martedì 26 gennaio 2016

Capitolo Otto

**Note di Aly

Salve a tutte. Che dire dopo questo immenso ritardo? Non ne ho idea. Credo che delle scuse non bastino questa volta. Quindi mi prefisso l'obiettivo di pubblicare più che posso e rendervi le mie scuse sincere agli occhi, come posso.
Che raccontarvi ora, prima del capitolo? Vi dico che questo 2016 non è iniziato nei migliori dei modi, alcune di voi lettrici che mi conoscono conoscono il motivo. Non sto qui a dilungarmi, ma vari problemi mi hanno tenuta impegnata e mi hanno allontanata un po' dalla voglia di scrivere e di condividere con voi i miei pensieri e le mie sensazioni. Sapete che nelle mie storie ci metto sempre un pochino di me, quindi non ero dell'umore adatto per scrivere, avrei rischiato di creare qualcosa di infinitamente triste e malinconico. Grazie ad una persona, però, mi sono convinta a lasciare i miei problemi da parte e ricominciare a pubblicare.

Ho adorato tutto lo scorso capitolo, quindi non ho una vera e propria parte che ho preferito.
Bene... ora passiamo al capitolo. Vi auguro buona lettura, come sempre e buona serata.
Ah, buon anno a tutte, anche se estremamente in ritardo.

Un abbraccio,
Aly**



 
La mattina seguente, quando Bruce mi vede entrare dalla porta della caffetteria mi sorride e si avvicina.
“Pensavo che mi avessi dato buca anche stamattina. Clara è a casa con la febbre per cui oggi dovrai destreggiarti anche con le sue mansioni.” Sorrido e annuisco, come un automa, cercando di superare il turbamento di trovarmi sul posto di lavoro che non amo, con una paga da fame. Per fortuna il tempo passa velocemente.

Jasper è arrivato puntuale alle cinque e cinque minuti ieri, ha guardato di sottecchi Edward e ci siamo scambiati alcune informazioni prima che potessi andarmene. Non so bene come sia stato il loro tempo insieme, ma sono sicura che lo scoprirò tra poco quando varcherò la porta della camera di Edward. Jasper mi ha mandato solo un messaggino con l’ora in cui farmi trovare lì, non mi ha detto niente di più.
Mi sono organizzata come al mio solito, ma dovendo affrontare anche la cena con un lamentone come Edward mi sono attrezzata con alcune cose per mascherare il cibo d’ospedale. Busso e la voce di Jasper mi invita a entrare. Edward si guarda i piedi mentre il mio amico è fisso davanti alla finestra.
«Ciao» Mi intrometto con voce chiara in quel silenzio assurdo, la tensione nella stanza si può tagliare a fette.
Mi rispondono entrambi con un borbottio che pare un saluto, ma di cui non sono certa.
«Bene, ottima accoglienza per quella che ha portato viveri a sufficienza per un plotone! E pensare che ho anche portato una torta con biscotti e cioccolato che farebbe gola anche a chi odia le calorie!» Cerco di buttarla sullo scherzo ma Jasper mi lancia un’occhiataccia che mi fa quasi tremare.
«Okaaaay» Mormoro appoggiando le mie cose. «Jasper forse è meglio che vai. Riposati che fra qualche ora inizia il turno.»
«A che ora devi essere al lavoro domattina?»
«Alle sei.» Storce il naso con aria incazzata e sospira.
«Edward rimarrà da solo per qualche ora. Non preoccuparti. A quanto pare non ha bisogno di nessuno e se la cava alla grande da solo!» Prende la giacca e il telefono e mi bacia la guancia. «Sabato sera sono libero. Avevo chiesto ad Alice di andare a bere una cosa fuori ma non me la sento di vederla. Possiamo uscire io e te?» Sento puzza di cazzate grosse come un rifugio antiatomico.
«Che è successo?» Ci ha messo settimane intere per farsi dire di sì ed ora rinuncia così a cuor leggero perché non ne ha voglia? E’ strano.
«Niente!» Mi volta le spalle e si avvia verso la porta ma non sono disposta a lasciarlo andare senza una spiegazione. Lo strattono per il braccio e lo faccio voltare verso di me.
«Che diavolo hai combinato?»
«Niente!» Sono lì, lì per dirgli che il suo comportamento da donnicciola non funziona con me, quando Edward interviene a voce bassa.
«Non ti conviene insistere con lei, è meglio che cedi. Sa farti parlare come nessun altro!» Entrambi ci voltiamo verso di lui, Jasper lo osserva incazzato mentre io mi concentro sul dispiacere che si intravede negli occhi di Cullen.
«Avanti, dimmelo!» Insisto ancora e lui sbuffa sonoramente prima di rispondermi.
«Mi ha mandato una serie infinita di messaggi in questi giorni per sapere come stavo e come stava andando con Rosalie, prima me ne ha mandato un altro in cui mi diceva che sabato non riusciva a spostarsi con l’auto perché sarebbe stata dal meccanico e se potevo passare a prenderla io. Mi sono incazzato e le ho detto che ho cose ben peggiori a cui pensare ora rispetto a una serata con lei.»
Non posso crederci. Sgrano gli occhi e scuoto la testa.
«Sei un cretino!» Mi lascio sfuggire. «Non so perché continuo a parlarti invece che prenderti a pugni. Sei proprio un deficiente!»
«Ero incazzato, non sapevo cosa dirle, avevo altro per la testa!»
«Non mi interessa! Cretino! Stupido!» Cerco il cellulare dentro la borsa, in modo frenetico nel mezzo del caos che noi donne abbiamo sempre appresso, quando lo trovo compongo il numero di Alice. Squilla a vuoto per un bel po’ prima che riesca a rispondermi.
«E’ colpa mia.» Mormora Edward dal letto, nel frattempo.
«Non mi interessa di chi è la colpa.» Parlo verso Jasper. «Non hai nessun diritto per parlare così a Alice solo perché sei incazzato per i fatti tuoi. Tu non hai idea di cosa voglia dire per lei aver accettato il tuo invito. Che deficiente! E pensare che ci hai anche perso un sacco di tempo per farti dire di sì. Non riesco a credere che tu sia stato così tanto stupido da rovinare tutto. Hai appena friendzonato Alice. Non c’è modo per tornare indietro.»
Finalmente sento la voce della mia amica dall’altro lato del telefono.
«Ehi Alice, ciao! Come va al lavoro?» Vorrei buttare la domanda che mi preme, ma conoscendola devo farle avere il tempo di rendersi conto che ci sono io all’altro capo del telefono e non una persona qualsiasi.
«Bene, oggi Angela ha fatto firmare un contratto a due clienti e c’è un clima di festa meraviglioso in ufficio. Tu sei da Cullen?»
«Sì, sono appena arrivata, sarà felice di conoscere questa novità. Ieri ha messo fuoco al culo di Angela dicendole che contava su di lei. Mi ha mandato un messaggio stamattina alle tre chiedendomi se la caffetteria era aperta per fare colazione alle quattro. Non me la sono sentita di mandarla a quel paese e le ho detto di passare da me. Ma non è venuta ed ha preferito andare in ufficio. Dici che impazzirà prima di Natale?» Lei ridacchia appena e poi torna seria di colpo.
«Sai che Seth si vede con un’altra?»
«NO! E’ scemo?»
«Probabile. Tutti gli uomini lo sono! Ne abbiamo già discusso, ricordi?»
«A proposito. Ho saputo. Vuoi passare nell’orario di visita a parlare?»
«No, credo che me ne starò a casa sul divano a sgranocchiare le mie cialde di riso soffiato e una tazza di centrifuga!»
«Alice!» La sento ridere e mi rendo conto di quanto la conosco bene, questa è solo una maschera ma dentro sta affondando ed ha la necessità di avere qualcuno a fianco che non la lasci sola.
«Sto scherzando!»
«No, ti conosco. E’ così che andrà la tua serata. Lascia stare il polistirolo e vai casa di tuo padre, sono sicura che Sue ha preparato le lasagne. Portamene un pezzetto per domani!»
«Bella non c’è problema! Stai facendo risultare la cosa più grande di quella che è.»
«Sì che è un problema. Ora ti devo lasciare. Tengo il cellulare in vibrazione, se hai bisogno di parlare sai dove trovarmi. Chiamerò Ryan per sapere se sei tornata a casa per cenare con loro, se non l’hai fatto giuro che la prossima volta vai da sola a fare shopping. Buona serata.» Chiudo la telefonata prima che possa ribattere e con le braccia incrociate fulmino Jasper che mi sta osservando.
«Non uscirò con te sabato, puoi scordartelo! Alice è come una sorella per me e dovresti imparare a comportarti meglio, davvero!» Mi volto verso Edward con lo sguardo furente. «Quanto a te, ti avevo detto di riallacciare i rapporti, non di farlo incazzare. Se credi di non avere bisogno di nessuno allora sei proprio un cretino. E io con i cretini non ci parlo.»
«Ehi, allora è tua la brillante idea!» Jasper fa un passo avanti verso di me. «Dovevi startene per i fatti tuoi invece che impicciarti delle nostre vite! Nessuno ti ha chiesto di metterti in mezzo e farti gli affari nostri.» La sua rabbia mi sconvolge abbastanza, meno delle sue parole però. Ora devo starmene per i fatti miei, però gli ha fatto comodo che ci fosse qualcuno qui per il suo amico. Dovevo saperlo, dovevo immaginare che sarebbe andata così, una delusione dietro l’altra, l’ennesima da aggiungere alla lista. Sto per rispondere quando il telefono vibra tra le mie mani, il numero è privato ma rispondo ugualmente.

«Pronto?»
«Bella, sono io.» La voce che sento disturbata dall’altro capo del telefono mi ghiaccia sul posto. Non riesco a parlare, né a respirare. Devo sedermi perché la testa gira troppo forte. «Bella, piccola, ho poco tempo. Come stai?» Piccola, quante volte mi ha chiamata così negli anni e quante volte mi sono sentita al sicuro tra le sue grandi braccia. Ora so che sarebbe il posto più doloroso per me.
«Perché hai chiamato?» Mormoro a voce bassa.
«Come stai?» Come sto? Come vuole che mi sento al momento? Confusa, stupita, arrabbiata, terrorizzata e sento anche un dolore al petto troppo forte per esprimermi.
«Perché hai chiamato? Ti avevo detto di non farlo.»
«Piccola, per favore. Tra poco devo andare e non so quando potrò richiamarti.» Come se io volessi che componesse di nuovo il mio numero.
«Beh nessuno ti ha detto di farlo. Stattene dove sei e non cercarmi.»
«Bella, sono passati anni, fra pochi mesi è Natale… per favore!» Natale, me ne ero anche dimenticata. Quello che una volta era il periodo più bello dell’anno per me si è trasformato, fin da quel maledetto giorno in mezzo alla strada, nel periodo più triste e malinconico dell’intero anno. Sarà Natale e, oltre al dolore normale che sentirò avvolgermi come una coperta, dovrò anche fare i conti con lui che mi chiama da chissà dove per ricordarmi che non fa più parte della mia vita da tempo. Gran bella merda.
«Per favore un cavolo! Non chiamare più!» Vinta dalle numerose sensazioni che mi bruciano dentro rispondo con rabbia, anche se il petto si stringe sempre più forte fino a farmi lacrimare. Lancio il telefono nella borsa e mi aggrappo ai braccioli della sedia per sostenermi, nonostante sia seduta mi sento cadere.
Ha telefonato, dopo mesi e mesi ha chiamato un’altra volta. Gli avevo detto di non farlo, ma ripetutamente cerca di parlare con me. Non ha capito che non voglio più avere a che fare con lui? Come faccio a farglielo capire una volta per tutte?

Non mi rendo conto di dove sono fino a che non sento una mano maschile appoggiarsi sulla spalla. Alzo gli occhi e il volto preoccupato di Jasper è vicinissimo al mio.
«Bella, tutto bene?»
No, non va bene niente in questo momento. In questo preciso istante è tutto un grosso casino attorno a me. E io me ne sto seduta come una pazza psicopatica su una sedia, al capezzale di un uomo che mi ha distrutto la carriera, per fare un favore a un tizio che credevo fosse un amico. Sono una cretina.
«Sai che c’è Jasper? Sono stanca di essere la buona di turno che la prende sempre in quel posto. Mi sono offerta di aiutarti, poi tu hai calcato la mano, ti sei permesso di parlare con il mio capo mettendo a rischio il mio lavoro. E nonostante io abbia tenuto la bocca chiusa e mi sia fatta andare bene il tuo comportamento ora sei qui a dirmi che devo farmi gli affari miei!» Raccolgo le mie cose e abbottono la giacca. «Me li faccio i fatti miei, a partire da questo momento! Edward è amico tuo, non mio. Io non c’entro niente con voi, ero qui solo per fare un favore. Ma siete entrambi troppo orgogliosi e troppo cocciuti per passare anche solo un minuto di più in questa stanza. Non sprecare tempo a cercare di chiamarmi Jasper, perché non ti risponderò. Mi faccio i fatti miei, a partire da adesso.» Esco dalla camera senza voltarmi e senza preoccuparmi di niente. Avrei dovuto fare così fin dal primo momento, non avrei dovuto propormi per aiutarlo, era da tempo che non mi capitava di fare errori di questo tipo, sicuramente da oggi imparerò la lezione. Non ci si guadagna nulla a essere buoni e gentili, finisci sempre e solo per star male.
Esco dall’ospedale di fretta, raggiungo l’auto e mezzora più tardi sono a casa. Poppy mi salta sulle gambe appena mi vede, scodinzola e mi gira attorno finché mi infilo la tuta.
Non mi pento di essermene andata, non mi pento neppure di aver allontanato Jasper, sono diventata brava a tenere chiusa la porta agli invasori e ad allontanare chi commette qualche errore. Anni ed anni di esperienza.
Per fortuna non ricevo telefonate per tutta la sera, solo Alice mi ha mandato una foto della tavola preparata da Sue a casa di suo padre, per darmi la conferma che aveva seguito il mio consiglio, io le ho risposto con la foto dei miei piedi sul tavolino e con lo sfondo della tv illuminata. Non mi ha chiesto nulla se non “Stai bene?” a cui ho risposto “Mai stata meglio!” per non farla preoccupare. Sono sicura che domani insisterà per venire a pranzo alla caffetteria, così lei e Emmett potranno farmi il terzo grado.
Mi addormento guardando una replica di un quiz televisivo, Poppy è accoccolata in fondo al divano, sopra ai miei piedi e il suo pelo morbido me li tiene caldi. Mi sveglio attorno alle tre e mezzo infreddolita e con le ossa rotte, prendo Poppy tra le braccia e mi fiondo sotto le coperte in camera da letto.
Quando apro gli occhi è perché la sveglia suona insistentemente, ricordandomi che oggi devo affrontare un’altra giornata di lavoro.
Non pensavo che Jasper ascoltasse il mio invito a non chiamarmi, ma per tutta la serata di ieri e per la giornata di oggi non ha mai squillato il telefono. E sono grata anche perché qualcun altro non l’ha fatto. La telefonata ricevuta in ospedale ieri mi ha turbata, parecchio.
Ma devo andare avanti, non ci devo pensare. Devo cancellare quei secondi in cui ho sentito la sua voce e i brividi che ho provato. Se ci fosse un maledetto tasto Reset nella mia testa sarebbe tutto più semplice.
Quando stacco alle cinque e mezza, dopo un’ora di straordinario, ad attendermi fuori dal locale c’è una volante della polizia con Jasper appoggiato al cofano e un collega seduto al posto di guida.
«Bella, possiamo parlare?»
«Le serve qualcosa agente? Ho infranto qualche norma stradale? Ho parcheggiato in divieto di sosta? Ho dimenticato di pagare l’assicurazione? Cosa vuole?»
«Bella non fare così, voglio parlarti dieci minuti, poi dovrò tornare in servizio.»
«Mi dispiace, agente, ma non ho nulla da dire!» Mi volto nella direzione in cui ho parcheggiato e inizio a camminare, ma Jasper mi segue insistendo per parlare.
«Ieri Edward mi ha fatto davvero incazzare. Abbiamo litigato, le infermiere sono venute a dirci di abbassare i toni, è stato un disastro da quando si è svegliato fino a quando non sono andato via. Dopo che sei andata via abbiamo litigato di nuovo. Non facciamo altro che litigare!»
Mi fermo di scatto quando raggiungo l’auto nel parcheggio.
«Perché mi stai raccontando i fatti tuoi, Jasper? A me non frega niente di quel che è successo ieri. Ti ricordi che ti ho esplicitamente detto che mi sarei fatta gli affari miei? Ecco, lo sto facendo. Non voglio saperne più nulla di voi.»
«Bella! Per favore!»
«Oh piantala!» Sbotto. «Per favore di qua, per favore di là. Siete solo capaci di dire per favore. Per favore cosa? Ti dovrei stare a sentire dopo che ieri mi hai placidamente detto che non mi devo impicciare? Lo sto facendo, sto facendo proprio quello che mi hai chiesto. Mi faccio i cazzi miei! Ora lasciami stare!»
«Sei insopportabile quando fai così!» Si passa le mani tra i capelli e mi guarda con gli occhi arrabbiati. Chi se ne frega se sta per esplodergli la testa per colpa del mio comportamento.
«Oh, sarei insopportabile ora? Ve lo chiedo io un favore, quando la gente vi dice di non farvi sentire o di non chiamare o di dimenticarsi di voi… fatelo!»
«Bella! Aspetta!»
«Bella un cazzo!» Sono incazzata, lo ammetto. Ora lo sono tanto e purtroppo non dipende neppure solo dalla situazione con Jasper e Edward. La telefonata di ieri mi ha sconvolta oltre ogni misura, nonostante me lo sentissi che, prima o poi, avrebbe richiamato. Lo fa sempre. Torna sempre a sconvolgermi la vita senza capire quando è il momento di piantarla.
«Devi calmarti. Non volevo dire quelle cose ieri, ascoltami per favore!»
«Jasper ho ventiquattro anni, ho visto di tutto in questo periodo di tempo, cose che forse tu neppure immagini! So quando è il momento di andare e quando è il momento di restare e so benissimo quando una persona dice quello che pensa veramente. Non devo intromettermi e non lo farò. Fatti da parte e lasciami andare!»
«Sei più cocciuta di un mulo!»
Apro la macchina e mi ci infilo dentro in velocità, partendo qualche secondo più tardi. Jasper è ancora fermo sul marciapiede a guardarmi andare via.
Stranamente, non mi sento per niente colpevole come le altre volte che ho ferito qualcuno tramite le mie parole, sarà che sono stanca di essere il pungiball per i problemi degli altri! Quando arrivo a casa, tardi rispetto al solito perché mi sono imbottigliata nel traffico dell’ora di punta, Angela è davanti al mio portoncino.

«Ehi, che ci fai qui?»
«Ho bisogno di aiuto, Bella.» Confusa le apro la porta e ci dirigiamo in silenzio verso il mio appartamento. Che diavolo potrà mai volere da me?
«Vuoi qualcosa da bere?» Le chiedo mentre cerco di non pestare Poppy tra i miei piedi.
«No, grazie.» Le dico di attendere finché mi metto comoda e dopo essermi rinfrescata la faccia e messa in tuta la raggiungo sul divano.
«Allora, cosa ti serve Angy?» Si passa le mani nei capelli, gesticola finché cerca le parole ma ci mette un po’ prima di parlare.
«Temo che Newton voglia sciogliere il rapporto con la Cullenhale!» La notizia mi spiazza.
«Scusa, spiegati meglio!» E lei lo fa. Mi racconta di come abbia fatto telefonare da Irina per spostare l’appuntamento alla prossima settimana e la segretaria di Edward si è fatta scappare che il suo capo non è al lavoro perché non lavorerà per un mese. Per cui Newton si è preoccupato di chi stesse lavorando alla sua campagna e Irina gli ha risposto che Angela stava svolgendo il lavoro sia di Rosalie che di Edward. Ovviamente Newton ha richiesto fin da subito massima professionalità e competenza e ha accettato solo me e Edward perché lavorassimo al suo caso, venire a conoscenza che nessuno dei due è sul suo progetto ma una terza persona che non conosce, l’ha messo sul chi va là.
«E tu che hai fatto a quel punto?»
«Ho richiamato personalmente Newton, mi sono presentata dicendogli che al momento Cullen non è presente in ufficio ma che sarà presente alla riunione della prossima settimana e che il progetto è stato portato a termine da voi due, che io sono solo in veste di amministratrice subordinata al momento. Ha mantenuto il contratto in piedi, ancora per il momento, ma ha urlato al telefono, gridando che è una società che pecca di professionalità.»
«Angela, lo sai anche tu che non è vero. Non ti devi abbattere. Newton non scioglierà il contratto, vedrai.»
«Al momento è al telefono con Cullen, ne sono certa. Mi ha chiesto dove poteva rintracciarlo e gli ho dato il numero di cellulare. Ho tentato di chiamare Edward prima di venire qui ma non rispondeva e quando sono arrivata al tuo portone il suo telefono era occupato. Starà impazzendo. Mi licenzierà se gli faccio perdere questo cliente!»
«Angela, devi calmarti. Stai lavorando troppo e sei nervosa. Il problema non è tuo. Ha sbagliato Irina, sappiamo bene quanto sia poco qualificata per certe mansioni, ed entrambe conosciamo la ragione per cui Edward continua a tenersela. Non certo per le sue capacità organizzative, ma per le due tette che mette in mostra ogni giorno con le camicette. Vedrai che Cullen capirà!»
«Non credo. Per questo ho bisogno di te. Se tu potessi parlare con Newton e spiegargli che è solo una distrazione di Irina e che gli dai la tua parola che la campagna continua ad essere seguita da te… forse avremmo delle speranze!»
«Neanche morta!» Sbotto di fretta. Angela sgrana gli occhi guardandomi stupita.
«Ma Bella…»
«No, no, no! Sono stata licenziata Angela, non dovrei neppure sapere questi dettagli ora. Io ne resto fuori. Parla con Edward e chiarisci con lui la situazione, anche da un letto di ospedale riuscirà a convincere Newton a non ritirarsi. Vedrai!»
«Fallo per me…» Il suo sguardo disperato quasi mi convince, l’amicizia che mi lega mi porterebbe a dire di sì, infischiandomene delle regole; so, però, che sbaglierei e che le conseguenze potrebbero essere ben peggiori.
«No Angela. Mi dispiace ma non è più un problema mio. Sono stata redarguita abbastanza questa settimana per farmi gli affari miei. La società per cui lavori non mi paga più lo stipendio quindi me ne chiamo fuori, completamente!» Angela sbuffa e si alza in piedi raccogliendo le sue cose.
«Ti credevo mia amica!»
«Lo sono!» Mi alzo in piedi e mi pongo di fronte a lei.
«No, Rosalie l’hai aiutata, lei è una tua amica… io evidentemente non sono nulla!»
«Cazzo Angela non dire una cosa del genere. Rosalie mi ha chiesto un favore diverso e tutto questo prima, molto prima dell’incidente e della disapprovazione e umiliazione di Cullen.»
«La verità è che non te ne frega niente di me!»
«Non metterla su questo piano, ti aiuterei molto volentieri se si trattasse di dare da mangiare al tuo pesce rosso, cucinare per tua nonna malata o aiutarti a convincere Seth che sei la donna della sua vita. Cazzo ti aiuterei anche a scegliere il vestito per il matrimonio, pur nonostante io odi con tutta me stessa andare per negozi. Ma stiamo parlando di infrangere la legge. Io non sono più una dipendente di Cullenhale, se ci scoprono passiamo i guai. Per favore Angela, capiscimi!»
Lei si avvicina alla porta con lo sguardo basso, è la prima volta che discutiamo in questo modo, prima di ora siamo sempre state d’accordo su tutto.
«Capisco solo che se perdo Newton come cliente perderò il lavoro e tu, cara amica, ne sarai responsabile. Buona notte!»
Chiude la porta delicatamente e Poppy guaisce deluso per non aver ricevuto neppure un saluto prima della sua uscita. Prendo un bicchiere d’acqua e scelgo cosa cucinare mentre penso alle parole di Angela, non si può assolutamente fare una cosa del genere, ne sono certa. Mi dispiace che si sia arrabbiata e che si sia offesa, ma rischierebbe il posto di lavoro lo stesso, se ci scoprissero sarebbero guai seri. Eppure, nonostante tutto, le sue ultime parole rimbombano nella mia testa come un eco che mi ferisce, volta dopo volta. Maledizione!


Non ho sentito Angela né Alice né Emmett fino ad oggi. Ho scritto io dopo due giorni a Alice chiedendole come stava e se mi faceva sapere come andavano le cose con Angela. Mi ha risposto laconicamente ed ho dedotto che il mio mancato aiuto avesse messo tutti dalla parte di Angela. Questa settimana è una delle peggiori degli ultimi tempi, credevo di avere dei buoni amici, in realtà al primo momento di difficoltà e di discordanza si sono tutti allontanati. Non parliamo di Jasper, ha tentato di mandarmi qualche messaggio a cui non ho risposto perché non c’era bisogno di continuare ad argomentare con lui. Ha provato a chiamarmi, ma non ho voluto parlargli. Ho chiamato Rosalie, però, volevo sapere come stava e quando la dimettevano: ancora non se ne parla per qualche giorno; dice che è stanca di stare sempre a letto e che vorrebbe tornare al lavoro, dubito che i suoi genitori la lasceranno lavorare presto.
Volevo chiederle se aveva notizie di Edward, ma ho pensato che dovevo farmi gli affari miei, che lui non era mio amico e che dovevo lasciare stare; così mi sono morsa la lingua ed ho fatto finta di niente.
Quando finisco di lavorare e controllo il telefono dopo mezzora scopro di avere due chiamate da un numero che non conosco. Pensando che sia importante lo richiamo subito, mentre mi dirigo alla macchina parcheggiata poco distante dalla caffetteria sento gli squilli infiniti del telefono, finché una voce che conosco fin troppo bene risponde.
«Isabella, ho provato a chiamarti due volte!»
«Sì, ho appena finito di lavorare ed ho guardato il telefono solo ora. Cosa vuoi Edward?»
«Ho bisogno che passi in ospedale dieci minuti, ti devo parlare!»
Sbuffo, mi infilo in macchina e mi chiudo dentro, la prudenza non è mai troppa.
«Non ho molto tempo in realtà, stasera ho organizzato una mezza cosa e sono impegnata!» Mento, mento spudoratamente.
«E’ importante, ci vediamo qui tra poco!» Chiude la telefonata e io stacco il telefono dall’orecchio guardandolo con circospezione. E’ un maledetto dittatore. Mi ha chiamata con un numero che non conosco, vuole che passi in ospedale da lui, ma perché? Spero non ci sia Jasper perché non ho proprio voglia di incontrarlo. E poi, perché ci devo andare? Sì, ha detto che è importante ma io non sono nessuno per lui, perché dovrei lasciarmi convincere?
Mi arrovello la testa con questi dubbi e domande, ma intanto ho già svoltato in direzione dell’ospedale e dopo tre quarti d’ora in mezzo al traffico riesco a trovare parcheggio distante dall’entrata. Evidentemente non ho imparato la lezione come speravo. Salgo al piano di Edward e mi convinco a passare da Rosalie in un secondo momento, ora devo assolutamente togliermi questa spina nel fianco con Cullen.
Quando entro in camera, dopo aver bussato ho una splendida sorpresa: Rosalie, Angela e Emmett sono seduti di fianco a Edward. Rosalie ha il bendaggio sulla testa nuovo e un po’ più piccolo, siede sulla sedia a rotelle e ha un pulsante attorno al collo per chiamare le infermiere in qualsiasi momento.
«Ehi Bella, ben arrivata!» Storco il naso e mi avvicino con espressione titubante.
«Ciao Rosalie, come ti senti?»
«Meglio, molto meglio!» Sorride e mi fa cenno di sedermi. Saluto gli altri nella stanza mormorando appena il nome di Angela e rivolgendomi poi a Edward.
«Allora, cosa c’è di così urgente da dovermi parlare in questo istante?»
«Urgente! Se fosse stato urgente tu saresti comunque arrivata in ritardo!» Alzo gli occhi al cielo e ascolto mentre continua con quella voce che è diventata un così bel piacere. «Sicuramente avrai sentito che Newton vuole sciogliere il contratto.»
«Sì.» Mi accomodo meglio sulla sedia e accavallo le gambe osservandomi le unghie della mano. Devo mostrarmi indifferente, anche se muoio di curiosità.
«E questo non ti interessa nemmeno un po’?» Gli lancio un’occhiataccia, sa che punti spingere il bastardo, poi torno a concentrarmi il mio smalto nero rovinato sulle unghie.
«Dovrebbe? Sono stata licenziata, non vedo cosa dovrebbe interessarmi.»
«Okay, allora mettiamo il caso che tu non sia stata licenziata, cosa faresti in questo momento?»
«Beh, quello che farei io non è importante perché il “caso che io non sia stata licenziata” non esiste. Io sono fuori da più di un mese e non intendo affatto mettermi in mezzo a queste questioni.» Edward sbuffa e Rosalie ridacchia mentre Angela e Emmett fanno scivolare gli sguardi tra me e Cullen.
«E’ importante invece, io lo voglio sapere!»
«Tu vuoi, tu vuoi! Tu vuoi, tu odi, tu non sopporti… tu, tu, tu! Cullen, non gira tutto attorno a te. Ciò che tu desideri non è quello che vogliono gli altri!»
«Cazzo, come sei cocciuta!» Chiude gli occhi e inspira più volte dal naso. «Senti, ricominciamo dall’inizio. Abbiamo questo problema, tu sei parte del team, come lo risolvi?»
Punto gli occhi nei suoi, determinata a finire questa chiacchierata prima che mi venga il mal di testa. Se lui sa che punti spingere per farmi innervosire, devo dire che so bene anche io quali tasti pigiare.
«No, avete un problema, io non sono parte del team e non risolvo nulla. E’ facile venire a chiedere il mio aiuto ora, dopo avermi lasciata a casa. Vorresti che ti aiutassi a risolvere questo problema gratuitamente senza ricevere nulla in cambio e senza potermi definire una vostra dipendente? E’ fuori discussione!»
«Questo è qualcosa che si può risolvere!» Borbotta tra sé.
«Ah sì? E come? Mi paghi fuori busta una tantum per i miei servigi? Metti in conto anche le ore passate al tuo capezzale, per favore!»
«Come sei venale! Tutto si riduce al denaro… Sarai pagata, hai la mia parola. Ora esponici le tue idee!» Nel frattempo gli altri ci osservano curiosi e sbigottiti.
«Sei cocciuto e dispotico. Non sono una tua dipendente Cullen e non ho intenzione di lavorare per te a queste condizioni.»
«Sei riassunta! Santo cielo! Firma le carte e ti riassumiamo a partire da ora. Angela ed Emmett non ce la fanno a lavorare da soli e Newton vuole solo te e Edward. Gli altri tirocinanti non hanno dimestichezza con progetti di questa portata e siamo sommersi di lavoro per domandare a Vincent, Jake e Mark. Edward voleva dirti che ti abbiamo fatto venire qui soprattutto per farti firmare le carte per riassumerti. Finirai il tirocinio e potrai portare avanti la tesi e laurearti, poi se vorrai ti proporremo un contratto di dipendente a tutti gli effetti. Sono ammessi anche i ritardi giustificati e avrai un extra nella prima busta paga se farai firmare il contratto definitivo a Newton!» Resto sbalordita dalle parole di Rosalie e continuo a fissarla a bocca aperta.
«Dici davvero?»
«Sì, dico davvero! Angela falle firmare le carte. Mettiamo fine a tutto questo casino e per favore, vi prego, non fate fare nulla a Irina finché non ci siamo noi a risolvere i suoi casini!» Angela estrae una cartellina gialla dalla borsa, il mio nome è scritto con il pennarello indelebile nero, mi porge una penna e mi passa la cartellina. Fisso il contratto di assunzione con un certo orgoglio ma, allo stesso tempo, con disagio.
«Bella, che diavolo stai aspettando?» Mormora Emmett di fianco a Angela. Non so se nel silenzio della camera tutti si accorgono di quello che dice, ma Emmett ha mosso solo l’angolo della bocca, per cui temo di averlo capito solo io. Anzi, è una fortuna. Non ho per niente il desiderio di mostrarmi febbricitante all’idea di firmare la mia assunzione definitiva all’interno dell’azienda.
«Posso restare da sola con Edward per qualche momento?»
«Oh no, no, no! Non manderai a puttane questa opportunità. Ti conosco. Firma e poi usciamo!» Emmett mi fissa negli occhi e, questa volta, il tono è chiaro e forte. Mi sono lamentata diverse volte del comportamento tenuto dal capo settimane prima, quando quasi senza motivazione mi aveva licenziata senza possibilità di appello.
Adesso il mio non firmare il contratto di riassunzione è qualcosa che li mette in agitazione, li capisco. Ma ho la necessità di fare di testa mia.
«Non so se è quello che voglio al momento!» Dico osservando negli occhi Edward. «Ho bisogno di cinque minuti.» Emmett ringhia uno “Stupida” tra i denti ma si alza.
«Saremo nella sala d’aspetto.» Dice Angela spingendo la carrozzina di Rosalie fuori dalla porta. Mi alzo in piedi e appoggio la cartellina sulla sedia, poi mi metto a girovagare per la camera, nel silenzio assoluto. Non so quanto tempo passa ma alla fine trovo il coraggio per iniziare a parlare.
«Non sono sicura di voler firmare! Sapevo già come la pensava Rosalie, ma io non sarei solo una sua dipendente e lavorare per un uomo che mi considera inadeguata per la mia professione non è gratificante. Sarebbe sempre tutto come prima, ci scorneremmo ogni dieci minuti, non andremmo mai d’accordo e finiresti per licenziarmi una seconda volta. Ti servo per Newton, perché tu non puoi portare a termine il lavoro, e poi? Ma giusto per dirne una… tu ora hai bisogno di me, hai bisogno di qualcuno. Che ironia bastarda!» Mi appoggio sul tavolo con il sedere e incrocio le braccia sul petto guardandolo. Mi fissa negli occhi e il suo verde lucido mi dice quanto sia teso in questo momento.
«Che cosa vuoi che ti dica? Non vuoi firmare? Pazienza, farò venire Newton in ospedale e gli farò firmare il contratto qui!» Scoppio a ridere e allargo le braccia.
«Fantastico! Abbiamo risolto il problema! Non capisco perché non ci hai pensato prima!» Prendo la cartellina e gliela appoggio sul letto sorridendo. Non potremmo mai lavorare insieme, io e lui. Lo saluto con la mano alzata dirigendomi alla porta.
«Te ne vai? Non te ne esci con una delle tue brillanti idee sul progetto?»
«Naa, non ne vale la pena. Hai tutto sotto controllo!» Ho già la mano sulla maniglia quando parla ancora una volta.
«Okay, hai vinto. Ti rivoglio nel team. Licenziarti è stato un errore colossale. Hai idee brillanti, sei sveglia, instancabile, hai un approccio al cliente fresco, rilassato ma sei professionale, determinata ed è un piacere lavorare con te!» Mi volto sorpresa e i nostri sguardi finiscono uno nell’altro. Mi avvicino al letto fino a fermarmi davanti al suo viso.
«Ripetilo!» Mi sorride alzando solo un angolo del labbro e chiudendo appena gli occhi.
«Sei una bastarda a volte, sai?»
«Allora sembra proprio che abbiamo qualcosa in comune. Ripetilo!»
«Ho detto che ti rivoglio nel team!»
«Anche tutto il resto!» Mi sorride, mi sorride davvero e credo di sorridere anche io perché sento la pelle del volto tirare.
«Sei in gamba, brillante, professionale, determinata, instancabile, e lavorare con te è una garanzia. Ho sbagliato a licenziarti.» Lo mormora solo perché siamo vicinissimi e i nostri nasi quasi si sfiorano. «Ora firma!» Mette in mezzo tra i nostri volti la cartellina gialla e ridacchio afferrandola.
Firmo negli appositi spazi e alzo gli occhi su di lui consegnandoli la cartelletta.
«Bentornata nel team, Isabella!» Il tono dolce con cui lo dice mi scalda il cuore e solo in quel momento mi rendo conto di quanto siamo stati vicini un attimo fa. Le nostre labbra erano ad un passo dal toccarsi, potevo sentire il suo fiato sulle mie labbra se solo fossi stata più attenta.
«Grazie, Edward!» Sono emozionata, lo ammetto. Devo sedermi e il posto più vicino è il letto dove c’è Cullen. Rubo un angolo e mi ci siedo. Appoggio la cartellina ai piedi del letto e sospiro felice, ci guardiamo per un attimo che sembra infinito poi lui distoglie lo sguardo.
«Come vanno le ferite?»
«L’altro giorno ha sanguinato sempre la solita, sembra che non tenga i punti!»
«Oppure sei tu che non ascolti i consigli dei dottori e ti muovi troppo!» Sghignazzo e lo faccio ridere, mi fa l’occhiolino e torna a guardarmi.
«Tu hai parlato con Jasper?»
«Sì, ma non c’è altro da dire. Ha espresso il desiderio che mi faccia i fatti miei, è quello che faccio da quel momento!»
«Già… Immaginavo che ti fossi infuriata per quella frase!»
«Non è solo una frase è che… Non importa. Lascia stare!»
«Sono stato pessimo con lui quel giorno.» Mormora fissando la coperta che appoggia sul suo petto. «Gli ho urlato addosso, l’ho accusato, gli ho detto cose davvero cattive. Lui non si è trattenuto. Mi ha sbattuto in faccia tutti i miei errori e tutto ciò che ha fatto per me senza che io lo sapessi. Mi ha raccontato di tutte le volte in cui è corso da me e… Io gli ho detto che non fa più parte della mia vita. In quel momento ha chiamato Alice e lui si è sfogato con lei. Abbiamo combinato un pasticcio. Dopo che sei andata via lui si è seduto sulla sedia e mi ha detto che era felice con te, che poteva parlare di tutto ciò che un tempo condivideva con me.»
«Avete fatto pace?»
«Non credo che possa chiamarsi pace a tutti gli effetti. Abbiamo stabilito una tregua. Gli ho chiesto scusa a modo mio per quello che gli avevo urlato e gli ho detto che se voleva passare a trovarmi sarei stato felice. E’ venuto ieri, abbiamo parlato un po’ e… avevi ragione. Jasper c’è sempre stato, non mi ha mai lasciato solo. Gli devo tanto.»
«Ricordatene in futuro!»
«Lo farò. Ora parliamo d’altro. Domani dovrai andare in ufficio e contattare Newton. Sono sicuro che ti inventerai qualcosa e mercoledì ci sarà alla riunione. Il dottore ha detto che se tutto va bene mi dimettono lunedì, questo significa che non potrò partecipare al briefing con il cliente.»
«Vuoi che lo gestisca io?» Sgrano gli occhi sorpresa.
«Sì.»
«Ma sono solo una tirocinante!» Sbalordita scuoto la testa. «Se faccio un casino poi mi licenzi di nuovo!» Ridacchia e scuote la testa imitandomi.
«No, davvero. Sono certo che farai un ottimo lavoro. Domani passa di qua e stabiliamo una strategia per la riunione. Starò sveglio fino a tardi quindi vieni pure dopo cena se preferisci!»
«Non credo che mi faranno passare!»
«Credono tu sia la mia fidanzata, avranno un occhio di riguardo per te!» Ci troviamo a ridere insieme e quando ci calmiamo continuiamo a fissarci negli occhi.
«Mi hai riassunta Cullen. Hai ammesso di aver sbagliato. Stai recuperando il tuo rapporto con Jasper… speriamo che quando tornerai in ufficio sarai meno stronzo!» Mi guarda serio per un momento.
«Sono gli incubi che non mi fanno dormire e mi fanno agitare…» Sussurra.
«E allora devi trovare il modo per stancarti di più e dormire di meno. Appunterei come nota anche essere più rilassato!»
«Vuole altro per Natale signorina Swan?»
«Sì, vorrei andare in montagna, in una casa con il caminetto, una piscina riscaldata al coperto e guardare le stelle! Vorrei anche un uomo bellissimo, intelligentissimo e ricchissimo al mio fianco a farmi stancare, così da non avere gli incubi durante la notte! Quando trovi un pacchetto del genere avvisami che lo compro subito!» Ride e annuisce.
«Bene, allora vado!»
«Il numero con cui ti ho chiamato è il mio privato, se… se vuoi puoi ehm… memorizzarlo!»
«Che fine ha fatto quello di servizio?»
«Pensavo che avessi ancora quell’odiosa suoneria associata al mio nome e che non rispondessi se la sentivi!» Scoppio a ridere e alzo i pollici. Avrei fatto esattamente quello.
«Passo domani, cerca di riposare qualche ora, se vuoi distrarti sul canale sessantacinque ci sono le repliche di un quiz dalle due alle cinque e sul centodue ritrasmettono all’infinito i Robinson, mentre sul duecentoventitre i due comici muti.»
«Grazie.» Mormora sorridendo. Prendo le mie cose e sono già alla porta quando si schiarisce la voce.
«Chiama Bruce e digli che non servirai mai più caffè e sandwich nella sua caffetteria! Sei sprecata lì dentro!» Sorrido e lo saluto con la mano senza voltarmi. Passo dalla sala d’aspetto e li aggiorno con le novità, Rosalie viene accompagnata da un’infermiera al suo piano mentre io esco dall’ospedale con Angela e Emmett.
«Scusa, capisco come ti devi essere sentita!» Mormora Angela in ascensore.
«Non ti preoccupare, io capisco te.»
«C’è tanto lavoro, Edward e Rosalie sono bravissimi a non farsi prendere dal panico.»
«Vedrai che ce la faremo!» Mi accompagnano alla macchina e poi, finalmente, mi dirigo a casa.