uno sbuffo e un sospiro prolungato e i tacchetti che si muovono sul parquet verso il tavolo della riunione.
“Edward capisco la situazione, come potrei non capire? Mi hai chiamato nel bel mezzo della notte perché non ti quadravano certe disposizioni e certi ordini. Lo capisco davvero e solitamente sarei io la più furiosa ma, ammettiamolo, questa non è la tua mattinata gioiosa e stai piantando un caos che fa impallidire il big bang. Quindi c’è bisogno di qualcuno che sia calmo, tranquillo, riposato e con il sangue freddo per risolvere i casini che fai quando hai queste giornate. Santo Dio! Vatti a prendere una camomilla e rilassati nel tuo studio, parlerò io con la signorina Swan e verremo a capo del progetto, poi ti passerò ogni cosa.”
“No, finché non firma il licenziamento sotto ai miei occhi non me ne vado.”
Okay. Che diavolo ho fatto? E’ una decisione che covava già da un po’, non devo racchiudere la motivazione solo al ritardo di questa mattina, devo aver fatto qualche errore lungo il percorso. Deve esserci altro, non si accanirebbe mai così tanto solo per un ritardo. Devo aver fatto un altro errore, più grosso. Sì, ma quale? Oppure sta semplicemente mettendo in mostra tutta la sua stronzaggine. Mi schiarisco la voce, sono un po’ stanca di starmene qui a guardare il loro botta-risposta senza avere voce in capitolo, senza potermi difendere o dare la motivazione del mio ritardo.
“Firmo, non si preoccupi signor Cullen, però posso sapere prima se la motivazione è da circoscrivere al ritardo di questa mattina e a tutti i guai che sono sorti di conseguenza o ad altre motivazioni che al momento mi sono sconosciute?”
Rosalie mi guarda con un sorriso soddisfatto per poi incrociare le braccia sul petto e rivolgere lo stesso sorriso a Cullen. Lui, dal canto suo, mi osserva con un’aria incazzata, ma tace.
Il silenzio si protrae per numerosi minuti.
Il silenzio mi fischia nelle orecchie e mi risponde al posto suo.
Non ci sono altre motivazioni, se no avrebbe preso la parola e avrebbe iniziato a snocciolare tutte le mie incompetenze.
Mi schiarisco la voce e prendo in mano la penna firmando il primo foglio dei molti che ho di fronte.
“Quindi l’unica motivazione per la mia esclusione dal tirocinio, dai progetti e quindi il mio licenziamento è solo il ritardo di questa mattina. Unico ritardo in un anno e due mesi in cui sono stata all’interno della vostra azienda, nonostante tutti gli straordinari non pagati che ho effettuato , nonostante tutta la disponibilità che ho messo al servizio di ogni progetto, anche se non mi apparteneva. D’accordo. Giusto per curiosità, al tizio che vi ha creato l’errore che vi siete trovati questa mattina, quando scoprirete chi è, lo lapiderete?” La risatina di Rosalie mi fa nascere un sorriso, anche se non ho nulla per cui ridere. Cullen protrae il suo silenzio, la mia provocazione pare non l’abbia minimamente toccato.
Firmo l’ultimo foglio con un sospiro.
Sono fuori.
Proprio come la macchina del caffè di casa mia questa mattina.
Mi sono giocata la carriera. Devo ricominciare tutto daccapo, ripresentare le carte e candidarmi per altre aziende, continuare il tirocinio da qualche altra parte, sperando che possa mantenere lo stesso argomento della tesi, sperando che il docente relatore non abbia qualcosa da ridire.
“Non farei tanto del sarcasmo fossi in lei, signorina Swan.” Mr Stronzo parla distraendomi dai miei piani per il futuro imminente e, lo ammetto, lui che risponde in questo modo non fa altro che farmi incazzare. I miei genitori mi hanno insegnato l’educazione e mi hanno imposto di camminare sempre a testa alta, senza nascondermi.
“Perché nascondere la mia vera natura? Mi devo preoccupare di essere licenziata? Ops, ho appena firmato le carte che mi sbattono fuori! Non ho motivo di mantenermi pacata!” Sorrido sarcastica mentre mi alzo. Noto un sorriso vittorioso sul volto di Rosalie mentre Irina sbianca dopo la mia risposta. Non avevo neppure notato che stava in disparte nella sala. “Vado a prendere dalla mia scatola i fogli che avrei portato al briefing questa mattina, signor Cullen. Con permesso.”
Mi dirigo alla porta, la apro e prendo un colpo quando vedo che Jasper è appoggiato alla parete che mi aspetta con uno sguardo dispiaciuto.
“Mi serve la scatola.” Dico a voce bassa ignorando il suo sguardo dispiaciuto.
“La porto dentro io.” I miei occhi indignati parlano per me, ma non posso fare a meno di aprire la bocca.
“Oh no, no, no, no! Non ci pensare agente!”
“Ma-“ Lo interrompo subito.
“Ma un corno! Stamattina non eri così dispiaciuto quando mi hai trascinato in centrale facendomi perdere il posto di lavoro. Dammi quella scatola, ora!” Dico ancora a bassa voce.
Immagino cosa devo sembrare agli occhi di quei tre là dentro. Io affacciata per metà sul corridoio a sussurrare piano verso qualcuno o qualcosa che loro di certo non vedono. Se non mi credevano pazza prima, ora ne hanno la conferma.
“Ti ammanetto se non la pianti!” Mi lancia uno sguardo arrabbiato e con una spallata mi sposta entrando nella stanza. Sbuffo sperando che non succeda il finimondo.
“JASPER?”
“JASPER!” Le due voci dei capi si sormontano tra loro e io ho solo voglia di scomparire. Mi passo una mano sulla fronte ripetute volte, devo avere un bel colore rossiccio adesso.
“Edward, Rosalie, buongiorno!” Saluta Hale in tutta tranquillità.
“Che diavolo ci fai tu qui?” Chiede sua sorella guardandolo confuso.
“Ho accompagnato la signorina Swan a ritirare le sue cose!”
“Vi conoscete?” Domanda ancora Rosalie. Jasper non ha ancora appoggiato la mia scatola sul tavolo, così devo strappargliela dalle mani e mi becco una linguaccia. E’ la giornata dei bambini oggi.
“Stamattina ho fermato Isabella mentre veniva al lavoro, ha perso il portafoglio e l’ho trovata a guidare senza patente, solo perché aveva la patente nel portafoglio che non trova più. Ho dovuto trascinarla in centrale nonostante lei mi avesse detto che era in ritardo per il lavoro. Quando ha ricevuto la chiamata di Edward era nell’ufficio multe e mi sono offerto di darle una mano. Mi sentivo in colpa, così eccomi qui.”
“Ti senti in colpa?” Sbotto guardandolo con gli occhi sgranati, si stringe nelle spalle in risposta ed io scoppio a ridere. “Tu sei fuori! Ci siamo conosciuti stamattina, come fai a sentirti in colpa per questo. Dio!” Appoggio la cartellina di fronte al signor Cullen e respiro a fondo. “La prima pagina è un riassunto del punto della situazione, in seconda pagina è presente una scaletta, terza pagina una mappa delle idee. Il resto della dispensa è formata dai dettagli e dall’idea di sviluppo approfondita. Non avrà sicuramente problemi a continuare e portare a termine il progetto con queste indicazioni. Se permette, terrei una copia anche io.”
“Certo signorina Swan, faccia pure.” La freddezza e il gelo nella voce mi ricordano che non è un incubo ma vita vera. Se fosse stato un sogno Edward avrebbe alzato gli occhi su di me, avrebbe sorriso e mi avrebbe detto che avevo fatto un lavoro impeccabile e non poteva perdere un elemento come me nel gruppo. Peccato che mi aveva appena licenziata. Realtà, Bella, realtà!
“Bene. Jasper prendi la scatola e andiamo. Signori è stato un piacere lavorare con voi, grazie dell’opportunità che mi avete dato. Arrivederci.” Educazione, rispetto, calma e tranquillità. Stringo la mano a Rosalie e poi al signor Cullen e giro sui tacchi. Jasper se ne sta con le braccia incrociate a fissare Edward. Cerco di smuoverlo tirandolo per la manica della divisa, ma è irremovibile. Non mi sono accorta prima di quanti muscoli nascosti abbia sotto questa camicia azzurrina, ma devo ammettere che è un ragazzo bello possente.
“Non pensavo fossi un tale stronzo!” Mi rimangio le parole, un bambino possente.
“Oh andiamo, Jasper!” Me ne esco dandomi una manata sulla fronte. E’ chiaro che si sta rivolgendo a Edward con tutta l’indignazione che prova ora.
“Come scusa?”
“Hai capito bene!”
“Jasper non vengo nel tuo ufficio a dirti come devi fare il tuo lavoro, sei pregato di fare altrettanto.” Sempre il solito gelo nella voce, anche con una persona che conosce da una vita.
“Non sono venuto qui a dirti come fare il tuo lavoro, idiota. Sono venuto qui a dirti come devi vivere, perché è evidente che non lo sai.” Rimango pietrificata e sono pronta a vedere schizzare sangue ovunque. Questi due si prenderanno a pugni qui dentro, imbratteranno i muri di sangue e io mi pietrificherò per terra gridando di smetterla. Edward si alza in piedi, con entrambe le mani appoggiate al tavolo strette in un pugno.
“Fuori di qui!” Urla.
“Edward, calmati!” Gli dice Rose tirandolo per un braccio.
Come ho detto, bambini, entrambi.
“Sì, è il caso che ti dai una calmata. Ha solo fatto un po’ di ritardo, giustificato per altro.”
“Chi sei, il suo ragazzo?”
“No, sono quello che ti spacca il culo se la licenzi.”
“Beh svegliati, l’ho appena fatto.” Lo scambio di battute mi disarma e mi lascia esterrefatta. Non ho mai avuto nessuno che mi difendesse, me la sono sempre cavata da sola nella vita. La mia famiglia mi ha cresciuta indipendente, proprio perché non avessi bisogno di nessuno. Ora invece, un biondino rappresentante della legge, il quale mi ha fatto perdere il lavoro, sta facendo un bordello perché mi riassumano. E’ pazzesco e sconcertante, sono senza parole.
“Jasper, davvero non c’è bisogno di fare tutta questa scena. La questione si è già risolta. Andiamo per favore.”
“Ma-”
“Ma niente. Sono stata licenziata, capita!”
“Non è giusto!” Jasper mi guarda dispiaciuto e il mio unico pensiero è: ci potevi pensare prima, agente.
“Vai a piangere da mamma!” E’ la risposta di Cullen. Sto per trascinare Jasper fuori dalla sala quando Rosalie sbatte qualcosa sul tavolo con forza.
“Ora basta!” Guarda alternativamente Edward e suo fratello e pare che il fumo le venga fuori da ogni poro della pelle. “Mi avete rotto. Sembra di avere a che fare con dei bambini. Con voi due è così da anni, finitela!” Applaudirei se avessi le mani libere e se non rischiassi di essere arrostita dal suo sguardo infuocato.
“E’ lui che ha cominciato!”
“Io? Ma se hai licenziato Isabella perché ha fatto ritardo una sola, dannatissima, volta. Per giunta perché io l’ho fermata! Era puntualissima prima che mi intromettessi sulla sua strada.”
“Oh andiamo, se viaggiava senza patente era giusto che le facessi la multa, come ogni altro cittadino.”
“Certo, ho svolto il mio lavoro in modo professionale, io!”
“Perché io no? Non mi conosci neanche!” Rosalie sta per intervenire una seconda volta, lo noto da come le tremano le mani.
“Tu credi?” Mormora Jasper zittendo tutti quanti. La stanza si fa improvvisamente silenziosa, non vola una mosca e il mormorio di Jasper riecheggia tra le pareti. Nonostante fosse un sussurro tutti i presenti l’hanno udito, soprattutto Cullen. Edward si avvicina alla finestra e smette di parlare, smette di essere presente nella sala, passa solo le mani tra i suoi capelli e li tira, temo che possa strapparseli dalla testa. Rosalie guarda il fratello ammonendolo con lo sguardo, io non posso fare altro che stare in disparte a guardare tutto in silenzio, senza intervenire. Non si parla più del mio licenziamento, c’è altro in gioco.
“Abbiamo capito tutti che ci sono vecchi dissapori, ora fatela finita. Jasper ci vediamo stasera a cena da mamma e papà, Edward fra dieci minuti ti voglio nel mio ufficio, vai a darti una sciacquata alla faccia e a schiarirti le idee. Quanto a te, Isabella, vorrei che ti fermassi un secondo.”

Quando esco dalla sala riunioni, con un peso in meno sulle spalle, respiro a pieni polmoni.
Trovo Jasper di fianco alla porta ad aspettarmi, mi ruba la scatola dalle mani e si avvia verso l’ascensore.
“Okay, che cavolo è successo lì dentro?”
“Niente.”
“Sì, certo, ed io sono Babbo Natale!”
“Sono stato buono quest’anno, portami tanti regali!” Come faccia ad aver voglia di scherzare, dopo uno scontro del genere, non lo capisco.
“Scemo! Avanti, perché hai preso le mie difese?”
“E’ colpa mia se hai fatto tardi e mi sembrava doveroso.”
“Se dovesse mai succedere una seconda volta, non farlo mai più. Qualsiasi cosa succeda non difendermi mai più. Sono cresciuta in mezzo ai boschi, ho imparato a sparare quando avevo sei anni e mio padre mi portava alle giostre della festa di paese. La pistola era più grande delle mie mani. Ero temuta da qualunque bulletto del mio liceo. Non ho bisogno di essere difesa.” Dico puntandogli il dito sul petto mentre siamo in ascensore.
“Chiaro!” Sembra impaurito dal mio scatto di frustrazione, ma lo nasconde bene, il poliziotto.
“Bene. Ora scendiamo e andiamocene.”
“Non vuoi salutare?”
“No, se dovessero perdere tempo Edward sarebbe capace di licenziare ogni persona dello staff, oggi.”
Alice allunga al mio accompagnatore la fotocopia della presenza, con tanto di occhiolino, e si rivolge a me.
“Stasera, nove e quindici minuti spaccati, passiamo da te con pizza e dessert.”
“Alice!”
“Nessuna scusa, metti in ordine il caos che hai in casa e prepara qualche birra, anche se conoscendo Seth ed Emmett faranno la scorta!”
“Va bene, ma che nessuno si azzardi ad addormentarsi sul mio divano o sul mio letto, perché questa volta vi faccio fuori!” Mi guarda scioccata.
“Hai un rappresentate della legge al tuo fianco, poi non dire che non ha le prove per incriminarti!”
“Stronza!”
“A stasera Bella, sii puntuale!” Le lancio un’occhiataccia, è casa mia, come posso non essere puntuale? Ignoro la frecciatina riguardo a questa mattinata surreale ed entro in ascensore.
Scendiamo ancora, fino alla hall, entriamo con Nick nello stanzino e Jasper apre l’armadietto per prendere arma e manette, salutiamo Joe, poi entriamo in macchina.
“Grande festa a casa tua stasera!” Ridacchia.
“Già, vuoi essere dei nostri?”
“Ho una cena di famiglia, stasera, ma se riesco a liberarmi presto potrei fare un salto, se non disturbo.”
“Assolutamente no, ti lascio il mio indirizzo.” Cerco un foglio dentro la borsa e mi rendo conto di avere ancora la chiavetta del distributore automatico e il tesserino d’accesso da consegnare. Che pirla che sono. Scrivo il mio indirizzo in un foglietto e lo infilo nel taschino della camicia di Jasper. “Devo ringraziarti per essere venuto con me oggi, anche se tutta quella scena era pressoché inutile.”
“Mi sento in colpa, te l’ho detto.” Di nuovo si stringe nelle spalle.
“Ed io ti ho detto che non devi.”
“Va bene, chiudiamola qui. Siamo arrivati!”
“Bene. Allora ci vediamo questa sera se riesci a passare da me.”
“Certo. A stasera!”
“Ciao Jasper!” Mi saluta con un cenno della mano e io mi avvio verso la macchina. Carico la mia scatola nel sedile passeggero e me ne torno a casa. Quando salgo nel mio appartamento Poppy mi fa le feste, mi prendo qualche minuto da dedicargli, gli chiedo scusa per non essere stata attenta questa mattina e poi mi dirigo in camera, sulla scrivania metto a posto tutte le cose portate dall’ufficio e dentro ad un cassetto infilo le dispense e gli appunti per la tesi.
Si ricomincia, dall’inizio.
Ancora una volta.

Sono le dieci e quarantatre quando il citofono emette quel ronzio fastidioso. “Chi è?” Rispondo controvoglia. Con gli altri mi sto divertendo come una pazza, spero non sia uno scocciatore qualunque che voglia rompere le palle.
“Jasper!” Gli apro, mi ero scordata che sarebbe passato, attendo che salga le scale o che sbuchi dall’ascensore e quando il suo viso fa capolino dalla rampa di scale sorrido.
“Agente, è bello averla tra noi!” Ridacchia e mi mostra una cassa di birra.
“Mi hanno detto che c’è una festa!”
“Hai portato le birre, sei il benvenuto! Entra!” Mi sposto per farlo entrare e la sala ammutolisce. Il mio appartamento non è grande, sarebbe meglio dire che è un vero e proprio buco. La sala da pranzo, il salotto e la cucina formano un’unica stanza rettangolare, nel momento in cui si apre il tavolo rotondo del salotto nessuno può sedersi sul divano e guardare la televisione, perché chi sta seduto al tavolo copre la visuale. C’è un terrazzino minuscolo alla fine della parete, giusto per tenere un vaso di fiori e rendere la mia casa più vissuta. Il bagno è davvero piccolo, con una doccia in cui si fa fatica a starci in uno senza sbattere addosso al porta sapone o alla maniglia dell’acqua. La camera da letto è vivibile, nonostante la presenza dell’armadio, della scrivania e del comò lo spazio per girarsi c’è ed è abbastanza. Anche la camera da letto ha un terrazzino, questo leggermente più grande, due persone in piedi ci stanno comodamente a guardare il paesaggio. La stanza più bella è senza dubbio la lavanderia. Quando ho dovuto sostituire la lavatrice non ci passava neppure per la porta e gli addetti al montaggio di quella nuova hanno dovuto lavorare uno alla volta in punta di piedi per poterci arrivare. C’è la lavatrice, un asse da stiro a discesa, attaccata al muro, uno stendibiancheria attaccato al muro sopra la lavatrice, così alto che ci devo arrivare con una scaletta da tre scalini, e un piccolo cesto dei panni. Quando ci entro mi viene la claustrofobia. La fortuna è che se ci sei dentro, la porta non si può chiudere.
“Una casa niente male!”
“Oh agente, non prendermi in giro! E’ un buco!”
“Veramente lo trovo davvero carino, almeno è ordinato. Dovresti vedere casa mia. E’ piccola quanto la tua, senza la possibilità di aprire il tavolo, ma il caos rende tutto ancora più piccolo!” Rido e mi avvio con le presentazioni. Alice lo guarda malamente ma lo saluta ed Angela gli rivolge appena un cenno. Gli faccio posto sulla tavola, e gli prendo un bicchiere dalla credenza, poi prendo una delle sedie pieghevoli che tengo in un angolo tra la cucina e il muro e la apro per lui.
“Ecco qui, sei arrivato giusto giusto per il dolce! Angela ha portato una torta della pasticceria in fondo alla strada. E’ da leccarsi i baffi.”
“All’agente Hale niente torta!”
“Alice, piantala!”
“No dico sul serio. E’ colpa sua se ti ritrovi senza lavoro!”
“Smettetela ragazze! Cullen mi avrebbe licenziato comunque. Oggi non era giornata. Ora tagliate la torta e servitela. Devo riempire la ciotola di Poppy!”
Il resto della serata passa in allegria. Jasper si rivela davvero simpatico, alla mano e fa meno paura di quando indossa la divisa. Alla fine sia Angela che Alice hanno sotterrato i dissapori e hanno preso a parlargli normalmente. Più o meno, se di normalità si può parlare con quelle due.
Non abbiamo guardato l’orologio per molto tempo fino a quando il telefono di Jasper non prende a suonare.
“Scusate, un’emergenza!”
“Andiamo via tutti, è quasi l’una di notte e domattina il capo ci fa fuori tutti se non ci muoviamo ad andare a letto.”
Jasper è il primo ad andarsene, scusandosi per non poter sistemare, poi è il tempo di tutti gli altri che insisto perché se ne vadano senza alzare un dito. Io domattina non devo andare al lavoro, la loro sveglia suona presto.
Quando mi infilo sotto le coperte mille pensieri mi affollano la mente.
Sono stata licenziata.
Non ho uno stipendio, non ho un’occupazione, sono fuori dal tirocinio. Ciò vuol dire che se non trovo presto qualcosa di diverso sarò costretta a fare la cameriera a vita e a gettare al vento anni ed anni di studi. Non parlo neppure dell’orgoglio che dovrò seppellire sotto metri e metri di terra, né dell’opinione che si farà di me mia madre. Una debole. Una scansafatiche. Una che non è stata neppure in grado di terminare gli studi.
Ho rivisto Robert. Erano anni che non lo vedevo, anni che biascicavo qualche parola al telefono senza approfondire. Mia madre lo sentiva regolarmente, l’ha sempre informato di ogni nostro passo, ogni novità. Io ad un certo punto mi sono rifiutata di rispondere a tutte le sue numerosissime chiamate.
Ho tagliato i fili, ho tagliato ogni legame con il passato, ho chiuso tutto in un cassetto e non avevo intenzione di riaprirlo mai più. Poi oggi un ragazzino mi porta in centrale e lo rivedo. Anni ed anni passati in sua compagnia mi sono volati davanti agli occhi, ricordandomi perché trovavo così amorevole quell’uomo.
Poppy sale sul letto e con il musino si accoccola sul mio stomaco, muove la sua testa su e giù come per coccolarmi. Poppy, forse l’unico essere umano che non deludo sei tu.
Mi addormento solo verso le prime ore dell’alba, triste, malinconica, delusa da me stessa.


martedì 6 ottobre 2015

Capitolo Uno

** Note di Aly

Buonasera a tutti/e!
Parlerò al femminile da qui in poi, per cui, se ci fosse qualche maschietto a leggere, non ve la prendete; è solo un modo per far prima a scrivere! Sorry.
Ho intenzione di portare avanti una nuova tradizione, che magari vi farà avvicinare di più alla storia, ve la farà commentare oppure vi farà allontanare ancora di più. Non ne ho idea. Vorrei che ogni volta che recensite la mia storia citaste la frase che vi è piaciuta di più, che vi è rimasta in testa, che vi ha fatto emozionare. Insomma, la frase che ha spiccato in mezzo alle altre. E facciamo anche quella che avete odiato di più! So che qualcuno di voi già lo faceva nelle precedenti recensioni, vorrei che diventasse una tradizione nostra, delle mie lettrici. Se vi va, ovviamente. Sentitevi pure libere di non commentare o di non citare alcunchè. Se invece voleste iniziare questa "cosa" io ne sarei più che felice. E' un modo per vedere cosa piace a voi, cosa non vi è piaciuto, cosa ho azzeccato e cosa invece vi ha dato fastidio. Ci conosciamo, e io cresco ancora un po'.
Bene... finita questa pappardella... parliamo della storia.
Sarà dura, difficile, e susciterà mooooltissime critiche. Vi pregherei di criticare con obiettività, senza dire semplicemente "Non mi piace la storia, quindi ti do la bandierina". Le critiche sono accettate, sono le benvenute, quando permettono all'autrice di crescere, nello stile e in maturità. Quindi sentitevi liberissime di criticare ogni capitolo, ma fatelo spiegando le vostre motivazioni e con criterio. Metto le mani avanti perchè sono una di quelle autrici a cui non piace sentirsi dire "Io avrei scritto così". Non perchè sono presuntuosa, ma perchè la storia è mia e i personaggi sono cresciuti con me, se mi scrivete "io avrei scritto così" pretendo una spiegazione fondata del perchè avreste cambiato qualcosa. Resto ferma nell'idea che siete libere di scrivere quello che volete ma tornate di qualche riga su, vorrei una motivazione valida.
Ho anche io qualche difetto!
Okay, quindi la storia sarà complessa, uno dei miei polpettoni insomma. All'inizio può sembrare lenta ma serve tutto un tempo di introduzione che ci farà capire i personaggi, forse, in futuro.
Quindi non abbiate fretta di voler scoprire, godetevi ciò che accade, avremo tempo per correre insieme e poi riposarci. Non so ancora quanti capitoli la comporranno, in questo momento sto scrivendo il settimo, sono molto meticolosa, cerco di correggermi da sola, ma se vedete qualche refuso o qualche errore fatemelo notare.
Le note stanno diventando più lunghe del capitolo! LOL
Non vi dirò come nasce la storia nella mia testa, non ancora per lo meno, vi lascio assaporare il primo capitolo, che effettivamente non dice un granché, ma è solo il primo di molti! HIHI
Vi auguro buona lettura.
Un abbraccio
Aly

Ps: qualcuno mi ha fatto notare che ci potrebbe essere un errore. Mi sto informando. Metterò la spiegazione e il mio Errata corrige nel prossimo capitolo, nel caso fosse un mio errore. Chiedo venia. 
**

 





Questa mattina non dovevo svegliarmi.
L’hanno detto tutti i giornali locali prevedendo il tempo nuvoloso, l’edizione delle sei e trenta del telegiornale con le informazioni sul traffico cittadino, il mio portiere, il mio cane e persino il poliziotto incontrato per strada. Sì, ma arriviamoci per gradi.

La macchina del caffè si è inceppata, ho cercato di sistemarla: ho smontato il filtro, ho rimesso la polvere del caffè, ho cambiato l’acqua, ho staccato la spina e l’ho
riattaccata più volte. Nisba. Niente. Caput. La macchina del caffè è morta. Nonostante mi sia svegliata con largo anticipo, proprio per fare colazione con calma, il caffè, che è la fonte primaria del mio sostentamento mattutino, devo prenderlo al bar. Ho indossato gli abiti da lavoro, ho calzato le mie scarpe con tacco dieci e, una volta afferrata borsa e chiavi dell’auto, sono scesa di sotto. Il portiere si era tagliato con il taglierino, per cosa lo stesse usando lo ignoro ancora adesso, mi ha fermata chiedendo aiuto, perché alla vista del sangue non si sentiva bene. Crocerossina che non sono altro mi sono fermata, tanto avevo tempo. Ho afferrato il kit del pronto intervento dall’armadietto, disinfettato la mano dell’uomo e applicato una garza con tanto di crema per i tagli. Poi sono scesa nel box a prendere l’auto. Ho percorso due soli, miseri, isolati prima che una coppia di poliziotti decisamente sfortunati ad essere di pattuglia alle prime ore del mattino, mi fermassero.
E da qui un lento, lentissimo declino.

“Patente e libretto, signorina.”
Convinta delle mie azioni afferro il libretto di circolazione porgendoglielo, mentre cerco con una mano il portafoglio in cui tengo la patente di guida. Portafoglio che non c’è all’interno della borsa. Impallidisco di colpo e mi metto a frugare come una disperata. Niente. Non c’è traccia del mio grandissimo portafoglio pieno dei miei documenti, scontrini e monetine per il caffè. Spero solo di averlo lasciato a casa e non da qualche altra parte.
“La patente, signorina!”
Mi volto verso l’agente, corrucciata e dispiaciuta, sperando che il mio labbro tremolante mi salvi dal ritiro del mezzo.
“Mi dispiace, in questo momento non ce l’ho!”
“Come non ce l’ha? Guida senza patente?”
“No, assolutamente no! E’ che stamattina è successo un guaio con la macchina del caffè, ieri sera devo aver tirato fuori il portafoglio per inserire i contanti e devo averlo lasciato sul comò a casa. Stamattina non ho bevuto il mio caffè, sono uscita di casa ed ho dovuto soccorrere il portiere perché si è tagliato e quindi… Quindi ho scordato il portafoglio a casa. Sempre che non abbia perso il portafoglio da qualche parte. Allora dovrei fare una denuncia, non è vero?”
“Se ritiene che qualcuno le abbia rubato il portafoglio o che l’abbia accidentalmente perso sì, deve sporgere denuncia. E’ questo il caso?”
“Non lo so. Devo tornare a casa e controllare ovunque. Porca miseria, mi sono scordata di dar da mangiare a Poppy!”
“Chi è Poppy?” L’agente mi guarda con il sopracciglio alzato.
“Il mio cane! Accidenti. Dov’è il telefono?” Frugo di nuovo nella borsa alla ricerca del mio smartphone e appena lo trovo faccio partire una telefonata.
“Signorina non abbiamo tutta la giornata, noi!”
“Neanche io, ma il mio cane a casa da solo non è di sicuro in grado di prepararsi un piatto di pasta. Non crede?”
“E quindi ha intenzione di… chiamarlo e dirgli di andarsi a comprare un hamburger?”
“E’ simpatico, come ha detto che si chiama?”
“Non l’ho detto, veramente. Sono l’agente Hale.”
“Hale, questo cognome non mi è nuovo. Sono sicura di averlo già sentito… ma dove?”
“Signorina, chi sta chiamando?”
“Pronto Antonietta, sono Bella, ho scordato di dar da mangiare a Poppy, puoi per favore salire a casa e riempirgli la ciotola con i croccantini e anche con dell’acqua? Sì, grazie. Oh e fammi un favore, guarda se trovi anche il mio portafoglio lì in giro. Credo di averlo scordato. Certo, grazie. A stasera!”
“Bene, non ha chiamato direttamente il suo cane, quindi non è da dichiarare psicologicamente instabile. Ora può scendere dall’auto?”
“Cosa?”
“Ho detto, può scendere dall’auto?”
“Veramente avrei una certa fretta, ero in anticipo questa mattina, a dir la verità, ma la macchinetta del caffè rotta e il portiere ferito mi hanno tolto tempo. Volevo comprare una tazza di caffè da Starbucks ma ho lasciato i soldi a casa, quindi devo accontentarmi di quello dell’ufficio, che fa veramente schifo, soprattutto quando viene fatto dal mio collega del numero nove. Poi lei mi ha fermato, mi ha tenuta qui numerosi minuti preziosi, non trovo il portafoglio ed ho anche scordato di dar da mangiare a Poppy, devo assolutamente andare al lavoro.”
“Si rifiuta di seguirci alla centrale signorina?”
“Senta agente Hale, io sono in regola. Vede? Assicurazione: pagata. Bollo: pagato. Libretto: in regola. Manutenzione: regolare ogni tre mesi come da legge. Faccio cambiare le lampadine prima che si brucino. E’ tutto in regola, la patente è regolare. Controlli pure nei vostri archivi. Isabella Marie Swan, nata il tredici settembre millenovecentoottanta a Forks, stato di Washington.”
L’agente segna i miei dati ma non è convinto a lasciarmi andare, lo capisco da come sbuffa e alza lo sguardo su di me.
“Vorrei davvero fosse così semplice, ma lei sta guidando questo mezzo senza patente. Non posso lasciarla andare, mi capisce? Non sarei professionale!”
Sbuffo e maledico tutte le macchinette del caffè, i portieri e i taglierini, e anche tutti gli agenti di polizia, sì, anche loro.
Stacco le chiavi dal cruscotto dell’auto, prendo la borsa e mi assicuro di chiudere l’auto.
“Va bene, d’accordo! Se devo seguirvi andiamo. Prima risolviamo questa questione, prima posso andare al lavoro.”
“Deve parcheggiare l’auto in uno dei parcheggi, o qui le sarà rimossa!”
Sbuffo risalendo in auto. Nella mia testa milioni di parolacce pronte a venir fuori a raffica, come proiettili sparati da una mitraglietta. Una volta sistemata l’auto seguo l’agente Hale alla volante, mi fa accomodare nel sedile posteriore e poi si accomoda come passeggero davanti.
“Signorina Swan le presento il mio collega Hunt. James lei è la signorina Swan. Viaggiava senza patente!”
“La patente ce l’ho. Devo solo trovare il portafoglio!” Incrocio le braccia sul petto e sbuffo.
Che giornata di merda.

Non siamo ancora arrivati alla centrale quando il cellulare inizia a squillare. Riconosco la suoneria assegnata alla segretaria del mio capo ed ignoro la chiamata. Decisamente non ho bisogno di questo, adesso. Dovrei avvisare Angela, dirle che sono in ritardo, ma può aspettare dieci minuti.
La seconda volta che squilla il telefono l’agente Hunt sta parcheggiando in un posto delimitato per le volanti, ma riconosco la suoneria assegnata ad Angela, la mia referente. Vorrei rispondere, ma stiamo entrando nello stabile, quindi ignoro la chiamata. Guardo l’orologio sulla parete. Dove sono finiti i miei quindici minuti di anticipo?
Sono in ritardo di mezzora, non ho bevuto il caffè e probabilmente verrò sbattuta fuori dal programma di tirocinio oggi stesso. Che senso ha rispondere al telefono? E’ meglio rimandare l’ora della condanna.
Entriamo all’interno della centrale e seguo l’agente Hale fino ad un ufficio, mi fa accomodare su una sedia di fronte a una scrivania piena di carte e cartelline.
“Resti qui signorina Swan, io e il collega arriveremo subito. Vuole qualcosa nel frattempo? Acqua, tea, caffè?”
“Un caffè per cortesia, nero con due zollette di zucchero. Grazie.”
Nell’attesa il cellulare all’interno della borsa continua a squillare, prima la mia referente e poi la segretaria del capo. Sbuffo e guardo fuori dalle grandi finestre con le grate. Questa mattina è iniziata proprio da schifo, spero solo non peggiori ulteriormente.
“Allora, vediamo cosa abbiamo qui!”
La voce che mi riscuote dai miei pensieri la conosco, mi volto e resto stupita.
“Robert McNeil? Sei proprio tu?”
“Piccola Swan!”
Mi alzo di scatto per abbracciarlo, come da piccola le sue braccia mi inglobano e mi racchiudono tutta. L’agente Hale si schiarisce la voce di fianco a noi.
“Vedo che non sono necessarie le presentazioni. Signorina Swan, ecco il suo caffè.”
“Jasper, Isabella e io ci conosciamo da moltissimo tempo. Portava il pannolone la prima volta che venne in ufficio!”
“E menomale che non c’erano problemi con lei, signorina Swan!” Mi dice sarcastico.
“No, che hai capito. Lavoravo con suo padre un tempo. Io mi sono trasferito quando Isabella aveva sedici anni. Ma è impossibile non riconoscerti, piccola. Raccontami di tua madre, come sta?”
“Sta bene, sta meravigliosamente bene! Ha avuto qualche cedimento un paio d’anni fa, ma si è ripresa alla grande. Vive poco fuori New York ed ha conosciuto un uomo, Phil qualcosa. Allena una squadra di basket in un liceo e lei l’ha seguito a casa sua. Sta bene.”
“L’ho chiamata a Natale, l’ultima volta. Mi sembrava felice.” La sentiva ancora.
“Lo è. Lo è.”
“Bene, sono contento. Ora, buon Dio, vuoi spiegarmi il motivo per cui sei qui accompagnata da due agenti?”
“Stamattina sono uscita di casa senza portafoglio, quando i tuoi agenti mi hanno fermata guidavo con la patente all’interno del portafoglio che è non so dove.”
“L’avete portata qui?” Chiede guardando l’agente Hale che alza le spalle in risposta. “Jasper, ti sto chiedendo perché non avete fatto un controllo in loco e non hai lasciato andare la signorina Swan con la richiesta di presentarsi in seguito a mostrare la sua patente di guida.”
“Capo io…” Se fossi una cittadina come tutte le altre, probabilmente, ora riderei dell’agente Hale e mi strofinerei le mani soddisfatta. Ma non sono così, porca miseria.
“Robert, l’agente Hale è stato professionale, paziente e ha seguito il protocollo. Non è un problema essere venuta fin qui, davvero. Sono convinta che mi spetta una multa per aver guidato senza aver portato la patente con me, perché non compili il verbale?”
“Isabella!”
“Oh andiamo. Sono Isabella ma sono cresciuta, sono adulta e devo prendermi le mie responsabilità.”
“So che hai la patente. Ricordo quando tua madre diceva che sfasciavi ogni aiuola nel giardino al rientro da scuola!” Ridiamo per qualche secondo, coinvolgendo anche Hale.
“Scrivi quel verbale, o mi vedo costretta a parlare con un tuo superiore!”
“Questa sarebbe la prima volta che capita!” Sbotta Jasper ridendo.
“Isabella è una persona molto particolare!”
“Lo vedo!”
Sto per rispondere quando il cellulare squilla e questa volta la suoneria è diversa. E’ terrorizzante, proprio come la persona che chiama. Afferro velocemente il telefono dalla borsa e trascino la cornetta verde per rispondere. Trattengo il fiato.

“Pronto?”
“Signorina Swan, perché diavolo non è ancora al lavoro?”
“Ho avuto un imprevisto, sono alla stazione di polizia e ne ho ancora per-“
“Non me ne frega un accidenti di cosa le sia successo. Il suo orario di lavoro cominciava un’ora fa. Devo dedurre che prende sottogamba questa occupazione! Sa, persone disposte a prendere il suo posto ne trovo a centinaia!”
“Lo immagino, signore. Non sto prendendo sottogamba la mia occupazione, per niente. Mi trovo impedita a raggiungere la sede di lavoro, al momento. Arriverò tra un’ora e recupererò l’orario all’uscita.”
“Non ha capito. O lei si fa trovare fra cinque minuti alla sua postazione o può tranquillamente cercare un’altra occupazione! Sono stato chiaro?” Abbaia al telefono con voce grave.
“Chiaro, signore!”

Sospiro infilando il telefono in borsa e cercando di farmi forza. Alzo gli occhi su Robert, di fronte a me, sorrido mestamente e gli faccio un cenno del capo verso il verbale tra le sue mani.
“Completalo. Devo andare a raccattare le mie cose in ufficio, sono appena stata licenziata!”
“Ma dove diavolo lavori?”
“Ha ragione, sono in ritardo di un’ora. Mi ha detto di essere lì in cinque minuti ma mi ci vuole più di mezzora per raggiungere la sede. Quindi mi ha consigliato di trovarmi un altro lavoro. Cosa che farò non appena riuscirò a recuperare le cose sulla mia scrivania.”
“Ci sono problemi sul lavoro, signorina Swan?”
“Agente Hale non si preoccupi. Il mio capo va a giornate. Ho scoperto da qualche mese che se siamo fortunati la mattina si alza con il piede giusto, ma la maggior parte delle volte è così arrabbiato che se la prende con chiunque.”
“Se ci sono pressioni di qualche tipo...”
“No, si figuri. Nell’ambito professionale è davvero il migliore. Il progetto di cui faccio parte, pardon, facevo parte, è uno dei migliori della città. Non so come ho fatto ad entrarci. Mancavano solo otto mesi alla fine del tirocinio, poi avrei avuto l’assunzione a tempo indeterminato o l’inserimento in altre sedi o settori. E’ un mio errore, devo pagarne le conseguenze.”
“L’accompagno io all’ufficio, signorina Swan!”
“Agente Hale, la ringrazio ma-“
“Niente ma Isabella. Jasper ti accompagnerà.” Strappa il verbale che aveva completato solo per metà e mi rivolge un sorriso tirato. Mi consegna un post-it in cui scrive qualcosa di fretta. “Questo è il mio indirizzo e il mio numero di telefono. Sono convinto che a mia moglie farà piacere averti a cena qualche volta, passa a trovarci!”
Lo saluto affettuosamente e poi mi dirigo verso la porta, preceduta dall’agente Hale.
“Ah Isabella, notizie di tuo fratello?”
Mi gelo all’istante e mi volto.
“No, nessuna.”
“Vuoi che…”
“NO!” Dico troppo in fretta. Passo una mano sul collo e poi sui capelli a lisciarli e sbuffo. “Robert apprezzo tutto ciò che hai fatto per me, per noi, in questi anni ma… Lascia stare Brian!”
“Va bene Isabella, ci vediamo a cena, una di queste sere!”
Lo saluto con la mano e riprendo il cammino verso l’esterno, preceduta dall’agente Hale.

Quando entriamo in auto l’agente Hale mi chiede l’indirizzo della sede di lavoro e impallidisce quando glielo detto. Accende l’auto e percorre qualche chilometro prima di aprire la bocca.
“Non sono uno che ama chiacchierare, devo ammetterlo, però il fatto che tu e Robert vi conosceste mi ha lasciato esterrefatto.”
“Più o meno di aver scoperto che lavoro per Edward Cullen?”
“Di meno, lo ammetto.”
“Risponderò alla tua non domanda solo se mi permetti di darti del tu e se a tua volta risponderai alla mia.”
“Potrei far valere il mio ruolo, ma so che perderei. Hai il mio capo dalla tua parte!” Ridacchia.
“Mio padre era un poliziotto, lavorava a Port Angeles, una cittadina vicino a Forks. Non credo che conoscerai il luogo, in realtà, ma è pieno di boschi e radure, il posto migliore dove trafficare armi e droga senza nessuno tra i piedi. Più volte Robert e mio padre hanno collaborato con le unità speciali, essendo del luogo conoscevano monti, boschi e sentieri meglio di chiunque altro. Ho iniziato a frequentare la stazione di polizia quando mia madre ha iniziato a lavorare come segretaria in uno studio medico. Così ho conosciuto Robert e molti altri colleghi di mio padre.”
“Però poi vi siete persi di vista!”
“Sì, Robert ha chiesto il trasferimento, io ho finito il liceo, ho frequentato l’università e di conseguenza i rapporti sono stati sempre più freddi. Ci sentivamo per telefono, di tanto in tanto.”
“Capisco. E tuo padre?”
“Mio padre cosa?”
“Sarà felice di sapere che hai rivisto Robert dopo tutti questi anni, no?” Mi lancia un’occhiata di sfuggita, so cosa sta facendo. Cerca di farmi parlare con delle domande trabocchetto, ma con me non funzionano.
“Sì, credo che ne sarà felice!” Mormoro sorridendo appena e guardando fuori dal finestrino. D’un tratto mi riscuoto e mi volto verso di lui. “Ora dimmi perché sei rimasto sconvolto nell’aver scoperto che lavoro per Edward Cullen, o meglio lavoravo.”
“Io e Edward ci conosciamo da quando portavamo il pannolone, abbiamo frequentato tutte le scuole insieme, anche il liceo. La sua famiglia è stata la mia famiglia per qualche tempo e viceversa, poi le cose sono cambiate velocemente e Edward è cambiato insieme a tutto l’ambiente circostante. Non lo riconoscevo più e non avevo voglia di stare in sua compagnia, anche se non l’ho mai abbandonato. C’erano giorni buoni e giorni meno buoni. Comunque andava non mi piaceva la persona che aveva deciso di diventare. Le nostre strade si sono divise dopo il college. Anche se, da coglione quale sono, continuo a interessarmi alla sua vita.”
“Capisco. Quindi sei rimasto sorpreso perché…?”
“Perché conosco la sua azienda, conosco molte persone che ci lavorano e conosco anche la sua filosofia professionale. Mia sorella lavora a stretto contatto con Edward, la conoscerai senza dubbio. Rosalie Hale.”
Il nome è come un fulmine che mi colpisce. E’ impossibile non conoscerla. La socia di Edward, nonché capo del settore di ricerca e sviluppo.
“Ecco! Dicevo io di aver già sentito il tuo nome. Jasper Hale, fai parte delle fotografie appese nello studio privato di tua sorella.”
“Sì, è una novità anche per me. Rosalie e Edward sono sempre state due persone diverse, agli antipodi quasi. Quando uscivamo in compagnia non si potevano vedere. Quando frequentava casa mia, Rosalie si chiudeva in stanza dopo aver fatto qualche battutina pungente. Si odiavano. Poi il destino li ha uniti. Non so bene cosa sia stato, ma Rosalie è la persona perfetta per essere socia di uno come Edward.”
“Sì, hai perfettamente ragione.” Scoppio a ridere pensando a tutte le riunioni a cui ho partecipato insieme a quei due. Dire che sono divertenti nella stessa stanza è davvero il minimo.
“Cosa ti ha portato a lavorare per Cullen?”
“Ci sono progetti di tirocinio validi nel Paese, davvero dico! Ma la società di tua sorella e Cullen offre un rimborso spese più alto, una prospettiva di assunzione alla fine del periodo di tirocinio e un’assistenza in termini di risorse, materiale e personale durante la tesi da fare impallidire il resto delle società.”
“Capisco. Rosalie mi ha parlato spesso di voi tirocinanti!”
“Immagino!” Rido di nuovo. “Non ci ha mai potuti sopportare, a dir la verità. Quando ci vedeva nei corridoi ad attendere di fronte alla porta della riunione ridacchiava prendendoci per i fondelli con qualche battutaccia sulla nostra inettitudine!”
“Sì, mia sorella può essere davvero una stronza certe volte!”
“Oh, stronza no! E’ solo sincera. Dice qualsiasi cosa le passa per la testa senza curarsi di chi ha di fronte e dei sentimenti altrui. E’ così che si è creata la sua strada nella vita. Ci posso scommettere!”
“In realtà… non è andata proprio così. Cullen e Rosalie hanno accumulato esperienze di vita comuni che li hanno resi come sono. Non è solo la sua lingua tagliente!”
“Capisco. Oh guarda, siamo arrivati!”
Aspetto che l’agente Hale parcheggi la volante, un’auto per niente appariscente devo dire. Tutti i colleghi della hall inizieranno a sparlare e a far girare voci sul motivo per cui una volante della polizia mi sta accompagnando sul luogo di lavoro, o quello che era per lo meno.
“Pronta signorina Swan?”
“Sono nata pronta, agente Hale!” Sghignazziamo e devo ammetterlo, non credevo che fosse così simpatico fino a qualche ora fa.

Passo il tesserino magnetico di riconoscimento e la porta a vetri si apre rivelandoci una decina di persone che smettono di chiacchierare proprio nel momento in cui entro nello stabile, seguita da un agente di polizia. L’unico che si fa gli affari suoi è il capo portiere, Joe, un uomo sulla cinquantina, di colore, con qualche ciuffo di capelli bianco che non copre con la tinta perché ama mostrare a tutti la sua età e la sua esperienza.
“Signorina Swan!”
“Joe, quante volte ti ho detto di chiamarmi Bella?”
“Siamo sul luogo di lavoro, eseguo solamente le direttive! Come sta stamani?”
“Poteva andare meglio! E tu Joe?”
“A meraviglia! Ho saputo che mia figlia arriva venerdì sera da Seattle e non vedo l’ora di riabbracciarla. Dobbiamo assolutamente incontrarci per un caffè, voglio presentartela!”
“Certamente! Senti Joe, questo è l’agente Hale.” Strabuzza gli occhi al solo sentire il suo nome. “Se te lo stai chiedendo, sì è il fratello di Rosalie Hale.” Ridacchio ancora incredula. “Mi servirebbe un pass visitatore per lui, ha deciso di aiutarmi a prendere le mie cose.” Faccio l’occhiolino all’agente Hale che mi regala un grande sorriso e che sembra a suo agio in ogni situazione, persino all’interno di uno stabile in cui tutti ci lanciano occhiate curiose.
“Certamente. Devo annunciare il vostro arrivo ad Alice, in ogni caso.”
“Certo. Certo. So qual è la prassi Joe, lo farai mentre saliamo con l’ascensore.” Dico afferrando il pass per il mio accompagnatore e passandoglielo mentre avanziamo verso gli ascensori.
“Aspetta Bella!” Mi volto sorridendo, finalmente! “Hai detto che devi raccogliere le tue cose?”
“Il grande capo mi ha licenziata perché ho accumulato un po’ di ritardo stamattina. Non ha voluto sentire le mie ragioni, comunque ha tutti i diritti di fare una cosa del genere, avrei dovuto fare più attenzione io. Ma non preoccuparti, ci vedremo lo stesso.” Regalo una strizzata d’occhi anche a lui e mi incammino di nuovo.
“Allora, massima sicurezza in questo stabile, eh?”
“Circa nove mesi fa un pazzo è entrato con una pistola credendo che fosse una banca, gli uomini della sicurezza l’hanno fermato in tempo, ma due di loro sono rimasti feriti. Da quel giorno sono stati installati sistemi di sicurezza super tecnologici, sono state assunte nuove persone nella hall e chiunque debba salire negli uffici viene annunciato alla segretaria.”
“Questa Alice, giusto?”
“Sì, adesso la incontrerai, ti darà filo da torcere, vedrai!”
Quando passiamo le sbarre girevoli Nick della sicurezza ci avvicina.
“Agente deve consegnarmi la pistola e le manette.”
“Sta scherzando spero!”
“Assolutamente no. Norme di sicurezza!”
“Nick, l’agente Hale è a posto. Garantisco io per lui. Lascerà l’arma nel mio armadietto e la chiave la terrò all’interno del mio reggiseno!” Alza gli occhi e sghignazza come ogni volta che faccio una battuta, ma scuote la testa.
“Isabella, sai che non è così facile. Agente Hale, venga con me. Depositerà l’arma nel mio armadietto e poi sarà libero di seguire la signorina Swan negli uffici.”
“Cazzo! Mia sorella e Edward non scherzano in fatto di sicurezza!”
“Te l’ho detto. Questa società è una delle migliori per molti fattori.”
“E tu sei appena stata licenziata!”
“Grazie, agente Hale, senza di lei rischierei di dimenticarlo per qualche secondo!”
“Sei stata licenziata?” Nick si volta a guardarmi esterrefatto.
“Sono stata cacciata dal tirocinio Nick, non è la fine del mondo. Mi rimetterò in carreggiata e troverò un altro posto.”
“Oh Bella, se vuoi posso parlare con Mark delle risorse umane, magari ha qualche contatto che-“
“Grazie Nick, ma no. Ora muoviamoci. Ho uno scatolone da riempire e dei saluti da fare. Forza!” Trascino l’agente Hale per la manica della divisa e lo accompagno agli ascensori. Appoggio il mio tesserino sulla banda magnetica e le porte si aprono.
“Mia sorella non mi ha mai detto che per entrare nel suo ufficio si dovessero superare cinquecento barriere tecnologiche. Siamo sicuri che sia proprio necessario?”
“Jasper, stiamo parlando della società leader nel marketing, communication and media. Hai la vaga idea di cosa ci sia ai piani alti? La mente di ogni sacrosanto articolo pubblicitario, campagne da milioni di dollari, menti creative che lavorano giorno e notte su progetti che durano mesi e che… aspetta, che te lo dico a fare? Tua sorella ha creato questa società insieme ad uno dei tuoi migliori amici. Dovresti dirmi tu se ne vale la pena.” Incrocio le braccia sul petto e aspetto che l’ascensore giunga al piano richiesto. Jasper ridacchia e mi imita, appoggiandosi alla parete metallica.
Quando il plin dell’ascensore ci avvisa che siamo arrivati esco di corsa, mi fiondo al banco della reception dove Alice ci attende trepidante.
“Dannazione Bella!” Sbotta quando mi ha di fronte, scattando in piedi. “Ti rendi conto del casino in cui ti sei cacciata?”
“Si tesoro, me ne rendo conto. Tra te e l’agente Hale ne ho una chiara e precisa idea!”
“Agente Hale, mi consegni il distintivo per cortesia!”
“Che?”
“Norma di sicurezza, devo registrarla.”
“Signorina Swan, la prossima volta che qualcuno si offre per accompagnarla all’interno di una società con più misure di sicurezza di un carcere federale, si ricordi di avvisare il pio accompagnatore che dovrà essere denudato delle sue proprietà!”
Io e Alice scoppiamo a ridere fragorosamente e non posso fare a meno di scuotere la testa e alzare gli occhi al cielo.
“Jasper falla finita!”
“Aspetta, agente Hale? Hale, come Rosalie Hale? Sei il fratello del mio capo?”
“Si Alice, e la cosa simpatica è che Cullen era uno dei suoi migliori amici.”
“NO!”
“Sì”
“Okay, finitela! Diamoci una mossa!” Consegna il distintivo mentre Alice si rivolge a me sottovoce, ma comunque Jasper ci sente.
“Ti rendi conto che conosci il fratello di Rose? Me lo dici solo adesso? Avremmo potuto conoscere molti punti di debolezza con cui ricattarla. Stronza che sei!”
“Guarda che l’ho conosciuto stamattina. Mi ha portato in centrale perché ho lasciato la patente dentro il portafoglio che, guarda caso, non si trovava nella borsa! Comunque, la macchinetta del caffè che mi hai regalato è rotta. Stamattina ha tirato l’ultimo sbuffo. Caput. Nisba. Adios!”
“Per forza, era quella che aveva in casa mio padre, gliel’ho rubata circa un mese dopo che ci siamo conosciute, non sapevo cosa regalarti!”
“ALICE!”
“Signorine, possiamo darci una mossa per cortesia? Io ho un lavoro che mi attende!”
“Gne gne! Io ho un lavoro che mi attende! Gne gne! Se non fossi un agente di polizia ti pesterei il piede, Jasper Hale!” Ridacchia ma mi segue mentre ci avviamo all’ascensore interno.
“Un altro ascensore?”
“Questo è interno. Siamo passati da Alice solo perché ti registrasse, dobbiamo accedere agli altri piani attraverso questo.”
“Capisco. Comunque, stavo pensando, sono tutti sorpresi del fatto che ti abbiano licenziata, questo vuol dire che in tutto questo tempo non hai mai creato casini. Giusto?”
“Giusto. Sono sempre stata puntuale, efficiente, silenziosa, parlavo solo al momento opportuno. Ho fatto tutti gli straordinari che mi erano richiesti, talvolta restavo in ufficio fino alle dieci di sera. Ho fatto così tante fotocopie che potrei battere ogni record. Un anno e due mesi spesi a farmi il culo qui dentro, per poi non finire neppure il programma. E’ una presa per i fondelli, ma non importa. Errore mio. Sul contratto di tirocinio ci sono le clausole che permettono tutto ciò, anche per una cazzata. Hanno ragione e devo solo rimboccarmi le maniche e ricominciare dall’inizio.”
“L’hai presa con filosofia.”
“Come dovrei prenderla?” Gli sorrido mentre le porte del mio piano si aprono. Passo davanti ai miei colleghi tutti indaffarati nei loro minuscoli cubicoli e sorrido a quelli più coraggiosi che mi osservano con compassione. Tutti tirocinanti o personale a tempo determinato che vedono la realizzazione delle loro paure in me. Licenziamento. Licenziamento che potrebbe arrivare di punto in bianco, senza preavviso.

“Mi aspettavo più rumore!”
“La prima volta che sono entrata qui dentro mi aspettavo ci fosse gente che correva da una parte all’altra, che facesse le scale per fare prima, segretarie con tazze di caffè in ogni dove. Sono rimasta sconvolta come te dal silenzio e dalla calma di questo piano. Quindi mi sono detta, qualche piano sopra dovrà essere rumoroso. Eppure ogni piano è così. Regna la calma. Con la confusione rischi solo di sbagliare. Quando entri a far parte dello staff della Cullenhale ti danno alcuni punti da seguire che sono fondamentali. Il primo è la calma, il secondo è il silenzio, il terzo è la puntualità.” Ridacchio piano.
“Sono piacevolmente sorpreso. Ricordo quando mio cugino Stan perse il lavoro, fece una settimana di pianti isterici che nessuno riusciva a stoppare.”
“Ho imparato a non piangere tanto tempo fa, agente Hale.” Mormoro seria.
Arrivo alla mia scrivania e, come mi aspettavo, uno scatolone è già stato preparato sulla sedia. Comincio a raccogliere i miei effetti personali, veramente pochi, e i plichi di carte e appunti che avevo racimolato per la mia tesi. Ero orgogliosa di far parte di questo staff, ero soddisfatta del lavoro che stavo portando avanti e felice dell’opportunità che mi avevano dato. Ho fatto un errore. Ho perso ogni cosa. Di nuovo. Sospiro osservando la foto tra le mani. Chissà se mio padre sarà ugualmente orgoglioso di me?
“C’è altro che devi portar via?” Mi riscuoto dai miei pensieri, Jasper ha già liberato la scrivania e i cassetti. La scatola non si è neppure riempita. Infilo la foto dentro lo scatolone e accendo il computer.
“Devo salvare alcuni file personali dentro la pen-drive. Vuoi un caffè nel frattempo?”
“Volentieri.”
Passo la mia chiavetta a Jasper. “In fondo al corridoio c’è un distributore. Molly, la ragazza dei caffè questa settimana non c’è e solitamente fa il caffè Mark del nono quando manca, cosa che non ti consiglio affatto. Il distributore è molto meglio! Offro io, ovviamente!” Mi sorride e si incammina.
Salvo ogni file che mi interessa dentro il mio archivio, cancello tutto ciò che di mio c’è nel computer e poi cambio la foto di sfondo. Elimino la password che ho impostato, la cronologia internet, la cronologia file. Faccio una bella pulizia di tutta la mia roba e quando mi volto per infilare la mia pennetta nella borsa noto che Angela è seduta su un angolo della mia ex scrivania.
“Bella.”
“Angela.”
Ci guardiamo per qualche secondo, poi lei scuote la testa.
“Come diavolo è successo?”
Siamo amiche, questa è la parola fondamentale. Io, Angela, Alice, Emmett e Seth siamo un gruppo. Io ed Alice ci siamo incontrate per caso in un bar, qualche mese prima che cominciassi la mia esperienza alla Cullenhale. Tutti gli altri li ho conosciuti all’interno dell’azienda.  Ecco perché Angela mi guarda con quel dispiacere negli occhi che mi stringe il cuore. E’ il mio capo, la mia referente. E’ soprattutto mia amica. So che in questo momento è divisa in due, tra la professionalità è l’affetto che prova per me. So anche che se fossi nella sua posizione sarebbe uguale per me. Eppure è successo, e non possiamo farci nulla.
“E’ colpa mia!”
“Jasper!” Scuoto la testa sorpresa di sentire quella voce. “Piantala. Lo sappiamo bene che non è colpa tua.”
“D’accordo, non è solo colpa tua, è anche colpa mia! Meglio così!”
“Non ci sto capendo nulla.” Si intromette Angy.
“Stamattina sono uscita di casa senza portafoglio, ero in orario anche per prendermi un caffè da Starbucks. L’agente Hale mi ha fermata per un controllo, mi ha trovata senza patente, ho accumulato ritardo quando sono finita alla centrale di polizia.”
“Oh miseria! E la tua macchina?”
“E’ parcheggiata da qualche parte tra la sedicesima e… boh non mi ricordo Angela.”
“Perché non hai risposto alle chiamate?”
“Perché ero con la polizia. Ho risposto solo a quella del capo, perché non potevo fare a meno!”
“Se avessi risposto a me avrei potuto coprirti.”
“No, è responsabilità mia Angy, lo sai bene.”
“Testarda!”
“Devo fare qualcosa prima di andarmene?”
“Sì, Cullen e Hale ti aspettano nella sala riunioni bianca per farti firmare le carte del licenziamento. E, ti avviso prima che tu vada incontro al destino, stamattina Cullen ha un diavolo per capello. C’è stato un errore da qualche parte, non è riuscito a sistemarlo prima della riunione delle dieci, ha cercato il responsabile del guaio ma nessuno sa chi sia. Rosalie non è riuscita a calmarlo, non parliamo di Irina. L’ha fatto incazzare ancora di più quando ha preso un appuntamento a cavallo di un altro per questo pomeriggio. Hanno dovuto rivedere tutta l’agenda impegni due volte. Questo ha portato via tempo prezioso. Tu mancavi e alle nove avevate il briefing per quel tale, come si chiama-“
“Newton.”
“Sì, quello. Quindi siccome non c’eri ha dovuto spostare l’appuntamento a lunedì, ha trovato il tempo di chiamarti e licenziarti e poi ha assegnato il tuo lavoro… a sé stesso. Di conseguenza ha lavoro per circa quindici persone che gravano sulle sue spalle. Il tuo ritardo stamattina non ci voleva proprio. Non si fida a dare Newton a qualcun altro, dice che è un tipo particolare e che-“
“Sì, lo so bene. Ha voluto lavorare solo con me e Cullen, siamo riusciti a far accettare Thomàs solo per miracolo. Ma Thomàs ha finito il suo ruolo. Ero io che dovevo portare a termine il tutto. Newton è un pezzo grosso, ha investito non so quanti soldi negli ultimi tre anni in campagne pubblicitarie e questa doveva essere quella di punta per la nuova collezione. Con un ottimo lavoro ci avrebbe assunto come società esterna di marketing, in sostanza con il mio ritardo ho combinato un casino da milioni di dollari. Fantastico. Ci credo che Cullen mi abbia licenziata.”
“Sì, hai creato un circolo vizioso che si concluderà solo con ore e ore di straordinari e con l’esplosione della testa di Cullen!”
Jasper ride al nostro fiano e quando mi volto verso di lui smette immediatamente.
“Scusate è che… non avrei mai creduto che questo ambiente fosse così spassoso!”
“Già! Forza Hale, dobbiamo andare nella sala riunioni bianca, firmare qualche carta, incassare l’ultimo assegno della paga e poi tu, devi accompagnarmi alla macchina!”
“Per chi mi hai preso?”
“Siamo amici ormai, no?”
“E da quando?”
“Da quando mi hai portata in centrale nonostante io fossi in ritardo, facendomi perdere il posto di lavoro che tanto amavo, lasciandomi a piedi per strada a circa 6 miglia dall’auto, senza patente e senza un dollaro. Sì, siamo amici!”
“Aspetta, sei il fratello di Rosalie?”
“Sì. Comunque Isabella, io stavo svolgendo il mio lavoro, non potevo lasciarti-“
“Sì, sì, lo so. Lo so bene. Ma sta di fatto che ora mi trovo in una situazione incresciosa e necessito di un amico. E guarda un po’, ho deciso che questo amico debba essere tu!”
“Pazzesco!” Mi alzo dalla sedia e afferro la borsa e la mia scatola. Un anno e mezzo di lavoro racchiuso in quattro pezzi di cartone. “Fa impressione, vero?”
“Già.” Rispondo a Jasper mentre ci muoviamo per i corridoi fino ad arrivare all’ascensore.
“Bella!” Angela mi guarda dispiaciuta. “Ho fatto quello che ho potuto, mi ha fatto preparare le carte del licenziamento, la tua ultima busta paga, le clausole… ho fatto tutto io. Non avercela se vedi il mio nome tra le firme.”
“Lo so, Angy, lo so!”

Le porte dell’ascensore si chiudono e mi lascio andare ad un sospiro.
“E così… il tuo referente è una delle tue amiche!”
“Ci siamo conosciute qui. E’ una delle più care amiche che ho.”
“Anche Alice è tua amica, così come Joe, Nick, Robert e quella Antonietta che hai chiamato per dar da mangiare al tuo cane. Ti vogliono bene in tanti.”
“E’ un male?”
“Nessuno si aspettava che ti licenziassero, mi chiedo, c’è qualcosa che puoi fare per non finire in mezzo a una strada, giusto?”
“Ci sarebbe, ma non voglio farlo.”
“Perché?”
“Perché mi chiamo Isabella Swan e non sono una stronza.”
“Sai chi ha creato l’errore che ha messo in crisi Cullen, vero?”
“Sì, ma se parlo qualcun altro viene licenziato e, prima che me lo dici, so che in realtà potrei salvarmi il culo ma conoscendo Cullen non è detto che annulli il mio licenziamento.”
“Come fai a saperlo?”
“E’ capitato per caso di sentire delle voci. E’ un errore che gira da un po’ e ho fatto in tempo a fare qualche ricerca. Mi ha anche chiesto aiuto per sistemarlo ma non sapevo cosa fare senza domandare a Rosalie o Edward, così avrei messo in una situazione critica il poveretto e… un circolo vizioso insomma.”
“Isabella si tratta del tuo lavoro!” E’ un errore che i capi possono risolvere in una giornata, non amo fare la spia e sono certa che mi troverei comunque in mezzo a una strada.
“Non è solo il mio lavoro, è il lavoro di tante altre persone. Io posso ricominciare da domani o dopodomani, qualcun altro no. In più Cullen non annullerà mai il licenziamento, salvaguardo la paga di un ex collega.” Mi guarda come se avessi tre teste e poi sospira.
“D’accordo. Allora andiamo a firmare queste carte per il licenziamento.”